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Thomas Hemerken - Tommaso da Kempis

 

Thomas Hemerken era nato a Kempen [Colonia] nel 1380. Educato alla scuola dei Fratelli della vita comune, cui appartenne anche Geertsz, entrò nel monastero agostiniano di Agnetenberg [Zwolle] di cui divenne priore nel 1448, e in cui morì nel 1471.

 

Di Thomas Hemerken, conosciuto anche con il nome di Tommaso da Kempis, abbiamo 39 scritti autentici: opuscoli ascetici e mistici, opere storiche, sermoni, lettere. L'attribuzione dell'"Imitazione di Cristo" è dubbia. L'ideale ascetico sviluppato in quest'opera corrisponde a quello contenuto negli scritti sicuramente suoi. Contro gli studi astratti della teologia scolastica e le dispute vuote dei logici nominalisti, Hemerken rivendica una saggezza veramente cristiana che produca la salvezza mediante l'unione mistica con dio. Hemerken è uno dei maggiori rappresentanti della "devotio moderna", una corrente di rinnovamento religioso legata ai nuovi fermenti dell'umanesimo, che ebbe il suo centro nei Paesi Bassi e nella Renania tedesca. L'imitazione di Cristo (De imitatione Christi) è divisa in quattro libri, che trattano della meditazione della vita e della dottrina di Gesù Cristo, del colloquio interiore per giungere al rinnovamento di sé stessi, dell'unione mistica con Cristo, dell'unione sacramentale con il Cristo eucaristico. L'opera fu composta in ambiente monastico e era destinata a monaci. L'opera è stata attribuita dai critici di volta in volta a vari autori (sono più di duecento le attribuzioni). La prima edizione dell'opera è quella veneziana del 1483. Nota, per la limpidezza di stile, la traduzione italiana del 1785, di A. Cesari.

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L'imitazione di Cristo di Claudio Attardi

Verso la fine del Medio evo, nel corso del XIV secolo, si cominciano a vedere i segni di una crisi spirituale profonda. La corte papale ad Avignone era concentrata nelle preoccupazioni mondane, mentre infuriava la guerra dei cento anni, e la peste nera (1348) ridusse di un terzo la popolazione europea. L’ordine francescano subisce una lacerazione tra “spirituali” e “conventuali”, mentre finalmente, sotto la pressione di grandi personalità come Francesco Petrarca, S. Brigida di Svezia e soprattutto S. Caterina da Siena, papa Gregorio XI decideva finalmente il ritorno a Roma della sede papale (1377). Ne seguì però in periodo di ulteriore crisi dell’istituzione papale, con lotte intestine e l’elezione di due e persino tre papi. Intanto la speculazione scolastica, sotto la spinta del nominalismo, stava trasformandosi sempre più in una serie di ragionamenti vuoti, senza più la sapienza e l’equilibrio che aveva caratterizzato i maestri del XIII secolo. Anzi il nominalismo crea un solco profondo fra la riflessione teologica, sempre più astratta, e le concrete esigenze della vita spirituale e della sequela Christi. Si ha quindi, per reazione, un movimento che tende a mettere in evidenza le implicazioni psicologiche dell’esperienza cristiana, attraverso la meditazione umile e contemplativa della vita di Cristo, che si traduce in carità fraterna. Questa corrente spirituale proviene dal Nord Europa, esattamente dall’Olanda, ed ha come capostipite Gerardo Grööte. Caratteristiche del movimento sono: rifiuto, per inutilità, dell’eccessiva speculazione teologica; negazione della vita conventuale a favore di una vita di umile meditazione, allo stato laicale, e di evangelizzazione spesa nel mondo; possibilità per tutti di accesso alla contemplazione; questa consiste soprattutto nell’umile meditazione dell’ umanità del Cristo, negli aspetti della sua sofferenza, della sua Passione; tendenza alla meditazione personale, all’introversione, alla sapienza pratica più che alle grande speculazioni teologiche. Siamo quindi agli antipodi della scolastica, con un ritorno ai maestri come S. Bernardo di Chiaravalle. Questa corrente spirituale viene appunto definita devozione moderna.

