Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino indice articoli
Ordini, Logge e Massoni
di Giovanni Domma
Giugno 2018
C’è da chiedersi quanto il trinomio Libertà, Eguaglianza e Fratellanza sia ancora presente nella Massoneria di oggi: se esso si ripresenti nel nostro comportamento, nel nostro livello culturale, nel rispetto che l’un l’altro ci riserviamo.
Io non ce lo ritrovo molto: eppure, sono principi che abbiamo promesso solennemente di osservare, che dovrebbero rappresentare la base della nostra operatività.
Ma cosa c’è ancora di operativo nel lavoro che noi facciamo?
Non voglio qui ricondurmi alle categorie che Daniele Mansuino ha enunciato nel suo articolo Massoneria operativa e speculativa: intendo piuttosto parlare di operatività nel senso più esteso della parola, ovvero della capacità di far vivere i nostri valori ed attuarli nel mondo.
È proprio in questo senso che ho sempre qualificato come operativa la Massoneria del Marchio, da me introdotta in Italia: operativa non perché nel corso dei nostri lavori si scalpellino pietre, ma perché il suo rituale e la forma in cui esso viene eseguito obbligano i Fratelli a non essere Massoni per finta, a vivere davvero i nobili principi che la Massoneria incarna e a proiettarli sul mondo.
Noi siamo così, ma purtroppo gran parte dell’Istituzione non segue lo stesso cammino, e risulta essere speculativa nel senso deteriore del termine: si specula, ovvero si guarda, e non si fa niente - né per la propria evoluzione personale, né per quella dei Fratelli, né per quella della società.
Come mai ci siamo tanto abbassati? Molta parte, credo, sarebbe da addebitare alla burocratizzazione dell’istituzione massonica - un fenomeno che risale ai tempi di Napoleone, ma che anche da quando ha perso le sue ragioni storiche, ben lungi dall’arrestarsi, ha continuato sempre di più e sempre peggio: niente oggi impera di più dei percorsi tracciati, delle carriere programmate a tavolino, delle dignità massoniche elargite sulla base della… ruffianeria, per disgregare tutti gli ideali di cui siamo portatori e trasformarli in un nulla.
L’attuale suddivisione della Massoneria universale in un gran numero di grandi Ordini collegati tra loro in base al principio del reciproco riconoscimento (per non parlare dei piccoli Ordini selvaggi, che - come ha ben spiegato il mio amico Mansuino - sono in certi casi i custodi di antiche forme di ortodossia massonica che altrimenti andrebbero perdute, ma in altri casi… sono una delle nostre principali fonti di guai con la giustizia) - questa suddivisione dicevo, aveva senso una volta, quando i Massoni dovevano fare i conti con un mondo spaccato dal punto di vista ideologico e politico, ed era bene quindi che (per poter lavorare meglio) si raggruppassero sulla base delle loro opinioni; ma adesso, in un mondo globalizzato e dominato dalla facilità delle comunicazioni, gli antichi potentati massonici non hanno più senso se non come centri di potere.
Soprattutto nell’ultimo decennio, ho visto alcuni importanti Ordini travalicare quello che dovrebbe essere il loro ruolo, ovvero quello di strutture amministrative, che esistono per fornire alle Logge un punto di riferimento e facilitarne l’attività (per esempio, mettendo loro a disposizione un Tempio comune), e tendere invece ad avocarsi il carattere di veri e propri governi, moltiplicando obblighi e regole ed emanando sentenze e condanne.
Questo ci allontana sempre di più da quel tipo di Massoneria - ancora memore della sua storia – che io ho fatto in tempo a conoscere, o perlomeno a intravvedere.
Un tempo, si poteva davvero affermare che le Logge fossero indipendenti e sovrane; e, devo dire, erano perlopiù formate da Fratelli che esercitavano nella vita profana diverse professioni, e trovavano nel riunirsi una gioiosa occasione di confronto. Oggi, invece, sempre più mi balza agli occhi la tendenza a trasformarle in piccole lobbies, nelle quali gli esponenti di certe attività invitano quei loro colleghi coi quali intendono formare un fronte comune, e anche le persone che considerano utili al raggiungimento dei loro obbiettivi profani.
