ECOriflessioni - indice articoli
L'Ecologia Profonda e la scienza
di Guido Dalla Casa - Aprile 2015
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L’Ecopsicologia
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Intervista a Konrad Lorenz
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Studi recenti sulla mente animale
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Un pinguino
L’Ecopsicologia
Alla fine del ventesimo secolo ha cominciato a delinearsi una disciplina nuova, che collega il malessere esistenziale umano alla degradazione dell’Ecosistema terrestre e riconosce che anche la psiche umana è un prodotto della Terra. Noi siamo la Terra!
Il collegamento fra la mente collettiva, gli stati psichici individuali e la condizione ecologica è molto reale, anche se ben pochi ci hanno mai pensato, almeno per ora.
La psicologia ha bisogno di riconoscere di non poter più curare la psiche umana senza collegare il malessere della mente con il degrado dell’ecosistema. L’ecologia a sua volta deve riconoscere l’importanza di una salute partecipativa della mente umana per far cessare la degradazione del Complesso Terrestre. Occorre risvegliare il nostro inconscio ecologico, che richiama l’inconscio collettivo di Jung, occupandoci anche dei nostri equilibri interiori.
C’è spesso una mancanza di psicologia nell’attuale strategia ambientalista, che insiste con campagne improntate sulla colpevolizzazione: così facendo si attivano meccanismi di difesa a livello psichico che producono l’effetto opposto perché sollevano più ansia di quanta molte persone siano pronte a gestire. Spesso la reazione della psiche davanti a novità sgradite o a un eccesso di ansia è la negazione.
Secondo l’ecopsicologia, è necessario emancipare l’ecologia da semplice branca della biologia dalla quale è nata a una scienza delle relazioni e dell’insieme. L’eccessivo specialismo sta portando alla perdita della consapevolezza che siamo in presenza di un malessere complessivo, della Terra e della nostra specie. Il senso del nostro stare al mondo è dato anche dall’estrema brevità della nostra presenza in confronto all’esistenza di tutta la Vita sulla Terra: quello che ci ha preceduto per così lungo tempo dà un significato alla nostra stessa vita.
La situazione è tale che non possiamo permetterci di aspettare che la soluzione venga dall’alto, che venga proposta o imposta dalle autorità.
Ritrovare l’attenzione, il rispetto e l’amore per la Natura, come conseguenza della consapevolezza che ne siamo parte integrante, vuol dire ridare senso alla nostra vita attraverso un percorso multidisciplinare che comprende psicologia, ecologia, filosofia e antropologia, lavorando con tecniche psicologiche, meditazione, attività creative, passeggiate nella natura e antiche tecniche sciamaniche.
L'ecopsicologia, rifacendosi a una concezione sistemica della realtà, propone una nuova visione del rapporto uomo-natura e la traduce in strategie concrete applicabili in ambito terapeutico, educativo, formativo, ambientalista e comunicativo per favorire il risveglio della consapevolezza di essere tutti rami dello stesso albero.
Le sue applicazioni concrete sono un arricchimento con nuovi spunti di riflessione, nuove forme di divulgazione della sensibilità ecologica nelle scuole, nella formazione aziendale, nelle associazioni e in ambiti comunitari e ricreazionali.
Sintetizzando alcuni pensieri di Joanna Macy, che è una delle fondatrici della nuova disciplina, possiamo dire che:
- Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. La repressione dell’inconscio ecologico è la radice profonda della follia insita nella società industriale. Ritrovare l’accesso verso l’inconscio ecologico vuol dire ritrovare la via verso la salute psicofisica dell’individuo, della società e dell’ecosistema;
- Siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e gli alberi, intessuti dello stesso intricato flusso di materia-energia-mente.
Intervista a Konrad Lorenz
Einstein diceva che è più facile spezzare un atomo che un luogo comune. Chi mai riuscirà a spezzare il luogo comune che nega agli animali non solo l’intelligenza, ma anche la capacità di soffrire o di amare? Dinanzi al commovente episodio del gorilla che accarezza il bambino caduto nella sua gabbia non si sa fare altro che parlare di istinto, come se le scimmie fossero degli automatismi per la salvaguardia dei ragazzini sbadati. E se nella gabbia fosse caduto un adulto, per esempio un teologo o un filosofo dell’istinto, il gorilla si sarebbe comportato in maniera altrettanto gentile?