Questa tendenza moralizzatrice e personalizzante della spiritualità è quindi una reazione, anche giusta, agli eccessi dell’ultima scolastica, alla crisi dell’istituzione papale e della curia romana. Essa si muove comunque dentro la Chiesa, a differenza di Lutero che, un secolo e mezzo dopo, quasi con le stesse motivazioni, se ne andrà sbattendo la porta, si potrebbe dire. Gerardo Grööte basa questa esperienza sulla vita comune, sui gruppi di fratelli e sorelle “ della vita comune”, stabilitisi a Deventer a partire dal 1383. Essi avevano come ideale di vita cristiana la povertà spirituale, tant’è che Gerardo non volle mai prendere il sacerdozio, considerandolo un onore troppo alto, e contentandosi del diaconato per poter predicare. Anche se visse solo 44 anni, lasciò un’importante segno in un gruppo di discepoli, tra cui il più universalmente noto è Tommaso Hemerken da Kempis, autore o ultimo compilatore dell’opera più famosa, ispirata da questo movimento: l’Imitazione di Cristo.

Questo testo non è una vera e propria serie di regole per conformare il discepolo a Cristo, ma è una serie di colloqui tra Gesù e il discepolo, incentrati sulla necessità per il cristiano di spogliarsi di tutte le sue certezze, di rinunciare al proprio io, di rinunciare a capire con ragionamenti la realtà di Cristo e di accoglierla invece con umiltà e fede. Il titolo del testo prende lo spunto quindi non dal contenuto ma dalle prime parole del libro: “L’imitazione di Cristo e il disprezzo di tutte le vanità mondane”. Noi, anche in questo caso, prenderemo alcuni spunti, lasciando parlare l’autore, con commenti atti a sottolineare la particolare corrente spirituale da cui lo scritto deriva. Iniziamo dal libro I, cap. 1, n.1:

“Chi segue me non cammina nelle tenebre, dice il Signore. Queste sono parole di Cristo, con le quali egli ci esorta ad imitare la sua vita e i suoi costumi, se vogliamo veramente essere illuminati e liberati da ogni cecità di cuore. Perciò il nostro più ardente desiderio deve essere quello di meditare la vita di Gesù Cristo... Che giova, a te, discutere profondamente sulla Trinità, se poi non sei umile, e finisci così col dispiacere alla Trinità? Non i profondi discorsi, ma la vita virtuosa, ci rende santi, giusti e cari a Dio. Perciò io desidero più sentire in me la compunzione che saperne la definizione. E se tu sapessi a mente, lettera per lettera, anche tutta la Bibbia e gli scritti di tutti i filosofi, che vantaggio potresti trarne, senza la carità e la grazia di Dio?Oh, vanità delle vanità! E’ tutto vanità, fuorché amare Dio, e servire lui solo. Ed è questa, dunque, la più alta sapienza: avvicinarsi a Dio disprezzando il mondo.”

Già qui si delineano alcuni tratti caratteristici della devozione moderna: umile meditazione della vita di Cristo, senza pretese teologiche, che possono peccare di presunzione. E’ quindi un modo dello spirito cristiano che mette molto in evidenza il lato psicologico dell’ essere in rapporto singolare con Gesù Cristo, staccandosi dalla vanità del mondo. E’ quindi un aspetto molto importante della spiritualità cristiana medievale, che viene messa in evidenza proprio nell’ambito del cammino quaresimale. L’autore del testo vuol subito sottolineare la vanità, cioè il vuoto che sta dietro la mentalità del mondo, che, pur con intenzioni a volte buone, non riesce a riempire il cuore dell’uomo, e non riesce a farlo distaccare da se stesso, dal proprio orgoglio e dalle proprie pretese egoistiche. L’autore poi mette anche il dito nelle piaghe della Chiesa dell’epoca: amore per il denaro, per il potere, pretesa di avere il primato intellettuale, prima che mettere Gesù al centro della propria vita spirituale. Quindi quella dell’autore è una reazione salutare, necessaria: torniamo, sembra dire, a mettere Gesù al centro della nostra vita, per seguirlo umilmente sulla via della croce: la spiritualità dell’Imitazione è essenzialmente cristocentrica.