Mi è capitato qualche volta di criticare questa situazione e sentirmi rispondere che anche la Massoneria uscita dal Risorgimento, quella che ha fatto la storia del nostro Paese, funzionava così; ma non scherziamo! Innanzitutto, il livello a cui operava era incomparabilmente più elevato; poi, il cemento che la univa era l’adesione a un ideale comune, quel dignitoso e moderato laicismo che consentì al giovane Stato italiano di formarsi dal punto di vista politico e culturale, così che poté infine trattare la Conciliazione con la Chiesa su un piano di parità.
Tutta questa gloriosa storia ha ben poco a che vedere con il modo scandaloso in cui oggi certi profani vengono… tirati a bordo perché a qualcuno fa comodo farlo, senza assicurarsi delle loro qualificazioni massoniche e senza curarsi di fornirgli un minimo di istruzione; né con lo spirito profano che si respira in certe Officine governate dall’egoismo, dall’invidia, dalla cattiveria, dalla maldicenza e dalla malevolenza; né con il modo urtante in cui certi… professorini pensano di poter trapiantare la loro presunta cultura nel lavoro di Loggia, trasformandola nella platea delle loro esibizioni di vuota vanità… e potrei continuare!
L’ho già detto in altri articoli, e mi dispiace tantissimo doverlo ripetere, ma chi fa le spese di questa situazione è uno solo: il Fratello umile, onesto e corretto, che era entrato in Massoneria credendo fosse un’Istituzione volta al miglioramento dell’umanità, per ritrovarsi poi di fronte alla degradazione e allo snaturamento dei valori e dei landmarks ai quali dovrebbe ispirarsi.
Forse era meglio una volta, quando per entrare bisognava conoscere di persona qualcuno che ne facesse già parte; e con quanta reverenza e rispetto il profano si accostava, nutrendo l’intimo timore di non essere considerato degno!
A quei tempi, l’iter era molto selettivo e rigoroso tanto per il Fratello che si assumeva la responsabilità morale (e finanziaria, non dimentichiamolo) del bussante, quanto per la valutazione della domanda stessa. Dapprima essa veniva valutata dal Maestro Venerabile, che ne informava la Loggia, poi egli incaricava tre esperti Fratelli di prendere informazioni sulla persona.
I tre Fratelli osservavano il profano, lo incontravano, e dopo averlo soppesato per diversi mesi scrivevano una relazione che consegnavano singolarmente al Maestro Venerabile; il quale poi la leggeva in Loggia a lavori aperti, in modo che tutti potessero intervenire senza ricevere pressioni, e le loro eventuali osservazioni significative fossero messe a verbale (il che non inficiava il loro diritto a comunicare, eventualmente, in privato al Maestro Venerabile le loro perplessità sul bussante).
Così si creavano i Massoni… e questo complesso percorso, che si chiama tegolatura, era preliminare e più importante rispetto all’iter amministrativo dell’iniziazione.
In quell’Italia più semplice, la parte burocratica si risolveva necessariamente entro un mese; invece la tegolatura poteva durare anche qualche anno, e se così accadeva, ciò non veniva interpretato come se il bussante dovesse essere scartato - significava solo che la sua Officina stava facendo le cose bene, e in modo scrupoloso.
Oggi funziona diversamente: si può entrare senza conoscere nessuno, tramite i siti degli Ordini, i quali smistano le domande tra i Collegi circoscrizionali delle varie regioni d’Italia; e questi a loro volta le smistano alle Logge del territorio dove il bussante risiede o lavora.
Mi ha fatto senz’altro piacere leggere in rete che c’è un boom di domande di giovani che chiedono di entrare in Massoneria… ma con qualche riserva. Ovvero, se facessimo le cose bene ci sarebbe solo da esserne contenti; invece temo che faranno entrare tutto il gregge, pensando soprattutto ai soldi che porteranno, e in questo modo si farà un altro passo verso lo snaturamento dei nostri valori, e verso una Massoneria sempre più quantitativa e meno qualitativa.
Tutto questo lo giustificano con la scusa che i tempi sono cambiati e che bisogna aggiornarsi, dimenticare la nostra riservatezza, aprire le porte del Tempio… qualcuno vorrebbe anche fare pubbliche processioni con grembiuli, collari, medaglie, medagliette e labari (Viva, viva Sant’Eusebio, protettore dell’anima mia…) - e a monte di tutte queste belle idee, cosa c’è? L’idea che la Massoneria sia come un vestito che si può cambiare secondo le mode e i tempi, e non un’Istituzione fondata su regole, principi e landmarks invalicabili.
