Riflessioni dal web Indice
Processi per imparare a pensare
di Michele De Beni
La capacità di pensare come disciplina didattica: il Programma Thinking di Edward de Bono in alcune scuole italiane.
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Saper pensare
Siamo tutti convinti che “Pensare” rappresenti la facoltà umana per eccellenza e, come tale, costituisca il patrimonio individuale e sociale più prezioso, da sviluppare e potenziare lungo l’arco di tutta la vita. Saper pensare è importante per operare scelte e prendere decisioni, per risolvere problemi, ma è altrettanto importante a livello di famiglia e di comunità. In realtà, la capacità di pensare potrebbe essere la materia, la disciplina fondamentale da impartire nelle scuole, ma purtroppo oggi l’insegnamento è ancora eccessivamente concentrato sui contenuti da apprendere e poco sui processi.
Ci si deve porre, quindi, alcune fondamentali domande riguardanti il senso della cultura che stiamo promovendo e gli obiettivi da perseguire.
Forse, c’è bisogno oggi di una profonda riflessione, più attenta alla persona e, in particolare, alla formazione del pensiero. In questo senso, parlare di un nuovo Rinascimento non è un’utopia, ma un segnale della necessità di dare nuovo impulso alla soluzione costruttiva dei problemi veri dell’umanità. Questa è la nuova dignità che dobbiamo restituire all’uomo; in questo, probabilmente, risiede la sfida di un’educazione alla libertà, non soltanto dall’ignoranza del non sapere, ma, soprattutto, dal non saper pensare. “Educare a pensare”, quindi, rappresenta il filo conduttore di un itinerario educativo sistematico, pervasivo, che interessa tutti i saperi e gli ambiti della didattica.
Thinking
Il programma Thinking di Edward de Bono rappresenta oggi uno dei percorsi più diffusi per l’insegnamento delle fondamentali abilità di pensiero.
Fin dal 1970, da quando cioè è stato sperimentato per le prime volte, molte altre esperienze si sono accumulate al riguardo. Anche se può sembrare facile prospettare nuovi programmi di insegnamento, è, invece, piuttosto difficile, come sostiene l’Autore, che essi riescano a superare la fase sperimentale e a durare nel tempo.
Le lezioni del programma Insegnare a pensare trovano attualmente vasto impiego negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Canada, in Australia, in Giappone, in Israele, a Malta, in Malesia, nel curricolo scolastico di molte scuole del Venezuela e di altri Paesi, che hanno da tempo mostrato particolare interesse nei confronti di questo metodo.
Il Programma è suddiviso in sei aree, per un totale di 60 strategie, sviluppate attraverso la soluzione di alcuni problemi pratici ricavati dalla vita quotidiana, per i quali si richiede l'uso di strategie specifiche di pensiero, rinforzate sistematicamente da appositi esercizi di riflessione metacognitiva. Le lezioni mirano allo sviluppo e al potenziamento di alcune aree specifiche di pensiero, in particolare: ampiezza di vedute; organizzazione delle idee; interazione; creatività; informazioni e sensazioni; azione.
Due sono le fasi fondamentali che caratterizzano il metodo d’insegnamento: la prima consiste nella focalizzazione dell'attenzione sui diversi aspetti e strategie del pensiero, e sulla loro cristallizzazione, o consolidamento, in concetti ben definiti e in strategie da utilizzare in modo intenzionale; la seconda fase riguarda l'interiorizzazione del metodo e degli strumenti di pensiero come nuova forma mentis.
Alcuni risultati sperimentali in scuole italiane
Il Programma di Edward de Bono è stato sottoposto ad alcune importanti sperimentazioni fin dal 1978, anno in cui R. Edwards e R.B. Jr. Baldauf, della facoltà di Pedagogia della James Cook University di Queensland (Australia), hanno condotto una serie di ricerche per valutare gli effetti del Programma in ambito scolastico. Dall’analisi dei risultati in quattro classi di seconda superiore e delle prestazioni ottenute in un pre-test e in un post-test, su argomenti sia familiari sia non familiari, fu dimostrata una correlazione significativa tra apprendimento dello specifico programma e i risultati d’esame di fine anno, in relazione al quoziente di intelligenza individuale degli studenti.
Attraverso un confronto tra un gruppo sperimentale e uno di controllo di 80 studenti frequentanti la scuola media fu provata una vasta gamma di effetti. Gli studenti del gruppo sperimentale registrarono un miglioramento statisticamente significativo in rapporto a: quoziente di intelligenza; rendimento scolastico complessivo, con particolare riguardo all’area degli studi linguistici; originalità.
I risultati rilevarono anche ampi e positivi cambiamenti nei loro schemi mentali e nella flessibilità di pensiero. Un interessante risvolto di questo studio fu quello fornito dall’esame di personalità dello studente. Gli studi sperimentali mostrarono cambiamenti verso una maggiore estroversione, intuizione e abilità di giudizio (nel decidere e nel progettare).
Furono esaminati anche gli effetti sul comportamento degli insegnanti. I risultati mostrarono un evidente miglioramento nelle loro prestazioni, in particolare riguardo ad una maggiore apertura mentale, capacità di stimolazione didattica, originalità (rispetto a comportamenti stereotipati) e maggior flessibilità (rispetto a rigidità di comportamento). Questi comportamenti si mantennero stabili nel tempo, anche dopo il periodo di applicazione del programma.
Dopo queste prime ricerche condotte in Australia, sono stati realizzati in diverse scuole di tutto il mondo altri significativi esperimenti, di cui la Fondazione Internazionale “Edward de Bono” sta raccogliendo i risultati in un quadro più sistematico di riferimento.