Oggi, di fronte la società delle immagini, dove l’unico punto di riferimento sembrano essere i centri commerciali o la comunicazione impersonale e fredda che ci offrono i grandi media (Televisioni pubbliche, private e pay-tv, cellulari, o Internet) si sente che tutto questo nasconde un pauroso vuoto interiore. Purtroppo anche la Chiesa, a volte, si lascia abbagliare da questa mentalità iconica, dove il segno (grandi manifestazioni, grandi raduni) sembra prendere il sopravvento sul significante (Dio) e sul significato (formare le coscienze). Solo tornando costantemente a Gesù, come centro dell’esistenza del cristiano singolo e della comunità cristiana, si possono mantenere ferme le redini della propria esistenza spirituale, senza lasciarci coinvolgere nella grande confusione spirituale che regna sovrana nella nostra società. Solo l’umile meditazione della vita di Cristo e la sua imitazione può far sì che usiamo quegli strumenti che la tecnologia ci dà, senza diventarne dipendenti. Umiltà, desiderio di sapienza spirituale, amore a Dio ed ai fratelli sono il punto di riferimento, l’ancora salda e sicura che ci porta verso la salvezza, senza per questo rifiutare ciò che di buono può offrire l’umana intelligenza.

Questo brano fa però riflettere molto anche sulla nostra vocazione cristiana. Infatti noi siamo stati chiamati a mettere Gesù al centro della nostra vita, ognuno nella sua vocazione particolare, e tutti assieme nella crescita comune e nell’aiuto fraterno. Oggi che la vita ci disperde in mille occupazioni, è importante recuperare il senso della nostra vocazione. Il Signore ci ha chiamato, ha trasformato la nostra vita, ci ha dato il suo Spirito, ed oggi chi chiama a testimoniarlo: una testimonianza che si spinge sempre più oltre i nostri confini, oltre le nostre stesse possibilità. Per fare questo però abbiamo bisogno di ritrovare la gioia della nostra vocazione di quell’incontro che ha cambiato per sempre il corso della nostra vita, l’incontro con Gesù. La tendenza all’isolamento, che i molteplici impegni ed una ricorrente stanchezza dovuta alla vita stressante che oggi si fa, sono una tentazione, un pericolo per la nostra vocazione. Infatti, spesso, dietro la stanchezza e lo stress che ci prende, c’è anche il nemico che agisce per infiacchire le nostre forze, ed ostacolare la missione che il Signore ci ha affidato. Perciò la nostra fede deve essere rafforzata, perché “chi segue me non cammina nelle tenebre”: Gesù ci ama, e non ci abbandona mai, è questa la verità profonda del nostro cammino di viatores, di pellegrini sulla terra. Questo deve rafforzare la nostra speranza: Gesù ci ama, in maniera tutta speciale, profonda, oserei dire viscerale. Sono tantissime le vocazioni da lui suscitate tra di noi, una ricchezza di scelte e di vicende umane difficilmente riscontrabili con le nostre sole forze. Perciò basta con i ripiegamenti in noi stessi, o con i dubbi: svegliamoci, facciamoci coraggio a vicenda, perché, anche se non ce ne accorgiamo, giorno dopo giorno, il Signore ci rende sempre più trasparenti di lui, sempre più simili a lui, ed è lui che noi vogliamo imitare. In tal senso è anche importante recuperare il senso del nostro volerci bene, dell’essere assieme: l’amore di Dio infatti, proprio in forza dell’Incarnazione, non è campato in aria, ma ha questo canale privilegiato, l’amore dei fratelli. Quindi coraggio, cerchiamo di camminare in questa dimensione spirituale con rinnovato senso di gioia, di fede, speranza ed amore.