Quando si cominciano a toccare o modificare soltanto alcune delle nostre regole, dobbiamo cominciare a preoccuparci ed a riflettere, chiedendoci se non sia il caso di intraprendere una buona volta il percorso di ritorno verso la nostra riservatezza e la nostra sacralità di uomini liberi e di buoni costumi, che si riuniscono per lavorare al bene ed al miglioramento dell’Umanità.
Fratelli, i veri Massoni sono il fiore all’occhiello di tutte le nazioni che hanno la fortuna di ospitarli.
Soltanto uniti siamo forti; altrimenti, andiamo verso la condanna di dover subire a capo chino tutte le prevaricazioni da parte di coloro che ci vogliono male.
Pertanto riflettiamo, e cominciamo col chiederci se sia giusto imporre ai profani che bussano alla nostra porta un percorso che non è più severo sul piano umano, come era una volta, bensì piuttosto… sul piano burocratico.
Ai nostri giorni, i grandi Ordini hanno il terrore di far entrare chiunque abbia avuto la minima disavventura con la giustizia (come se una selva di giornalisti antimassoni col pugnale stretto fra i denti fosse sempre in agguato dietro l’angolo), e credono che il potere magico di un certificato penale senza macchia abbia il potere di sbiancare anche l’anima.
Io, invece, preferirei che la valutazione dei difetti e delle qualità di un bussante fosse di nuovo - come un tempo - un problema che riguarda soltanto noi Massoni, senza sentirci obbligati a rendere conto a nessuna autorità profana.
E, sempre a proposito del… certificato penale, avrei qualcos’altro da dire (approfittando del fatto che i miei quarant’anni non insignificanti di Massoneria inducono i Fratelli che mi leggono ad essere indulgenti verso le mie stranezze): ovvero vorrei dire che esso non ci insegna niente sulle vere qualità morali e sui difetti di una persona.
A parte il fatto che non è massonico l’affidarsi ciecamente a un documento profano (dovremmo essere noi quelli qualificati a decidere chi sia degno di stare con noi o no), in questo mondo super-complicato le condanne penali possono anche derivare da comportamenti non biasimevoli dal punto di vista etico, tipo errori del nostro commercialista, violazioni del codice stradale causate dalla stanchezza, errori di altre persone delle quali noi eravamo legalmente responsabili; o per qualche malattia depressiva che ti esaurisce - magari perché sei stato impotente a difenderti dalle prepotenze e dalle imposizioni del mondo profano, che è sempre più impareggiabile nell’arte di spremere le persone, fino al punto di toglier loro l’equilibrio ed ogni retta facoltà mentale.
Io credo che sia vero il proverbio Chi non fa non falla, e capita purtroppo che le persone più socialmente attive - ovvero in altri termini le migliori, per non dire le più buone - siano talvolta anche le più vulnerabili alle trappole disposte da chi come loro non è.
Ci sono anche dei Massoni che ogni tanto cadono vittima di tali disgrazie, e per loro la Loggia dovrebbe rappresentare il rifugio, la consolazione e la salvezza. Invece, grazie all’idolatria del certificato penale, cosa gli succede? Che oltre alle conseguenze che devono patire nel mondo profano, gli tocca anche sottomettersi al giudizio da parte dei Fratelli!
Sia chiaro, non sto riferendomi a un Ordine massonico particolare - è un problema che riguarda la Massoneria speculativa di tutto il mondo, ed è a mio avviso una conseguenza della sua trascuratezza nei rapporti con l’opinione pubblica.
Non siamo mai stati capaci di spiegare chi siamo, favorendo in questo modo la comparsa di persone in malafede che - in rete o alla tv - attirano l’attenzione su di sé calunniando la Massoneria; e quanto più questo fenomeno aumenta, tanto più alcuni Massoni ne hanno paura, e si diffonde la tendenza a far concessioni al mondo profano.
Già più di trent’anni fa, il Grande Oriente d’Italia dovette pagare il pedaggio dello scandalo P2… abolendo dal rituale di iniziazione i cappucci: cosa assurda perché, come tutti i Massoni della mia età sanno bene, in una fase successiva del rito erano i Fratelli stessi a sfilarseli.