In Italia, il progetto Imparare a pensare è stato introdotto fin dal 1984 come esperienza metodologico-didattica in alcune scuole del Veneto, mentre una più rigorosa sperimentazione è stata attuata in alcune regioni del nord-est, con il coinvolgimento di 26 classi di scuola elementare, media e superiore, dal 1993 al 2001, nell’ambito di un progetto di ricerca Scuola-Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Verona.
La ricerca è partita dalla convinzione che la logica formale da sola non garantisca di per sé la validità del pensiero e che il nostro tradizionale tipo d'insegnamento privilegi l'informazione, la descrizione di fenomeni ed avvenimenti, trascurando la capacità di pensare all'azione, alla progettualità, allo scambio di idee. Mancherebbe, cioè, quasi del tutto, la stimolazione dell'aspetto più costruttivo del pensiero e, in particolare, delle strategie attraverso cui esso opera.
Insegnare “l’uso intenzionale” di strategie
I principi su cui si sono basate le ricerche dell’'Università di Verona sul programma Thinking sono i seguenti:
• il pensiero non si evolve solo secondo un processo di sviluppo naturale, ma può esser stimolato attraverso un adeguato e sistematico curricolo formativo;
• dal momento che la maggior parte del pensiero concreto è legata allo sviluppo dello stadio percettivo, occorre prestare particolare attenzione alla formazione di adeguate strategie di conoscenza riferite anche al processo di percezione;
• per stimolare il pensiero e contribuire all'apprendimento di un metodo di conoscenza è fondamentale insegnare l'uso intenzionale di "strategie";
• le strategie nascono e si sviluppano sempre in precisi contesti d'apprendimento, ma occorre saper cogliere, pur con la dovuta gradualità, anche la loro natura di "strategie generali" trasferibili in altre situazioni;
• l'obiettivo non è quello di insegnare cosa pensare, ma come pensare: le strategie non offrono risposte giuste o sbagliate, ma procedure per meglio percepire e indirizzare le nostre conoscenze;
• è illusorio, con conseguente spreco delle potenzialità intellettuali degli allievi, credere che i contenuti delle materie scolastiche da soli possano far scaturire spontaneamente anche un metodo per il pensiero: occorre prestare tempo e attenzioni adeguate ad insegnare strategie d'apprendimento.
È da queste premesse che ha preso avvio un progetto sperimentale denominato Strategie per imparare a pensare. Nell'arco di nove anni, dal 1993 al 2001, si è proceduto alla formazione, secondo il metodo de Bono, di 112 docenti di vari ordine di scuola, appartenenti a diverse regioni italiane, con il coinvolgimento sul piano sperimentale di 529 studenti.
L'obiettivo, tuttora in fase di ulteriore espansione e completamento, era quello di dimostrare quanto l'introduzione di un apposito training formativo sull'uso di strategie potesse innalzare il livello delle abilità stesse del pensiero, soprattutto sotto il profilo dell’interazione e della produzione verbale e della creatività. Si è anche prospettato, in vista di una prossima ricerca, di osservare il grado di interdipendenza esistente tra potenzialità strategica del pensiero e comportamento a livello affettivo e sociale. Secondo questa prospettiva, oltre all'ipotesi costruttivistica dell'apprendimento, è fondamentale riferirsi ad una visione umanistica dell'educazione, in cui il dialogo, lo scambio, l'attenzione alla persona costituiscano insieme fine e mezzo per un'autentica "promozione" degli studenti.
Il Progetto, suddiviso in ambiti diversificati a seconda delle ipotesi da verificare, ha individuato i seguenti passi metodologici: identificazione del problema e motivazione relativa al progetto; formulazione dell’ipotesi di lavoro;
individuazione degli strumenti didattici e delle condizioni organizzative, degli strumenti diagnostici d’ingresso e d’uscita; formazione dei docenti; applicazione nelle classi; analisi statistica.
Il Programma Thinking di Edward de Bono ha costituito l’iter formativo di 112 docenti, suddivisi in gruppi di scuola elementare, media e superiore (ciascun gruppo ha effettuato 180 ore di formazione per 3 anni consecutivi).
È stata usata una metodologia di tipo induttivo, attraverso interazioni di gruppo; sono state applicate quattro o cinque aree del Programma; il gruppo sperimentale degli studenti è stato più volte monitorato e messo a confronto con il relativo gruppo di controllo; sono stati monitorati gli insegnanti per comprendere i loro "costrutti" personali d'ingresso e d’uscita relativi al processo di apprendimento-insegna-mento.
L’analisi statistica utilizzata ha inteso porre a confronto la situazione iniziale e finale degli insegnanti e degli allievi, con riferimento al totale e alla tipologia degli interventi. Essa ha utilizzato due diverse tecniche di elaborazione in relazione alla necessità di trattare, prima, il totale degli interventi e, successivamente, il singolo intervento.
Premesso che l’oggetto di analisi si riferisce allo stesso numero di soggetti, esaminati all’inizio e alla fine del trattamento (di uno stesso periodo di tempo in cui, per quanto riguarda il gruppo di controllo, non è stato effettuato alcun intervento sperimentale, ma nel quale, tuttavia, interviene l’azione pedagogica conseguente alla frequenza scolastica), l’elaborazione ha previsto di sommare il totale degli interventi iniziali (n1) con quelli finali (n2 ), in modo da ottenere l’insieme complessivo n = n1 + n2. Si è ricercata quindi la proporzione u: un rapporto usato come test per la prova (valore) dell’efficacia del trattamento (qui viene indicato sinteticamente il valore di significatività p).
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