Ho conversato a lungo, su questi argomenti, con Konrad Lorenz, padre dell’etologia moderna. Alla domanda se anche gli animali siano consapevoli, con il tono passionale e affascinante che lo distingue, risponde: “Nessuna persona seria dovrebbe dubitare di questo. Sono pienamente convinto, dico pienamente, che gli animali hanno una coscienza. L’uomo non è il solo ad avere una vita interiore soggettiva”. E aggiunge che l’uomo è troppo presuntuoso, troppo preso di sé. Naturalmente, dice ancora il grande scienziato, il fatto che gli animali abbiano una coscienza “solleva dei problemi”. Forse l’uomo ha paura di fare altri passi in questa logica: riconoscendo una vita interiore agli animali, sarebbe costretto a inorridire per il modo con cui li tratta.
Lorenz mi ha parlato anche dell’infallibilità con cui gli animali conoscono subito le intenzioni di chi sta loro di fronte. Ma non c’è bisogno di scomodare tanta autorità, per commentare l’episodio del gorilla in questione. Solo una mente rozza o malata di dogmatismi, potrebbe dubitare delle buone intenzioni dell’animale. E i cani di Vienna, compresi quelli di Lorenz, non sono mai minacciosi per istinto o perché capiscono che la gente li ama e non farebbe loro mai del male?
In fondo l’etologia va confermando quello che Giordano Bruno aveva intuito con il suo genio filosofico, e cioè che tutti gli esseri viventi sono fenomeni diversi di un’unica sostanza universale. Traggono dalla stessa radice metafisica e la loro differenza è quantitativa non qualitativa o, per usare il linguaggio di Kant, fenomenica non noumenica. L’intelletto, che serve a intuire la relazione delle cose tra di loro, è comune, sia pure proporzionato ai bisogni, a tutti gli esseri viventi. Questo insegnano i grandi pensatori, a incominciare da Schopenhauer, e questo sostiene, in ultima analisi, Lorenz.
Sarebbe pura cecità considerare l’uomo come qualche cosa di completamente avulso dal resto del regno animale. La scoperta che gli animali mentono - per esempio i gracchi alpini e corallini, ma Lorenz mi ha parlato anche di altri animali - e quindi sono capaci di astrazione ha fatto cadere perfino il dogma che solo l’uomo avesse la facoltà di riflettere in abstracto.
La filosofia occidentale è troppo impregnata di teologia. Lo riconosceva perfino Nietzsche, che pure parlava e predicava come un prete capovolto. Il male è già all’inizio: “Crescete e moltiplicatevi, e popolate la terra, ed assoggettatevela, e signoreggiate i pesci del mare e i volatili del cielo, e tutti gli animali che si muovono sulla terra.” Signoreggiate, cioè opprimete, tormentate e uccidete tutti gli altri esseri viventi: parla così, un Dio? E non poteva anche risparmiarsi queste parole, dopo aver creato un essere malvagio come l’uomo? Lorenz, sia pure dopo una disamina di carattere storico, definisce “satanico” un simile comandamento.
Quale penoso contrasto con le sublimi parole che Buddha rivolse al suo cavallo quando lo lasciò libero: “Và! Anche tu, un giorno, sei destinato al nirvana”.
Questo episodio faceva tremare di commozione Schopenhauer e Wagner, ma non impressiona minimamente la corteccia cerebrale dei nostri filosofi-teologi. A loro è più congeniale Cartesio, che considerava gli animali delle semplici macchine.
Vicino a Lorenz si respira meglio sia scientificamente che moralmente. Proprio perché ha scandagliato come nessun altro la vita interiore degli animali, sa anche quale responsabilità morale questo comporti…
(Anacleto Verrecchia, “La Stampa”, 8 settembre 1986)
Studi recenti sulla mente animale
I brani che seguono sono riportati dall’articolo “Minds of their Own – Animals are smarter than you think” (La loro mente – Gli animali sono più intelligenti di quanto crediate) di Virginia Morell, pubblicato sul numero di marzo 2008 del National Geographic, sulla cui copertina l’articolo è annunciato con il titolo “Inside Animal Minds” (Nella mente animale).
L’articolo è una sintesi dei risultati di trent’anni di studi sulla mente, sul comportamento e sulle capacità di apprendimento di molti esseri senzienti non-umani da parte di Irene Pepperberg ed altri scienziati. La Pepperberg iniziò il suo progetto nel 1977: si portò in laboratorio un pappagallo africano di nome Alex con l’intento di insegnargli la lingua inglese.
“Quando la Pepperberg cominciò a dialogare con Alex, che è morto a 31 anni lo scorso settembre, erano molti gli scienziati che credevano che gli animali non fossero in grado di pensare. Gli animali erano macchine, robot, programmati per reagire in modo elementare a stimoli esterni, ma non erano in grado di pensare né di provare emozioni”.
Ancora trent’anni fa, dopo quasi due secoli che conoscevamo l’Unità della Vita e sapevamo qual’è la posizione della nostra specie nel mondo naturale, erano diffuse idee simili! Ma leggiamo qualche brano dell’articolo:
“Alex contava, riconosceva colori, forme e dimensioni, aveva un’elementare nozione del concetto di zero”.