Non ci sarebbe voluto molto impegno per far conoscere all’opinione pubblica questo dettaglio, insieme alle altre informazioni necessarie a far comprendere che nel simbolo del cappuccio non c’era niente di illegale né di immorale; eppure non si volle farlo perché - come qualche importante Fratello disse allora - non siamo tenuti a fornire ai profani giustificazioni sul significato dei nostri simboli.
Questa sarebbe stata una frase memorabile, non fosse per il dettaglio che, se i giornalisti ci attaccavano per i cappucci, questo voleva dire che dei simboli erano già al corrente - e allora, che senso aveva consentire che li distorcessero senza spiegare cosa significavano veramente?
E comunque, sarebbe stata ancora una frase memorabile se all’orgoglio delle parole avesse fatto seguito quello dei fatti… invece ci affrettammo subito a calarci le mutande, ovvero ad abolire i cappucci, e in questo modo una parte del rituale di iniziazione andò perduta.
Se andremo avanti lungo il cammino delle concessioni ai pregiudizi dei profani, ecco che le violazioni della purezza dei nostri antichi rituali si moltiplicheranno (altre ne sono già accadute), e si parlerà anche di riscrivere le nostre Costituzioni, eccetera…
Ma non sarebbe meglio, dico io, avviare un serio lavoro di informazione per far sapere chi siamo, estirpando in questo modo definitivamente la mala pianta delle calunnie nei nostri confronti?
Se tanti galantuomini profani potessero avere della Massoneria una visione corretta, è probabile che scoprirebbero di essere sempre stati Massoni senza saperlo, e verrebbero con noi; e tanti altri, che meditano di entrare per soddisfare le loro torbide fantasie di potere occulto, non ci verrebbero; ed il livello etico e morale della nostra Istituzione non potrebbe che guadagnarci fortemente, compiendo un passo decisivo verso quella che io considero la sola e vera Massoneria operativa, quella contrassegnata dall’alta qualità del lavoro.
Sarebbe questa anche la fine, credo, della contrapposizione che nei miei articoli con Mansuino abbiamo già trattato più volte: quella tra Massoneria di indirizzo esoterico e di indirizzo sociale.
Ci siamo mai chiesti perché nella Massoneria inglese questa contrapposizione non esiste? Bene, al di là delle differenze storiche (e delle differenze di impostazione da esse generate, che ovviamente vanno prese in considerazione), la ragione principale è che gli Inglesi dedicano all’esecuzione dei riti un’attenzione scrupolosa: per esempio, non esiste in Inghilterra che un Ufficiale di Loggia non conosca la sua parte a memoria, e che l’esecuzione dei suoi gesti e dei suoi passi non sia perfetta.
Quando si lavora così, ed il Fratello può trovare soddisfazione ed appagamento alla sua ricerca nell’intimo del rito, quanto spazio rimane per le differenze ideologiche e i dissapori? Ben poco!
Invece da noi succede troppo spesso che entrino dei giovani i quali hanno imparato ad amare la Massoneria leggendo libri, e rimangono poi delusi dall’impatto con una realtà nella quale agli aspetti interiorizzanti del nostro patrimonio simbolico non si pensa affatto; anzi, si trovano sedicenti Fratelli che sbandierano il loro disinteresse nei confronti dell’esoterismo come un titolo di merito, e tutto il loro presunto lavoro si risolve in squallide e meschine dinamiche per il controllo della Loggia.
Ben raramente, purtroppo, ho visto affrontare problemi di questo genere di petto, o meglio con il cuore. È forse perché non ci sentiamo all’altezza di poter dare a quei giovani quello di cui sono venuti in cerca? Bene, se la pensiamo così ci sbagliamo: basterebbe assai poco per accontentarli - soltanto tornare umilmente ad incentrare il lavoro delle Logge Azzurre sullo studio del nostro simbolismo e mettere a freno il nostro orgoglio, rendendoci conto di quanto sia assurdo subordinare quel gran tesoro che è il lavoro di Loggia a maneggi di potere.
Personalmente, vengo talvolta criticato per l’eccessiva attenzione che dedico all’ammissione di nuovi bussanti - e devo dire che talvolta i Fratelli hanno avuto ragione a criticarmi, in quanto fare del proselitismo massonico è sempre un errore; l’attenuante che devo invocare, però, è che l’ho sempre svolto nel modo più disinteressato, cosa che non si può dire di tanti… pezzi grossi che sono avversari del proselitismo a parole e poi lo praticano nei fatti, portando in Massoneria personaggi senza alcuna reale qualificazione se non quella di svolgere un ruolo funzionale ai loro interessi.
