Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino indice articoli
Sull'esoterismo tradizionale
Gennaio 2010
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Non so se è lo stesso per i miei lettori, ma per me la dualità costituita da tradizione e progresso ha sempre costituito un enigma di primaria importanza, stimolo e ostacolo insieme per una corretta comprensione dell’esoterismo.
Nella vita profana, che non pretende da noi l’adesione a principi e leggi di carattere generale, è facile eluderla formandosi un’opinione in base alla nostra esperienza e alle nostre tendenze, che può variare da un momento all’altro a seconda dei casi: difficilmente un patito della Formula 1 sarà per indole contrario al progresso, ma se la moglie dovesse un giorno lasciarlo per mettersi a fare la escort, vedremmo ridestarsi in lui i valori della tradizione.
Se l’intento di questa mia riflessione non fosse quello di trascendere il livello sociale, sarebbe estremamente facile concluderla in poche parole: ovvero che – nel mondo dell’esoterismo come altrove - il concetto di tradizione fu creato artificiosamente da coloro a cui il progresso rompeva le uova nel paniere.
Si formò infatti negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione Francese, quando l’Europa prese atto che stava capitandole qualcosa di mai visto prima - la sovversione del sistema di classi sociali esistente in precedenza, come risultato del processo di emancipazione delle classi inferiori.
Non mancarono allora parecchi scrittori e filosofi – anche in gamba – che vuoi per campare, vuoi per intima convinzione sposarono in toto la causa della nobiltà. Dal punto di vista letterario, una delle loro iniziative più fortunate fu di radunare nel suddetto paniere tutto ciò che stimavano fosse ancora conservabile o recuperabile dell’ordine sociale precedente: il potere temporale della Chiesa, la regalità per diritto divino, il sistema feudale di caste e chi più ne ha più ne metta.
Trovarono un grosso aiuto in Oriente, dove era possibile reperire un gran numero di esempi di antiche istituzioni, presumibilmente tradizionali, ancora intatte; poi mescolarono bene, e di tentativo in tentativo - lungo l’arco dell’Ottocento - prese forma poco a poco una bella teoria, che agli albori del ventesimo secolo René Guénon (1886-1951) avrebbe fissato nella forma attuale.
Nell’articolo Guénon, Gurdjieff, Crowley e Castaneda ho dedicato una pagina affettuosa a questo vero gigante dell’esoterismo, la cui opera a mio giudizio andrebbe letta e meditata anche da parte di quanti non ne condividono i contenuti; perché più vado avanti, più mi rendo conto dell’esistenza di una autentica discriminante qualitativa tra gli esoteristi, in favore di chi ha assimilato Guénon rispetto a quanti non lo conoscono.
Ma prima della sua comparsa, molte cose erano accadute nel mondo. Era arrivato Marx, altro autore su cui si può discutere, ma su un punto oggi tutti sono d’accordo: che le rivoluzioni (se mai un’altra ne dovesse arrivare) avvengono allorché lo sviluppo delle forze produttive non è più contenibile nell’ambito dei rapporti di produzione esistenti.
C’era voluto parecchio tempo perché questa idea si imponesse sulla concorrenza: a quei tempi, infatti, la destra pensava di non avere il minimo interesse a istruire il popolo, e cercava di evitare che le masse venissero a conoscenza della verità (tempi molto diversi da oggi, come si vede). La verità però, specie se spinta da un certo numero di cortei con bandiere rosse, prima o poi viene a galla, e oggi nessuno - neanche Tremonti - si sognerebbe di negare il primato dell’economia, che peraltro è abbastanza evidente.
Quando Guénon arrivò, questo concetto era ormai diventato patrimonio comune, e ad esso si erano già conformate le correnti culturali dominanti, filosofia inclusa. E’ questa la principale ragione per cui la splendida enunciazione guenoniana del punto di vista tradizionale (che dedica all’economia solo un modesto capitoletto ne Il regno della quantità e i segni dei tempi, e attribuisce il progresso all’avvicendamento dei cicli cosmici) se scritta cinquant’anni prima sarebbe diventata il faro del pensiero reazionario mondiale, e oggi Berlusconi sarebbe un guenoniano convinto ; ma agli albori del secolo breve era invece inevitabilmente destinata a passare inosservata come avviene per ogni forma di pensiero eterodosso (incluso, nel suo piccolo, il mio).
Per molti anni quindi il guenonismo restò impaludato nelle lagune del pensiero esoterico, che erano a quei tempi molto più ristrette di oggi; ambiente nel quale, d’altra parte, incontrò la massima fortuna, perché i mammiferi che lo frequentano - come ha osservato opportunamente Umberto Eco - sono onnivori, e più un pensiero è eterodosso più gli piace.
In quel ristretto ecosistema figliò anche varie sottospecie (anche se, nella mia opinione, nessuna all’altezza dell’originale). Poi negli anni settanta - decennio in cui al boom economico e al sorgere delle culture giovanili fece seguito il corrispettivo boom editoriale – spiccò il volo: fu allora infatti che una ristampa quantitativamente senza uguale delle opere di Guénon cominciò a mietere consensi proprio tra quei ragazzi che, dal punto di vista tradizionale, invece di mettersi a leggere libri avrebbero fatto meglio a continuare a spezzarsi la schiena nei campi come i loro antenati.