Nel Libro II, capitoli 11 e 12, l’autore delinea con finezza psicologica le difficoltà che il cristiano incontra nella sua adesione e conformazione a Cristo crocifisso:

“Gesù ha, in questo mondo, molti che amano il suo regno celeste, ma pochi pronti a portare la sua croce. Ha, insomma, molti amanti della sua consolazione, ma pochi della sua tribolazione... Non c’è speranza di vita eterna per la nostra anima, senza la Croce. Prendi la tua croce, dunque e segui Gesù: entrerai nella vita eterna.”

Quanta verità in queste poche righe! Oggi come non mai, la ricerca della competizione a tutti i costi, dei beni materiali a tutti i costi, della fama e dell’apparenza a tutti i costi è diventato un modo di fare che distrugge l’uomo. Mai come oggi, il Cristo crocifisso è il grande amore dimenticato dall’uomo. Come mai succede questo? Perché ci siamo lasciati fuorviare tutti, e nessuno ci richiama più alla nostra condizione umana di viatores, di pellegrini sulla terra? Come mai tanto edonismo cioè tanta ricerca di beni materiali, di soddisfazione personale ed egoistica? Diceva il grande poeta francese Baudelaire: “Toglietemi ciò che è utile, ma lasciatemi il superfluo” Questa frase sembra una battuta ironica, in realtà fotografa perfettamente la situazione dell’uomo attuale, affogato di superfluo e di informazioni, ma senza nessuno che formi la sua coscienza. Sarebbe necessaria una nuova maieutica cristiana, se così si può dire, anche perché noi abbiamo a nostra disposizione un tesoro immenso e che non finisce mai, le ricchezze di Cristo. Ma oggi, tutto ciò sembra roba vecchia, aria fritta e rifritta, cose ormai superate, e noi tutti sembriamo come quei cavalieri dell’Orlando furioso, che venivano attirati nel palazzo del mago Atlante, nell’illusoria speranza di trovare quello che cercavano. Sappiamo tutti molto bene che la nostra è una condizione di pellegrini, di viator, e che non possiamo evitare problemi ed angustie, ma tutti fanno finta che queste cose non esistano, e si presentano come mascherati, intenti il più possibile a nascondere la propria debolezza, la propria croce. Il cristiano sa però che l’unione a Cristo sofferente è l’unica speranza, l’unica via per dare un senso alle tante croci del mondo, alla sofferenza ed al dolore del vivere quotidiano, dello stress e della competizione che attanagliano la società.

L’autore dell’Imitazione prosegue poi mostrando come la vita dell’uomo è segnata da questo mistero di sofferenza:

“Vedi dunque che tutto sta nella Croce... Non c’è altra via che questa... per arrivare alla vita e alla vera pace dell’anima. Portati dove vuoi, cerca tutto ciò che desideri: non troverai nessuna strada più alta e insieme più sicura di questa della Santa Croce. Disponi e ordina ogni tua cosa secondo la tua volontà e il tuo gusto; e non troverai che da soffrire in tutti i modi, o spontaneamente o tuo malgrado: E così ti troverai sempre dinanzi la croce, perché o avrai qualche dolore fisico o ti tormenterà qualche sofferenza morale. Talvolta subirai l’abbandono di Dio, talvolta dovrai sopportare il tuo prossimo e, peggio ancora, spesso sentirai il peso di te stesso, senza che tu possa a tutto questo trovare un rimedio o un mitigazione o una consolazione... La Croce, insomma, è sempre pronta... Dovunque tu vada, non puoi sfuggirle, perché avrai sempre te stesso con te.” Inutile tentare quindi di fuggire, perché la sofferenza, il dolore fisico, morale, spirituale, sono esperienze che toccano ogni uomo. Ma è proprio dalla Croce di Cristo che il credente trova la forza e la fede per superare le inevitabili difficoltà dell’esistenza:

