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L'Ecologia Profonda e la scienza

di Guido Dalla Casa - Aprile 2015

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  • La Biosfera

  • Economia e popolazione umana

  • Il libero arbitrio

  • Una nuova Etica

  • L’etica del lavoro e l’etica della Terra

 

La Biosfera
Per usare il linguaggio della teoria dei sistemi, un essere vivente è un sistema che si mantiene in situazione stazionaria lontana dall’equilibrio termodinamico. In altre parole, vive finché un flusso di energia lo attraversa continuamente senza che si alterino le sue condizioni generali, se si trascurano le piccole oscillazioni:  la Biosfera nel suo complesso si comporta come un unico organismo vivente, anche se in generale su tempi molto lunghi. Se si considerano tempi dell’ordine di decenni, o secoli, e non geologici, la Terra è stazionaria: il problema sta nel fatto che le modifiche causate dallo sviluppo economico nei cicli naturali hanno velocità dieci-centomila volte più grandi di quelle normali, che consentono alla vita di adattarsi gradualmente alle nuove situazioni.

La crescita economica continua è un processo che impedisce il funzionamento della Biosfera perché ne disarticola i cicli: è quindi un fenomeno impossibile. Un’economia complessivamente in crescita può soltanto essere un transitorio, un fenomeno patologico che - se non arrestato rapidamente - porta necessariamente verso un punto “di collasso”.

Anche l’idea che lo sviluppo economico costituisca sempre un miglioramento non ha validi fondamenti: è probabile che, se si potesse disegnare un diagramma che riporta l’andamento del benessere psicofisico (anche soltanto umano, o di una particolare cultura) in funzione dei consumi materiali o degli oggetti a disposizione, non si avrebbe una funzione sempre-crescente, ma una specie di curva a campana. Ad una certa quantità di beni materiali la funzione raggiunge un massimo: il corrispondente valore di consumi è già stato abbondantemente superato in tutto il mondo occidentale. Un ulteriore aumento peggiora la qualità della vita. Se poi mettiamo in conto anche la bellezza del mondo e il benessere degli altri esseri senzienti, la situazione si aggrava ulteriormente.

Ci si può rendere conto di questo fatto se si pensa a una qualunque località rivisitata a distanza di qualche decennio: la si troverà inesorabilmente peggiorata, sia sul piano naturale, sia dal punto di vista estetico ed umano.

E’ forse superfluo ricordare il totale fallimento sul piano ecologico dello “sviluppo di Stato” un tempo perseguito nell’Est europeo, in cui il materialismo era addirittura portato al rango di metafisica ufficiale.

 

Economia e popolazione umana

Il sistema economico, cioè il processo  produrre-vendere-consumare, si può ricondurre ad un unico parametro: il denaro. Il sottosistema economico non può integrarsi in un sistema complesso come la Biosfera, in stato stazionario e con un gran numero di variabili. La crescita economica in sostanza impedisce l’omeostasi della Biosfera, che perde la sua capacità di mantenersi in condizioni vitali. In un sistema vivente questo significa la morte. A maggior ragione, se pensiamo che il sistema economico debba essere in crescita continua, la fine è sicura.

Un sistema economico in crescita permanente può essere solo un breve transitorio, un fenomeno patologico della Biosfera che conduce ad un punto di collasso. Questa è una posizione ottimistica: il vero pessimismo è pensare che la crescita continui per lungo tempo, perché questo significherebbe un mondo terribilmente degradato. L’uomo non evita mai le catastrofi, ne guarisce: speriamo che sia vero.

E’ davvero sorprendente notare che ci sono pochissime ricerche su un problema come quello del numero massimo di umani che la Terra può supportare: come esempio, nel libro Assalto al pianeta di Pignatti e Trezza (Bollati Boringhieri, 2000) il numero massimo è valutato in meno di due miliardi di individui, in accordo con uno studio precedente dell’Università Cornell. In uno scenario del noto rapporto I limiti dello sviluppo (1972) era possibile raggiungere uno stato stazionario soltanto se la popolazione umana si fosse stabilizzata attorno all’anno 1975, che corrisponde a un numero di umani di tre-quattro miliardi con un livello di consumi pro-capite minore di quello attuale. Sette miliardi di umani possono restare sul Pianeta solo per tempi molto limitati, perché vivono solo “divorando la Terra”.

 

Il libero arbitrio

L’idea tradizionale, propria delle istituzioni religiose nate nell’area medio-orientale e di una corrente della scienza, è che l’uomo sia dotato di libero arbitrio, mentre il resto del mondo naturale (compresi tutti gli altri animali!) sarebbe soggetto alle rigide leggi fisiche. Un’altra corrente della scienza “ottocentesca” (il determinismo) non lascia alcuna libertà a nessuno.

Penso che si tratti di  posizioni piuttosto insostenibili.