“Per Alex le mele hanno un sapore simile alle banane, ma somigliano alle ciliegie; così si è inventato questo nome: ci-nana”.
“Gli scimpanzé, i bonobo e i gorilla sono capaci di apprendere il linguaggio dei segni e di utilizzare simboli per comunicare con noi. Il bonobo Kanzi porta con sé una lavagna piena di simboli che gli permette di “parlare” ai ricercatori, e ha inventato, per esprimersi, nuove combinazioni simboliche”.
“Azy (un orango) ha una ricca vita interiore. Cognitivamente gli oranghi sono sullo stesso piano delle scimmie africane, e in certi compiti le superano. Oltre a comunicare i suoi pensieri con i simboli di una tastiera, Azy mostra anche una “teoria della mente” (cioè comprende il punto di vista di un altro), e fa scelte logiche che dimostrano una notevole flessibilità mentale”.
“Le pecore, come i primati, sanno riconoscere facce diverse (circa 50 pecore e 10 umani) e le ricordano per due anni”.
“Oggi un ampio numero di studi indica che l’intelligenza è una dote flessibile, e le sue radici nel mondo animale sono estese e profonde”.
“Non siamo i soli a saper inventare, a pianificare le nostre azioni, ad avere un’immagine di noi stessi; e neppure i soli a mentire e ingannare”.
“L’intelligenza è un albero dalle mille ramificazioni: non ha un tronco unico che punta solo nella nostra direzione”.
“Dotati di un grosso cervello e agili tentacoli, i polpi sanno bloccare le loro tane con delle rocce, e si divertono sparando acqua a bersagli come bottiglie di plastica o ai ricercatori”.
“Kanzi, un bonobo, da piccolo ha imparato a comunicare spontaneamente osservando gli scienziati che addestravano sua madre. A 27 anni, questo bonobo “parla” grazie a più di 360 simboli di tastiera, e capisce il significato di migliaia di parole dette a voce. Kanzi sa formulare delle frasi, eseguire nuove istruzioni, e fabbricare strumenti di pietra, cambiando tecnica a seconda della durezza del materiale. Crea strumenti come quelli dei primi umani”.
“Le ghiandaie sanno ragionare: sapendo di essere ladre, spostano le provviste di cibo se un’altra ghiandaia le osserva; pianificano i pasti futuri, e nel fare provviste tengono conto dei bisogni futuri piuttosto che della fame del momento”.
“I delfini hanno ottima memoria, estro creativo e capacità linguistiche; sono versatili, sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale. Hanno un grande cervello generalista, proprio come noi. Modificano il proprio mondo per rendere possibili nuove cose”.
Un pinguino
Nel corso del 2007 un pinguino di Magellano, inanellato presso la Terra del Fuoco, è stato ritrovato presso una colonia di pinguini di Humboldt, sulle coste del Perù, cinquemila chilometri più a Nord. Quel pinguino ha nuotato per cinquemila chilometri! La notizia era all’interno di un quotidiano, che nelle prime pagine era pieno delle solite fesserie umane. L’articolo diceva che probabilmente il pinguino “si era perso”. La notizia era presentata come una “curiosità” o una cosa “strana”, come al solito. I mezzi di informazione presentano quasi sempre i fatti che manifestano una non-discontinuità di comportamento fra la nostra e le altre specie come “incredibili”!
E’ invece perfettamente logico che gli altri esseri senzienti più simili, in particolare mammiferi e uccelli, abbiano comportamenti che richiamano quelli umani.
I pregiudizi culturali, che mantengono un assurdo e ingiustificato abisso fra la nostra specie e gli altri animali, sono davvero duri a morire, e gli scienziati meccanicisti-cartesiani non sono da meno. La spiegazione più logica è che il pinguino era un esploratore, aveva saputo dai suoi genitori e nonni che i loro antenati avevano risalito la corrente di Humboldt fino alle coste del Perù e alle isole Galapagos, dove avevano dato origine a due nuove specie (o sottospecie): era andato a cercare i discendenti di quegli antenati, partiti qualche milione di anni prima, e poi differenziati con la lontananza prolungata. Ma si fa così fatica a pensare una cosa così logica? Occorre sempre pensare all’”istinto” o all’ipotesi che “si era perso”? Come disse Einstein, “e’ più facile spezzare l’atomo che un pregiudizio”. Sostenere poi che l’uomo ha “l’intelligenza” mentre gli altri animali hanno soltanto “l’istinto” è una vera e propria amenità, forse ancora oggi sostenuta da qualche istituzione.
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