Riflessioni sul Cristianesimo
di Pier Angelo Piai
Reincarnazione e cristianesimo
Aprile 2017
La reincarnazione e la Sacra Scrittura
Molti reincarnazionisti appartenenti a diversi movimenti legati allo spiritismo, all'antroposofia, alla teosofia o a concezioni esoteriche-sincretiste, sostengono che la Sacra Scrittura sia favorevole alla reincarnazione e che essa è spesso sottesa alla Parola "resurrezione". Noi sappiamo, però, che sin dai primi secoli della vita della Chiesa, si accesero aspre polemiche su posizioni diametralmente opposte a causa soprattutto del platonismo e del neo-Platonismo a cui si ispirò San Giustino, Clemente Alessandrino e Origene. C'è stata, quindi, l'assenza di una vera e propria corrente cristiana favorevole alle teorie origeniste che a volte subirono persino lo scherno di eminenti uomini di Chiesa come S. Basilio e Dionigi Pseudo-Areopagita. Chiaramente le polemiche si fondarono sull'interpretazione della S. Scrittura che spesso veniva anche manipolata o estrapolata dal suo contesto. Ma quali sono i testi biblici più evocati? Alcuni sostengono che gli ebrei del 1° secolo credevano alla reincarnazione in riferimento a Mt.16,I3-14 : "Alcuni dicono che tu sei Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti” e più avanti a Mt.I7,I0-I3 : "I discepoli gli domandarono: Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia? Ed Egli rispose: “Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro”. Allora i discepoli compresero che Egli parlava di Giovanni Battista.
Per molti questi testi mettono bene in evidenza che Elia si è reincarnato in Giovanni Battista. E' possibile tale affermazione? Ecco cosa disse il prof. Rinaldo Fabris, noto biblista del seminario di Udine:
“Non ci sono altri testi all'infuori del Vangelo che consentono di parlare di reincarnazione nella forma elaborata dalle religioni orientali e nota presso vari gruppi o movimenti attuali. Il testo di Matteo si riferisce semplicemente all'attesa di un riformatore per il tempo messianico identificato con Elia, il profeta combattente per il monoteismo e lo Jahwismo, cioè la fede nell'unico Signore. Questa attesa viene riportata in Malachia 3,22-23 : “...Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore...testo che riprende in parte una formula già riportata da Siracide (48,I0). Ma questo atteso riformatore, Elia, è a sua volta presentato, nell'apparizione biblica, come una specie di "controfigura" o "ripresentazione" di Mosè. Non c'è nulla di strano se la Bibbia utilizza questa figura per parlare dei riformatori. Teniamo presente che nel Deuteronomio (18,15-18) si parla del Profeta futuro come un rappresentante o una riproduzione di Mosè : "Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto" Dunque più che di "reincarnazione" in senso tecnico, cioè un organismo che ricompare con lo stesso spirito e personalità del precedente (idea pressoché inconcepibile per l'antropologia ebraica che non distingueva le due parti o componenti dell'essere umano, spirito e corpo), si deve pensare ad un modello culturale. Mosè è il prototipo di tutti i riformatori e di tutti i profeti. Elia rintroduce la figura di Mosè e Giovanni Battista, che prepara la venuta di Gesù messia, come precursore ha i tratti, cioè lo spirito, la fisionomia e l'attitudine di Elia o del riformatore atteso nel tempo messianico.
