Discorsi di Dharma
di Geshe Gedun Tharchin
Insegnamenti del Venerabile Lama Geshe Gedun Tharchin, Lharampa. Incontri, lezioni e scritti su Dharma, Meditazione e Buddhisimo.
Tecniche di meditazione:
4) Cos'è la Meditazione
- Giugno 2019
Nella lezione precedente abbiamo parlato di come scegliere e allestire un luogo adatto alla meditazione, di come assumere una buona postura del corpo e di come generare una buona motivazione. Adesso che ci avviciniamo alla pratica vera e propria della meditazione vorrei dire qualcosa per spiegare cos’è.
Ogni essere umano ha dentro di sé le qualità della meditazione. La meditazione non è un’azione che dobbiamo produrre dal niente ma è qualcosa che possediamo già. Ciascuno di noi ha dentro di sé la facoltà della concentrazione e la facoltà di investigare la realtà e questi sono i due elementi fondamentali per un approccio alla meditazione. La meditazione è prima di tutto prendere coscienza di tali facoltà e quindi svilupparle. Un altro approccio alla meditazione è quello che ha a che fare con l’approdare alla propria mente, una concentrazione sulla mente, ove è la mente stessa ad essere l’oggetto di indagine. Quando parliamo di mente dobbiamo prima di tutto capire dove essa sia collocabile e quale sia il suo ruolo nella nostra vita. Queste due questioni devono essere prese in considerazione prima dell’approccio alla meditazione. Quando parliamo di introspezione intendiamo il rapporto con la nostra mente. Questa proviene da un tempo senza inizio e va verso un tempo senza fine ma ciò non vuol dire che rimane ferma: è un continuum senza inizio e senza fine, come un fiume. Il fiume non è mai lo stesso ma, pure, è sempre lì. Noi consideriamo il corpo come il nostro mondo individuale e, se consideriamo l’Universo come il mondo globale, la mente può essere vista come un fiume che attraversa questo mondo. Se guardiamo dentro di noi la mente ci appare come un fiume che scorre in continuazione e non si ferma mai e sulla superficie del quale si formano onde diverse a seconda dei diversi eventi che le generano. La meditazione è, prima di tutto, fare in modo di tranquillizzare il flusso della mente: questa è la prima fase, definita “stabilizzante”. Il secondo passo è la meditazione “analitica”. Essa diviene possibile quando, avendo calmato il flusso dei pensieri e ottenuta così una mente chiara, abbiamo la possibilità di guardarla direttamente e vedere ciò che la influenza, identificare ciò che in effetti ci influenza in maniera positiva e cosa in maniera negativa. Quindi, ci sono due aspetti della meditazione: il primo è quello che si basa sul potere della concentrazione della mente, il secondo è quello che si basa sul potere della saggezza.
Per la meditazione “stabilizzante” c’è una tecnica fondamentale. Dobbiamo distinguerne due categorie: una che riguarda la meditazione formale, quella che si fa mettendosi seduti nella postura; l’altra è la meditazione che si applica alla vita quotidiana, una meditazione a tempo pieno che serve a incrementare le qualità positive della nostra mente in rapporto al mondo ordinario. Alcuni la chiamano “cibo per la mente”, non so… forse è giusto definirla così.
E’ bene cominciare con la meditazione formale piuttosto che con quella a tempo pieno. Ci sediamo nella giusta posizione, con la giusta postura e generiamo una giusta motivazione. Questi due elementi, postura e motivazione, non dovrebbero essere attuati in modo frettoloso ma con consapevolezza e avendo bene in mente quali sono i significati relativi sia alla postura del corpo che alla generazione della motivazione. Nella tradizione tibetana ci sono nove stadi che servono a purificare i cosiddetti venti negativi: però è una faccenda un po’ complicata e non indispensabile!
La prima cosa da fare quando ci si siede nella postura di meditazione è riflettere su quelli che sono i nostri problemi, le nostre difficoltà legate al mondo ordinario, al Samsara. Ciò è utile perché spesso abbiamo così tanta paura dei nostri problemi che evitiamo di pensarci e, quando essi ci cadono addosso, ci procurano difficoltà ancora maggiori. Quindi è meglio pensare ai nostri problemi, rifletterci, metterci in relazione con essi. Mi riferisco ai problemi legati al mondo ordinario come: il lavoro, la famiglia…la vita quotidiana insomma. E’ importante entrare in contatto con questi problemi, riflettere su di essi esattamente come faremmo con problemi più complessi. Bisognerebbe innanzitutto chiedersi dove sono situati questi problemi: è difficile trovare dove essi sono situati però li sentiamo comunque in modo molto presente, molto invadenti.
Da un lato questi problemi sono molto evidenti, molto presenti nella nostra vita, ma dall’altro è molto facile sbarazzarsene. Ci sono due diversi modi di guardare ai problemi. Un primo approccio è quello di guardarli senza un minimo di investigazione e, così facendo, ci appaiono subito impossibili da risolvere.
Il secondo approccio è quello di guardarli con attenzione, con concentrazione scoprendo all’improvviso che questi problemi non ci sono più, sono spariti. La vacuità è questo, non altro. Per comprendere la vacuità bisogna investigare, guardare molto attentamente. Bisogna guardare entrambi gli aspetti menzionati: da una parte sembra che il problema sia tanto grande da essere irrisolvibile e dall’altra lo stesso non esiste affatto. Sono come i due lati di una stessa medaglia: da un lato il problema, dall’altro il non-problema.
Il Buddha, nel Sutra del Cuore, dice che non esiste occhio, non esiste orecchio, non esiste essere umano: questo vuol dire guardare la faccenda da un punto di vista assoluto; sotto un altro aspetto però esistono occhio, orecchio, essere umano. Dobbiamo accertare entrambe queste realtà. E dobbiamo vivere proprio in mezzo, sulla linea discrimina questi due aspetti, la linea del “nessun problema”.
Geshe Gedun Tharchin
3) La Motivazione - 5) La Meditazione sul respiro
Indice dei Discorsi di Dharma
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