“A molti riesce duro il sentirsi chiedere di rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguire Gesù... Ma ...Se tu porti la Croce volentieri, essa porterà te, e ti condurrà alla meta desiderata... Se invece porti la Croce controvoglia, ti creerai un peso superiore alle tue forze, che dovrai sostenere lo stesso. Se tu getti via una croce, subito ne troverai un’altra, forse più pesante. Speri, infatti, di evitare ciò che nessun mortale ha mai potuto evitare?...Ma se tu tieni gli occhi sempre su te stesso, non potrai mai arrivare a capire tutto ciò.”

Quindi la rinuncia al proprio io, a se stessi, per conformarsi a Cristo, è l’idea di base che attraversa un po’ tutta l’Imitazione. Non è certo un’idea nuova, ma è l’impostazione che è diversa, profondamente diversa da quella scolastica, soprattutto dalla scolastica decadente di cui l’autore è contemporaneo. Quella cerca le ragioni filosofiche, senza alcun riscontro pratico, qui invece la teologia della Croce si fa adesione intima, personale, pratica, come una regola per tutta l’esistenza. Ora, noi sappiamo bene, ed è quasi come un istinto naturale, che a nessuno piace la sofferenza, la malattia, le privazioni, le penitenze i digiuni. Oggi infatti si è diffusa una moda fuorviante per la quale il benessere dell’uomo passa attraverso alcune pratiche che esaltano la perfezione del corpo, l’annullamento delle passioni, per raggiungere con la pratica ascetica, alimentare e sportiva, la pace interiore. Questa mentalità, tipica della New Age, trova le proprie radici nelle religioni orientali. Invece l’autore dell’Imitazione indica un altra via, per poter raggiungere la vera felicità, la vera pace, cioè l’amore di Gesù, mite ed umile di cuore:

“Fortunato chi comprende che cosa sia amare Gesù e per lui disprezzare se stessi…L’amore della creatura è ingannevole e malsicuro; l’amore di Gesù è fermo e costante. E perciò chi si attacca alla creatura, che ha fine, avrà fine con essa; ma chi abbraccia Gesù, non potrà essere più essere scosso per tutta l’eternità. Ama lui, dunque, e tienitelo sempre amico: quando tutti t’abbandoneranno, lui solo non t’abbandonerà, e sarà lui a salvarti dalla rovina.” Io penso, cari fratelli, che nessuno di noi possa dire di essersi potuto salvare sempre con le proprie forze o con le proprie capacità: anche il più potente, il più sapiente, il più intelligente tra di noi ha sperimentato prima o poi momenti in cui nessuno era in grado di fare niente per lui: allora, mettendosi a pregare, gridando al Signore come gli apostoli sulla barca “Signore salvaci!”, Gesù è intervenuto e ci ha salvato. Sono innumerevoli le circostanze in cui ciascuno può testimoniare quest’opera di salvezza del Signore. Perciò anche questa riflessione apre ad una grande speranza. Pur nelle prove, nelle sofferenze, nelle croce quotidiana, se noi abbracciamo Gesù, sentiremo un amore, una gioia, una speranza dentro il cuore, che ci aiuterà a superare i nostri momenti più bui, più negativi, più impegnativi, anche quando tutto e tutti sembrano rivoltarcisi contro. In questa Pasqua dell’anno 2001 dovremo sentire la gioia di dire: sono morto con Cristo, e con lui sono risuscitato a vita nuova.