Lo stesso si può forse dire per il testo di Luca (1,17) cha cita quasi letteralmente la frase di Malachia nell'annuncio dato dall'angelo nel tempio al Zaccaria riguardante il futuro concepimento e la missione di Giovanni Battista: "Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia..." Dunque quello che nascerà avrà nome Giovanni e possederà lo spirito e la forza del riformatore dei tempi messianici, più che essere la ripresentazione della stessa persona. In questa linea si colloca la tradizione sinottica che tende ad identificare Giovanni Battista con Elia. Questo è chiarissimo nel testo Matteo appena letto (Mt 17,10-13) mentre gli altri testi sono un po' più incerti perché tendono a presentare Elia come il precursore di Gesù, o addirittura con Gesù stesso. Comunque c'è una tendenza a vedere nel Battista quell'Elia che era stato promesso per i tempi messianici. Un altro testo potrebbe richiamare l'idea e il modello attuale di reincarnazione : Marco 6,14-16 "Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: "Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui." Altri invece, dicevano: "E' Elia"; altri dicevano ancora : “E' uno dei profeti". Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!". Qui è interessante il fatto che alcuni tendono ad identificare Gesù con Elia e non con Giovanni Battista: questo confermerebbe l'interpretazione del modello culturale che si riferisce al profeta dell'Antico Testamento di cui Mosè è il prototipo. In questo senso non sì può parlare di "reincarnazione" ma di una "figura" o "personaggio" descritto con quel modello. "E' un profeta, come uno dei profeti" quello stesso tipo di profeta di cui parla il Deuteronomio (18,15-18) secondo il modello di Mosè. Gesù, quindi, sarebbe la ripresentazione di Giovanni il Battista. Ma con il linguaggio giudaico, ripreso poi dai cristiani, si parla di "risuscitamento" o "risurrezione", cioè "il tornare a vivere" (non il nostro concetto di risurrezione che comporta un "non morire"). In questo caso il linguaggio è forse più vicino alla concezione di "reincarnazione", nel senso che Gesù è il Battista fatto uccidere. Questa è però un'opinione popolare che viene contestata da Marco che tende a contrapporre subito dopo la storia della decapitazione di Giovanni Battista (Mc.6,I7-29) che così termina: "I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posarono in un sepolcro". A questa storia di Giovanni, l'Evangelista contrappone la storia di Gesù che è stato ucciso e deposto nel sepolcro e Lui solo è veramente resuscitato. Quell'opinione popolare che tende ad identificare Giovanni Battista ucciso come il Gesù che è resuscitato non ha nessun seguito, anzi nel quadro qui ricostruito da Marco i due concetti sono nettamente contrapposti.
A questo proposito anni fa avevo intervistato il prof. Rinaldo Fabris:
Domanda: Prof. Fabris, una reincarnazionista, Manuela Pompas, afferma nel suo libro "Reincarnazione - Alla scoperta delle vite Passate - ed. Rizzoli”: “In Gv.9 1-3 gli Apostoli incontrano il cieco nato e chiedono a Gesù: "Rabbì: chi ha peccato lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?" Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma é così perché si manifestassero in lui le opere di Dio". Ora è chiaro che un individuo non può peccare prima della nascita, se non in una vita precedente. Gesù non contestò la domanda, non confutò il fatto che avesse potuto peccare lui: spiegò semplicemente che la sua malattia era scritta nel suo destino, predeterminata, esattamente come tutti i più grandi avvenimenti della vita di un individuo vengono "scritti" dal maestro del Karma prima della sua discesa sulla terra (p.58). Cosa ne dice di una simile interpretazione?
Fabris: La malattia congenita, in questo caso la cecità sin dalla nascita, nella concezione ebraica non può essere spiegata se non in base al principio della retribuzione: ogni disgrazia é collegata con una malattia, una colpa. Il principio della retribuzione attraversa anche le altre generazioni (fino alla terza-quarta generazione secondo Es 20,5-6 ed Es.34,6-7). L'ipotesi reincarnazionista in questo caso non ha rilevanza religiosa. C'è solo qualche vago testo di Filone Alessandrino che accenna ad esistenze precedenti. Ma questo autore del primo secolo riflette l'ambiente culturale e filosofico di matrice ellenistica che frequentava. Non ci sono altri testi contemporanei a Gesù che provano la reincarnazione. E nemmeno il Talmud e la Mishna'h, più tardivi, accennano ad essa.
Domanda: Per molti reincarnazionisti Gesù stesso si riferiva alla Reincarnazione quando in Gv. 3,3 afferma a Nicodemo : "In verità, in verità ti dico se, uno non rinasce dall'alto, non può vedere il Regno di Dio".
Fabris: L'avverbio greco “anothen” traduce sia "di nuovo" che “dall'alto” e Giovanni gioca su questa ambivalenza. Subito dopo, al versetto 5 Gesù afferma "in verità in verità ti dico, ne uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio." Qui il rinascere é spiegato come un "nascere dalla potenza di Dio (lo Spirito)" e l'acqua nella prospettiva giovannea è il simbolo della vita e della purificazione battesimale cristiana. Non si tratta di nascere una seconda volta, come ha inteso e frainteso il vecchio Nicodemo, ma di nascere dall'alto, cioè da Dio, tant'è vero che nel 1° capitolo il credente è così definito: "Non da carne, né dal volere di uomo, né da sangue, ma da Dio è stato generato il credente". Nicodemo, quindi, se vuole entrare nel Regno deve nascere o rinascere per iniziativa di Dio, nella fede.