Era l’alba di una rivoluzione piuttosto diversa da quella che gli studenti del Sessantotto avevano sognato: potremmo anche provare a chiamarla rivoluzione esoterica, ma l’aggettivo è improprio, perché si trattò in realtà di un aspetto – uno dei tanti - del processo oggi in corso di retribalizzazione dell’Occidente; a mio giudizio sarebbe quindi più opportuno definirla rivoluzione sciamanica.
Comunque la vogliamo chiamare, nessuno o quasi a quei tempi capì cosa stava accadendo. Non lo comprese senza dubbio la Massoneria, che (almeno in Italia) da un secolo abbondante era avvezza alla schiacciante maggioranza della sua componente sociale rispetto a quella – numericamente insignificante - di indirizzo esoterico; nel giro di pochi anni questi numeri sarebbero stati messi in discussione, e se oggi non possono dirsi già ribaltati è soltanto perché - in Massoneria come nella Chiesa - le vecchie generazioni detengono ancora le leve del potere, e come è naturale si sforzano di perpetuarlo a propria immagine e somiglianza.
Nel mondo giovanile, a dire il vero, forse qualcuno capì qualcosa: sto pensando a chi gravitava nel microcosmo (micro a quei tempi) della cultura di destra, e aveva familiarità con autori sul tipo di Elemire Zolla, enigmatico giornalista-sciamano dalle misteriose qualità profetiche. Ma non di certo noi postsessantottini, e meno che mai i fratelli minori del Settantasette; perché a quei tempi, la possibilità di essere compenetrati da un fenomeno culturale di massa non di sinistra era quanto di più lontano potesse esistere dai nostri pensieri.
Avremmo forse evitato di cascarci se il PCI, invece di combatterci perché disturbavamo il suo trip allucinogeno di compromesso storico, si fosse mai occupato di spargere alla sua sinistra un po’ di semi di vero materialismo. Ma invece, ammettiamolo, restammo completamente fregati: Guénon, Tolkien, Hermann Hesse e altri scrittori che andavano per la maggiore in quel periodo – il cui tratto comune era di proporre l’idea di tradizione nella sua veste più accattivante – rivestirono loro malgrado la funzione di cavalli di Troia, per mezzo dei quali il pensiero tradizionale affondò le radici nell’immaginario giovanile.
Si arriva dunque ai nostri giorni, quando l’esoterismo tradizionale è diventato una realtà importante con cui anche la politica si ritrova talvolta a fare i conti (per esempio, non so se qualcuno ricorda i discorsi della sig.ra Irene Pivetti quando era deputato: a me facevano l’effetto di un commentario di Guénon scritto da un cattolico che ha bevuto qualche bicchiere di troppo).
Per quanto concerne la Massoneria, le molteplici conseguenze del dibattito tradizione / progresso sviluppatosi al suo interno sono assai complesse, e richiederebbero una trattazione specifica. Qui vorrei solo precisare che il recente rifiorire degli studi tradizionali in campo massonico non è stato connotato da alcuna particolare deriva di tipo politico o ideologico (che peraltro sarebbe in contrasto con il carattere apolitico dell’Istituzione): il suo effetto più rilevante è stato piuttosto di far da traino a una rivalutazione della Massoneria di indirizzo esoterico in senso generale.
Per quanto infatti (come ho accennato nell’articolo Sul concetto di regolarità massonica) i nuovi Massoni di indirizzo tradizionale abbiano portato con sé – piuttosto assurdamente – molte idee talvolta in contrasto con le linee-guida della tradizione massonica, obbiettività vuole che gli venga riconosciuto un utile lavoro di studio e approfondimento, sui simboli soprattutto; questa felice vocazione agli studi è in verità una delle qualità migliori degli esoteristi tradizionali anche fuori dalla Massoneria, che non sempre a mio avviso viene loro debitamente riconosciuta.
In ogni caso, l’avanzata della Massoneria esoterica che si sta registrando a partire dagli anni settanta-ottanta non è una novità, ma un ritorno: questa componente, infatti, era già stata maggioritaria lungo quasi l’intero arco del Settecento, almeno fino alla Rivoluzione Francese.
In seguito a quello sconvolgimento politico, il suo regresso numerico era stato talmente brusco da indurre i Massoni britannici dell’Ottocento a ribattezzarla fringe Masonry (Massoneria di frangia): definizione riduttiva, ripresa in Italia da Introvigne, che comporta una buona dose di disprezzo.
Troviamo così una rottura molto netta tra la letteratura massonica ante 1789 e gli scrittori che operarono nei duecento anni seguenti; solo nell’ultimo ventennio o poco più il vento è cambiato, e oggi possiamo assistere alla curiosa rifioritura di opere riconnesse direttamente a realtà culturali del Settecento, come se i due secoli in mezzo non fossero nemmeno esistiti.
Come in tutte le cose umane, ci vorrà – credo – un po’ di tempo per ricreare l’equilibrio; per chi voglia capirne di più può forse essere utile il mio articolo I due progetti della Massoneria.
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