Vi confido, cari navigatori , che non mi è stato facile affrontare la lettura dell’Imitazione di Cristo. Non a caso i medievali chiamarono questo scritto “ il quinto Vangelo”. L’autore, certamente ispirato da Dio, penetra fin nelle pieghe più intime di chi legge il testo, e ne mette alla luce innumerevoli difetti, manchevolezze e peccati, e per me non è stato diverso, anzi! Però è un po’ come prendere per un attimo la scossa. Fa male, però ti risveglia, ti scuote, ti fa capire come ogni giorno si prendono strade molto diverse da quella vera. La finezza psicologica dell’autore è degna del miglior Freud o Jung, la sua battaglia interiore per morire a se stesso ed imitare Cristo è costante, anche troppo, per un credente “normale”, come noi. Per l’autore, però, un credente “normale” equivale ad un credente fiacco, quasi ad un miscredente. E’ fortissimo ad esempio, quando egli mette alla berlina la nostra smania di successo (molto di moda in questa società del successo a tutti i costi):

“E avverrà pure che quanto diranno gli altri sarà ascoltato, e quanto dirai tu non sarà tenuto in nessun conto. Gli altri chiederanno e otterranno: chiederai tu, e non otterrai niente. Gli altri saranno grandi agli occhi del mondo; di te non si parlerà neppure. Agli altri si affiderà questa o quella mansione, mentre tu sarai giudicato buono a nulla. Per tutto questo, in te, la natura fremerà abbastanza spesso; ma ogni volta che saprai soffocare la sua voce, ti guadagnerai un merito non piccolo.”

Ancora una prospettiva che rovescia la mentalità del mondo, soprattutto di quello in cui scrive l’autore del libro, in cui tutti, compresi i membri della gerarchia ecclesiastica e i teologi, sembrano alla ricerca del successo e della fama, piuttosto che l’umile conformazione a Cristo, la sua imitazione. Rovescia anche la nostra mentalità, a volte troppo superficiale, non abituata a ragionare con profondità, se non si prega e non si ascolta la sapienza divina. Gli insuccessi rientrano però anch’essi nel piano di Dio, e quindi la loro sopportazione è indice di umiltà.

“Se tu guarderai soltanto alle apparenze esteriori, proverai presto la tua delusione: potrà infatti capitarti di cercare nei tuoi simili consolazione o guadagno, e ritrarne invece un danno. Ma se in ogni cosa tu cerchi Gesù, non potrai trovare che Gesù, così come, cercando in ogni cosa te stesso, troverai sempre te stesso, con tuo grande discapito: perché, quando non cerca Gesù, l’uomo è a se stesso più dannoso che tutto il mondo e tutti i nemici messi insieme.”

Anche qui l’autore dell’Imitazione va fino in fondo all’anima del lettore, perché di nuovo illumina ogni nostro comportamento, ogni nostro pensiero, ogni minimo movimento della ragione e del cuore. L’autore si trova poi in circostanze storiche nelle quali sia la Chiesa che i credenti hanno perso il grande slancio dell’epoca di S. Francesco o del monachesimo benedettino. Tutta la Chiesa appare a questo scrittore estremamente fiacca nello spirito, presa da desideri mondani e dalla smania del successo. In una simile situazione, chi cerca Gesù? Egli è ancora una volta dimenticato da tutti. La tensione mistica, tipica degli idealisti popoli nordici, aveva prodotto in seno alla Chiesa medievale, grandi figure come S. Ildegarda, S Brunone, S. Norberto, o S. Alberto Magno. La teologia di questi popoli aveva espresso nella mistica renana uno dei suoi frutti migliori. Ora l’autore si trova, alla fine del Medio evo, in una situazione di grande disagio spirituale. Perciò egli supplica quasi il lettore a ritornare alle radici della fede, a ritornare a Cristo. Purtroppo, noi sappiamo che questi movimenti, come quello di Grööte, sfoceranno ben presto nel rifiuto della gerarchia ecclesiastica ed alla Riforma di Lutero (1517). Ma qui siamo ancora in seno alla Riforma cattolica, e l’Imitazione di Cristo vuol spingere il lettore ad una profonda revisione di vita, ma anche ad una grande speranza.