Domanda: Può spiegarci che tipo di antropologia è sottesa al testo Paolino di I Cor,15,44 "Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale"?
Fabris: La spiegazione di questo linguaggio Paolino studiato ad arte, anche se un po' difficile, può essere rilevata dal seguito del versetto 44: "se c'è un corpo animale (soma psichikon), vi è anche un corpo spirituale (soma pneumatikón)" precisando che questo "corpo spirituale" non è altro che il secondo Adamo. Infatti secondo la concezione di Filone Alessandrino la Creazione è avvenuta in due momenti : la prima è ideale, la seconda è reale. In quest'ultima fa riferimento al "Pneumatikon", dove "pneuma" nel linguaggio biblico dei sapienti o dei profeti é la realtà di Dio contrapposta alla realtà fragile dell'uomo naturale o psichico, fatto di carne. Nella contrapposizione paolina è abbastanza comprensibile l'affermazione precedente "si semina corruttibile, risorge incorruttibile; si semina ignobile, risorge glorioso; si semina debole, risorge pieno di forza"(I Cor.15,42). Qui le categorie: corruttibile, ignobile, debole e "psichikon" stanno sul versante limitato, provvisorio, materiale, deperibile, precario; mentre lo "spirituale" (pneumatikon) sta sul versante del glorioso, del pieno di forza, nobile, potente, cioè la realtà di Dio. Gesù risorto è un "corpo spirituale" (soma pneumatikon), cioè appartiene al mondo di Dio ed è capace di comunicare la sua forza terrificante. In questo contesto, quindi, c’è più che una contrapposizione di tipo antropologico (corpo-anima). Si vuol mettere in evidenza due aspetti della realtà : Dio e la creatura. La risurrezione di Cristo appartiene al mondo di Dio e alla sua forza, mentre l'essere umano lanciato alle sue sole forze rimane nell'ambito della limitatezza creaturale. Ecco, allora, che da qui possiamo realmente dedurre che l'antropologia biblica rimane più un problema religioso che filosofico: l'uomo è spirito in quanto "in rapporto con Dio" e questa relazione lo rende vivente. Senza l'intervento divino l'essere umano decade nella sua fragilità ed anche la sua realtà immateriale, quella che viene chiamata "anima", si dissolve nella morte. Solo mediante la risurrezione potrà partecipare alla realtà vivificante del Cristo risorto con il corno, l'anima e lo Spirito.
Domanda: Lei ha speso gran parte della sua vita approfondendo la Sacra Scrittura. Alla luce dei suoi studi e delle sue scoperte condivide ciò che il magistero afferma dell'uomo, cioè “individuo unico ed irrepetibile (È necessario che vigiliamo costantemente perché, terminato l'unico corso della nostra vita terrestre...L.G.48) basandosi sull'affermazione di S. Paolo: "è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta" (Eb.9,27)?
Fabris: Esiste una lettera della S. Congregazione per la dottrina della fede su alcune questioni concernenti l'escatologia, apparsa nel maggio del '79 che tratta del problema dell'aldilà, il destino delle persone dopo la morte, etc. Non c'è una definizione chiara del destino nei termini dell'antropologia cristiana e forse non è neanche molto rilevante il destino dell'anima separata dal corpo ma il destino della persona che va oltre il semplice concetto di anima come forma unificante del corpo dell'essere umano. Il destino della persona è irrepetibile ed è legato al corpo, per cui la salvezza totale implica anche la trasfigurazione e trasformazione del corpo in rapporto a Dio, cioè la resurrezione. Sotto questa luce sia l'irripetibilità del destino personale come la relazione con il corpo rende impossibile per una completa concezione cristiana accettare che l'essere spirituale possa abitare, assumere, identificarsi con entità materiali diverse, successive, cioè con più corpi, come sostengono i reincarnazionisti che dimenticano questa interrelazione profonda ed unitaria tra l'essere personale e la realtà corporale. Il corpo non è solo un abito, una incrostazione... è qualcosa che viene intimamente formato e uniformato dalla relazione spirituale della persona con il Cristo risorto.