Secondo una corrente attuale del pensiero scientifico-filosofico c’è qualche segno di libertà in tutti i processi naturali: ci sarebbe un po’ di libero arbitrio ovunque, anche se in quantità diverse.

Ogni entità naturale, ogni processo, ogni sistema complesso, ha un suo grado di libertà, potendo scegliere la via da prendere ad ogni biforcazione-instabilità. Il fatto di attribuire “al caso” la via presa dal sistema dopo la biforcazione o “a una libera scelta” quando c’è di mezzo il cervello umano, è soltanto un pregiudizio culturale.

Solo la quantità di tale facoltà è diversa da caso a caso. Secondo la visione detta “del cane al guinzaglio”: tutte le entità (noi compresi)  hanno un guinzaglio, più o meno lungo, in mano alle forze sistemiche, che non sono soltanto fisiche o energetico-materiali, ma anche mentali. Per usare un’espressione di Bateson:

“…Se volete, potete chiamare Dio le forze sistemiche.”

Il cane può talvolta far cambiare completamente direzione a chi tiene il   guinzaglio, se a un bivio si dirige da una parte piuttosto che dall’altra.

Come esempio, il grado di imprevedibilità che si manifesta in diverse comunità di insetti, di mammiferi o di uccelli, non è molto diverso da quello dei gruppi umani. Inoltre le società di molte specie sono notevolmente strutturate. Ma anche molti sistemi complessi non viventi presentano notevoli gradi di imprevedibilità.

Comunque, se c’è qualche differenza fra umani e altri animali, è di natura quantitativa. L’uomo è un animale: anche l’etica deve tenerne conto quando si occupa degli altri esseri viventi, e senzienti.

 

Una nuova Etica

Seguendo le scuole di pensiero sopra accennate, ci troviamo in un mondo con entità mentali, senza alcun confine preciso, di cui gli umani sono solo componenti: quindi l’Etica deve riguardare tutta la Natura. Questa idea è presente in molte filosofie di origine indiana (Buddhismo e Jainismo), dove l’etica riguarda non soltanto gli umani, ma anche gli altri esseri e le entità naturali. L’emergenza di fenomeni mentali rende un sistema complesso degno di considerazione etica.

Gli altri viventi, una foresta, una palude, un termitaio, una specie sono entità dotate di mente: partendo da un altro approccio, già lo psichiatra junghiano James Hillmann  (Autore, fra molti altri libri, di Politica della bellezza e Il piacere di pensare) parlava della nostra immersione nell’Anima del mondo.

L’etica richiede una sorta di empatia verso tutte le entità naturali.

E’ evidente che si può parlare di mente associata al sistema totale, ovvero a tutta la Biosfera: abbiamo così ritrovato l’idea di Gaia già teorizzata da altri scienziati (Lovelock, Margulis, Sheldrake). E’ chiaro che ci siamo portati su posizioni ben lontane dall’idea tradizionale dell’uomo che studia dall’esterno e manipola a suo piacimento un mondo fatto di materia-energia. La distinzione fra mondo energetico-materiale, al servizio della nostra specie, e mondo mentale-psichico-spirituale, che un tempo era considerato - nella cultura occidentale - come esclusiva umana, si è dissolta. Qui siamo molto lontani anche dall’idea che la mente sia soltanto “il prodotto” di un sistema nervoso centrale. “…E Gregory ammise che la Mente associata al Sistema Totale era molto simile all’idea di un Dio immanente” (da un libro di Fritjof Capra).

Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione “ottocentesca”, quella di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!

Invece il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente.

 

L’etica del lavoro e l’etica della Terra

Di solito nel nostro mondo si è formata l’idea che il lavoro sia sempre qualcosa di positivo, da premiare indipendentemente da ogni altra considerazione.

Così si pensa che chi lavora di più debba automaticamente guadagnare di più, che in sostanza sia più bravo di chi lavora di meno: il lavoro ha acquistato un valore etico in sé, anche se si tratta di lavoro che danneggia l’intero Organismo terrestre o contribuisce a qualche patologia della Biosfera. Solo recentemente si è cominciato a considerare negativa almeno la produzione di sostanze inquinanti, limitando però l’esame ad ogni singolo processo locale, come se fosse possibile isolarlo.

Non si è mai tenuto come valore etico il mantenimento in condizioni vitali della Biosfera terrestre, oppure degli ecosistemi di cui il processo fa parte. Non si è neppure considerato il danno, se non in tempi recentissimi e limitatamente a specie rare, arrecato ad altre specie viventi o a processi naturali. In sostanza, è mancata la percezione della non-separabilità di ogni processo lavorativo umano dall’ecosistema globale. E’ invece indispensabile avere sempre presente questa percezione, tenere come primo valore l’etica della Terra.

 

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