Chi cerca sempre Gesù non potrà che trovare in Lui tutte quelle grazie, quell’amore, quella speranza che il mondo nega costantemente. Chi cerca sempre Gesù, alla lunga non rimane deluso. Chi cerca sempre Gesù “trova un grande tesoro, anzi il più grande fra tutti i tesori. E chi perde Gesù, perde più assai di tutto il mondo: chi vive senza Gesù è il più povero degli essere umani, mentre chi lo trova può ben dirsi il più ricco”.

Concludiamo con un capitolo del Libro III, il LVI. E’ Gesù stesso che parla con l’autore del libro e suo discepolo. Risuonano qui ancora più forte l’aspetto interiore del rapporto con Gesù che diventa testimonianza ai fratelli:

“Figlio mio, quanto riesci ad uscire da te stesso, tanto entri in me. Come il non desiderare niente di esteriore crea la pace interna dell’anima, così il rinunciare nel nostro cuore a noi stessi ci avvicina a Dio. E perciò io voglio insegnarti il perfetto abbandono di te stesso alla mia volontà, senza alcuna opposizione o lamento. Seguimi, io sono la via, la verità, la vita. senza la via non si può viaggiare, senza la verità non si può conoscere, senza la vita non si può vivere... Se tu rimarrai sulla mia via, conoscerai la verità, e la verità ti farà libero: così arriverai alla vita eterna... Se vuoi raggiungere la beatitudine dell’altra vita, disprezza la vita di quaggiù...- Signore Gesù, che avesti una vita così sacrificata e disprezzata dal mondo, concedimi di poterti imitare nell’essere anch’io disprezzato dal mondo: non c’è infatti servo maggiore del padrone né discepolo superiore al maestro... -Figliolo, ora che sai tutto questo e l’hai letto attentamente, mettilo in pratica: e avrai la felicità...-Ecco, ho già preso dalle tue mani la croce... Una volta cominciato il cammino, non è più possibile tornare indietro e nemmeno deporre il peso. Coraggio, fratelli! continuiamolo insieme, il nostro cammino. Gesù sarà con noi... E lui, che ci ha insegnato la strada, e che l’ha percorsa prima di noi, ci aiuterà... Perciò avanti senza paura: nessuno si scoraggi mai.”

E’ un brano stupendo, un dialogo che richiama le rappresentazioni sacre tipiche del periodo, che liberamente traevano spunto dalle parole di Gesù e dall’esperienza cristiana, per farne un dialogo serrato, quasi un pezzo di teatro sacro. La vita cristiana è vista come un combattimento, e qui risuona la spiritualità di un altro grande “padre” del Medio evo, a cui l’Imitazione fa spesso riferimento: S. Bernardo. C’è anche tutta la mistica della Croce tipica di S. Francesco d’Assisi, e a questo proposito ricordo che molti di coloro che aderirono a questa corrente spirituale della devozione moderna erano francescani. Bisogna tener conto che questa spiritualità influenzò i grandi mistici spagnoli della Riforma cattolica, come S. Ignazio da Loyola, o S. Giovanni della Croce. L’adesione personale e comunitaria a Cristo crocifisso sarà la vera risposta degli autentici cristiani cattolici alla divisione che si abbatterà sulla Chiesa occidentale. L’ autore dell’Imitazione di Cristo sembra già prevenire quella tempesta spirituale, indicando una prima via di conversione ai cristiani dell’Occidente, ormai troppo presi dal mondo, troppo ricchi o troppo lascivi. E, io credo, è anche una risposta che può essere valida anche per noi uomini del 2000, di fronte ad una società dove il denaro, la ricchezza, l’economia sembrano prevalere su tutti i valori umani e cristiani. Ritornare a Gesù, rimetterlo al centro della nostra vita. E’ questo il nostro impegno quotidiano, per poter vivere la gioia della Resurrezione.

 

Claudio Attardi

fonte: www.medio-evo.org

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