È proprio da persone di quel genere, dedite a forme di consociativismo che senz’altro massoniche non sono, che possiamo aspettarci l’emergere nelle Logge dei comportamenti più profani: egocentrismo, superficialità vanitosa, arrivismo, ipocrisia, adulazione, maldicenza, tendenza alle divisioni, tradimenti, mania di giocare ai complotti, ostentazione delle ricchezze profane, politica vissuta non come impegno sociale ma per motivi di autoaffermazione, e così via.
Lungi da me il volermi erigere a giudice: non sono io che li condanno, è il più fondamentale e basilare dei nostri simboli - quello che si impara il primo giorno di Massoneria, e recita che i metalli vanno lasciati fuori dal Tempio.
Non sono io che li condanno: sono i due (per me) sacri Trinomi, che ogni Fratello dovrebbe portare impressi nella sua anima - Sapienza, Bellezza, Forza e Libertà, Uguaglianza, Fratellanza - ai quali a me è sempre piaciuto aggiungere un piccolo binomio, Tolleranza e Umiltà.
Sono questi i valori dell’antica muratoria operativa che avrebbero dovuto perpetuarsi nella Massoneria del dopo - 1717, se la politica non si fosse messa subito di mezzo, e se certe correnti massoniche non fossero state scartate perché tenevano il punto sui valori etici dell’Istituzione, e per questo non sembravano funzionali ai discorsi di potere.
Ma il tempo è galantuomo, e quelle antiche correnti stanno ora risorgendo. La Massoneria del Marchio e i suoi side degrees sono stati di gran lunga il più grande successo del panorama massonico italiano dell’ultimo decennio, e i Maestri in waiting list per entrare a farne parte sono centinaia - sarà difficile trovarne traccia nelle pubblicazioni della letteratura massonica ufficiale, ma chi è nell’ambiente lo sa.
Sono stato io il primo, in collaborazione con lo scomparso Fratello Massimo Vettese, a introdurre nel GOI questo discorso; siamo stati noi, increduli e commossi, a veder risorgere - in seguito al nostro umile lavoro - la Massoneria delle origini, pura e operativa, consacrata al lavoro interiore.
Sappiamo che il domani è nostro, ma nell’oggi non stiamo avendo vita facile. Tanto nel GOI quanto nella GLRI, i Maestri Massoni del Marchio sono ancora una minoranza di idealisti, spesso bollati (come a me è capitato tante volte) con l’appellativo - tra l’affettuoso e l’ironico - di Don Chisciotte; ed in effetti, il nostro è un combattimento quotidiano contro i mulini a vento che soffiano, parlano, fanno grandi proclami, ma stringi stringi del vero mistero della Massoneria non sanno nulla…
Nel cuore della nostra esperienza, oltre alla gioia ineffabile che ci deriva dalla purezza e dalla qualità del nostro lavoro, c’è il vibrare degli Antichi Doveri (sia italiani che internazionali), la cui ombra lunga si ripercuote tangibilmente sui nostri rituali, fornendoci ad ogni tornata ampi argomenti di riflessione esoterica; dai quali possiamo comprendere che la Massoneria non ha nulla da invidiare ai principali cammini iniziatici del mondo, anzi semmai ne fu la maestra.
Però, Fratelli, non vorrei che voi vi ingannaste e supponeste che io sia un grande iniziato: la maestranza massonica è collettiva, e soltanto dal lavoro comune possiamo ricavare motivi di avanzamento.
Tutto quello che io posso fare è fornire un buon esempio, disinteressato dal punto di vista del denaro e moralmente retto, per avere il diritto di indicare il cammino della vera Massoneria a tutti quei Fratelli italiani che si sentano degni di farne parte.
Questo umile compito è per me lo scopo della vita e la cosa più bella del mondo; a fronte del quale tutta l’ingratitudine, la cattiveria e la malignità che i Massoni italiani del Marchio hanno dovuto sopportare si dissolvono nel nulla, si cancellano come neve al sole.
La mia unica soddisfazione e ricompensa è quella di aver cercato di fare del bene, o almeno di averci provato - nella speranza che, quando lavorerò all’Oriente Eterno, io possa essere ricordato in un solo modo: come un buon Massone.
Giovanni Domma
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