Reincarnazione: giustizia e misericordia
Gran parte dei "reincarnazionisti" aderiscono ad una tal visione dell'uomo perché rettifica meglio il concetto di giustizia. divina. In parole povere osservano: nel mondo ci sono diverse situazioni, c'è gente che soffre terribilmente a causa di malattie, disagi, condizioni sociali diverse etc. Un Dio giusto non può permettere contemporaneamente il morente di fame accanto al sazio, il malato accanto al sano. Tutto diventa più accettabile se ammettiamo che il “diversamente abile” sta semplicemente purificandosi dalle erronee azioni compiute nelle vite precedenti, mentre colui che gode la vita presente ha ben vissuto in quella precedente Confesso sinceramente che questa osservazione mi lascia alquanto perplesso, e ciò alla luce della Rivelazione. A me piace meditare sull'infinita libertà di Dio che si manifesta nella creazione. In essa esplode la sua infinita creatività. Un semplice nato può contenere una grande varietà di fiori : la pratolina può coesistere accanto al narciso o al giglio...eppure nessuno disprezza il piccolo mughetto o la violetta nascosta. Contempliamo la natura proprio perché e varia. Immensi campi di girasole potrebbero anche annoiare. Proprio perché la "gloria di Dio é l'uomo vivente" la creatività si manifesta soprattutto nella varietà umana. Riflettiamo, ad es. sull'esistenza di colui che riteniamo "handicappato". Un ragazzo affetto dalla sindrome di Down o mongolismo sta scontando, secondo i reincarnazionisti, gli effetti delle errate azioni compiute nelle vite precedenti. Lui non ne ha coscienza...ma le sta scontando. Ha senso una affermazione del genere? Può scontare qualcosa di cui non ne ha coscienza? La morale cattolica mi ha sempre insegnato che il vero peccato implica piena avvertenza e deliberato consenso ed il pentimento consiste nel detestare sinceramente le cattive azioni commesse. Si potrebbe presumere, allora, che secondo il reincarnazionista quel povero ragazzo difficilmente potrà uscire dalla sua situazione: anzi la sua trasmigrazione successiva potrà subire un processo involutivo irreversibile fino a che qualcosa interverrà a cambiare la situazione... ma cosa? Un ciclo pressoché infinito? Questi concetti cozzano, invece, con quello della infinita misericordia di Dio che non è disgiunta dalla sua libertà. San Paolo afferma: "C'è forse ingiustizia da Parte di Dio? No certamente! Egli infatti dice a Mosè : "Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia...con chi vuole e indurisce chi vuole... 0 uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "perché mi hai fatto così"? Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?..(Rm.944-24). Tutto ciò che esiste, dunque, è per la manifestazione della gloria di Dio che noi non possiamo valutare o giudicare. Ma perché il "reincarnazionista" avverte in sé un'evidente ingiustizia divina nel pluralismo di infinite situazioni esistenziali partendo dal presupposto cristiano dell'unicità ed irrepetibilità di ogni uomo? Qui si tratta di armonizzare il cuore e la mente, il sentimento e la ragione. Colui che ha detto del cieco nato: né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio (Gv,9, 1 -2) è infinitamente più giusto di ogni uomo che da Lui creato "a sua immagine e somiglianza". Dovremmo quindi ritenerlo ingiusto, noi poveri mortali per la semplice coesistenza di queste infinite situazioni così diverse le une dalle altre? Secondo me bisognerebbe accordarci sulle premesse che ci consentono di esprimere giudizi in base al nostro parametro valutativo. Mi spiego in maniera più semplice: ogni "handicappato" che incontriamo sul nostro cammino evolutivo spesso ci turba e accende nel nostro inconscio mille interrogativi che cercano di ridefinire in noi il concetto di giustizia di un Dio che permette situazioni esistenziali così pietose. Una mente equilibrata, che non si lascia offuscare da un eccessivo sentimentalismo, dovrebbe ampliare il suo orizzonte attraverso uno sguardo d'insieme dell'Universo. Dovrebbe ammettere che la gloria di Dio si manifesta anche negli esseri considerati "inferiori" all'uomo appartenenti al mondo vegetale ed animale. Essi sono ritenuti inferiori per il diverso grado di coscienza se ammettiamo che anche una pianta ha una percezione "embrionale" relativa agli stimoli esterni o ambientali che riceve. Nessuno, comunque, si sogna di affermare che Dio è ingiusto per aver creato gli esteri "inferiori" all'uomo, minerali, piante o animali... Nell'ambito umano è errato ritenere un male la diversità di tutte le persone : anzi essa è una ricchezza! Mi si obietterà: "te la sentiresti di essere al posto del “diversamente abile”?". Personalmente ritengo una simile abiezione insensata in quanto ogni persona è unica ed irripetibile con le sue caratteristiche genetiche, somatiche, psicologiche e storiche. Spesso l'handicap per noi coincide con la "diversità" fisica e psicologica. Inconsciamente ci riferiamo ad un parametro "ideale" basato, neri, su pregiudizi di ordine estetico od etico. Se veramente ragionassimo a fondo e serenamente non ci scandalizzerebbe più la "diversità" che esistere ha sempre un motivo in più che sfugge alle nostre categorie mentali. Questi pregiudizi estetici od etici, noi, potrebbero benissimo ritorcersi sulla mia persona : rispetto all'ingegnere, ad esempio, mi sento un portatore di "handicap” se per esso intendo anche il dislivello culturale relativo alle competenze e alla professionalità. Così pure rispetto a un medico, ad uno scienziato o ad un contadino... Tutto ciò perché spesso non ci è ben chiaro il concetto di "persona" che confondiamo con il suo ruolo. I pregiudizi causano sempre sottili discriminazioni che attecchiscono subdolamente nell'inconscio di chi non si lascia purificare dall'azione divinizzante dello Spirito. In base a questi presupposti che tipo di obiettività può essere attribuita alla nostra capacità di giudizio? Posso sinceramente affermare che il "down" è più disgraziato di me? Forse il nostro vero errore consiste nel proiettare sugli altri il nostro concetto di "autorealizzazione" che inconsciamente vorremmo standardizzare. Ogni persona ha un suo grado di autorealizzazione perché è diverso il suo modo di vedere la vita e il mondo e diversa è la sua sensibilità. Queste "diversità" ci turbano perché non abbiamo ancora capito che il mistero della creatività divina si cela in esse. E qui interviene ad illuminarci la Redenzione operata da Gesù Cristo la cui passione e morte turbano ancor oggi, a distanza di secoli, il nostro tranquillo sentirci cristiani. Per inciso, sarebbe interessante conoscere il pensiero di un reincarnazionista che vuol essere sinceramente cristiano: alla luce delle sue teorie come si pone il Cristo sofferente "uomo" annoverato tra i malfattori e tra i più abbietti tra gli uomini a causa delle sue umiliazioni e patimenti? La riflessione cristiana non ha sempre affermato che Cristo si è caricato di simili sofferenze per effonderci lo Spirito del Padre e riconciliarci a Lui in un estremo atto di misericordia? Sin da fanciulli ci abituiamo a vedere la sofferenza al negativo. E in effetti, presa in se stessa appartiene solo a questo mondo limitato e corruttibile; quindi va sconfitta. Ma la sofferenza vista in un contesto diverso, da un'altra prospettiva, non è mai fine a se stessa: essa ha delle finalità che ci sfuggono ed è sempre finalizzata ad una libera "autorealizzazione" che coincide con una certa pienezza che ogni persona, dal bimbo all'anziano, dal sano all'ammalato, dall'ignorante al colto, dal povero al ricco, dallo schiavo al padrone, dal brutto al bello, dovrà raggiungere. In questa prospettiva sono convinto che anche il "diversamente abile" colpito da insufficienza mentale raggiungerà una sua pienezza che a noi non spetta giudicare : ciò che varrà nel mondo dell'amore, cioè nel Regno dai Cieli, sarà il grado di assimilazione raggiunto in Cristo e proporzionale alle reali capacità di ciascuno che agisce nei limiti posti dal Creatore. Nella casa del Padre, infatti, ci sono "molte mansioni" e la gloria di Dio risplenderà in tutti coloro che hanno risposto al suo appello amoroso. Scopriremo, allora, che tutte le nostre lacrime, fatiche, dolori, ingiustizie, persecuzioni, non erano altro che il pungolo dell'autorealizzazione... Come conciliare sinceramente la visuale reincarnazionista con le beatitudini? Che beatitudine è mai quella di un sofferente che sta scontando antefatti di cui nulla ricorda? Nel contesto cristiano l'ipotesi reincarnazionista solleva ancora più perplessità e contraddizioni della dogmatica tradizionale. L'insegnamento della Chiesa ereditato da Cristo pone tutto alla luce del Cristo morto e risorto. Solo così sarà possibile accettare il fatto che tutte le diverse esistenze, uniche ed irripetibili, rientrano nel misterioso piano di salvezza scaturito dalla misericordia di Dio che ha voluto le diversità per attivare l'amore reciproco che in lui dovrà ricongiungersi nell'eternità.
Pier Angelo Piai
www.mondocrea.it
Altre Riflessioni sul Cristianesimo
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