Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Bipolare?
Conversazione con Roberto Cavasola di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- Settembre 2020
Roberto Cavasola, psichiatra e psicoanalista, è docente dell’Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza, e di Psicomed presso Neuromed (Pozzilli). È membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi. Ha tradotto testi di Lacan e scritto articoli per riviste come «La Psicoanalisi», «Attualità lacaniana» e «European Journal of Psychoanalysis». Per Quodlibet ha pubblicato L’isteria, la depressione e Lacan (2013) e Bipolare? La melanconia, la mania, il suicidio e Lacan (2020).
Dottor Cavasola, cosa l’ha spinta innanzitutto a scrivere uno studio sul disturbo bipolare (Bipolare? La melanconia, la mania, il suicidio e Lacan, Quodlibet)? E perché quel punto interrogativo?
Credo che si debba collocare la moda della diagnosi di bipolare facendo riferimento a Lacan che in Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi parla dell’astoricismo in cui tutti sono concordi nel riconoscere il tratto fondamentale della communication negli USA”(1). Si è affermato il DSM come manuale universale di psichiatria, un manuale che volendo essere puramente descrittivo in realtà si basa sul rigetto dell’apporto freudiano, ma anche sul rigetto di due secoli di psichiatria che lo hanno preceduto. Questa operazione che risente moltissimo della cultura americana ha creato un sistema diagnostico e delle categorie che hanno come risultato, come ha detto Eric Laurent, di irreallizzare il sintomo. Ho quindi cercato di addentrarmi nei sintomi del bipolare per fare una ricognizione più esatta e più profonda di quelli che sono i veri sintomi. Il fatto di cancellare la categoria della nevrosi e di relativizzare la categoria della psicosi rende la clinica psichiatrica contemporanea sfuocata e confusa. Considerare l’umore come un sintomo primario, di cui si vorrebbe che fosse l’espressione diretta di qualcosa di biologico, è un errore. I pensieri e le parole del paziente vengono ad essere ridotti a segni di una semeiotica medica, a spie di un presunto disturbo. La difficoltà che possono effettivamente avere i melanconici a dare una interpretazione soggettiva della loro melanconia favorisce però questa impostazione, dando l’impressione che la melanconia sia un sintomo puro, un sintomo grezzo, l’espressione diretta e immediata di qualcosa di biologico. Dimostrare che non lo è affatto era quindi per me raccogliere una sfida. Ad esempio la congiuntura di scatenamento dei sintomi melanconici dimostra che vi è una correlazione chiara e precisa tra un evento che ha una portata simbolica e soggettiva e l’inizio dei sintomi.
“Cos’hanno in comune l’Apollo e Dafne del Bernini, i film di Antonioni – ma anche di Fellini, Hitchcock e Scorsese –, le arie di Monteverdi e di Dvořák, gli scritti di Baudelaire – ma anche di Marguerite Duras, Flaubert, Dante... – e la vita dell’attrice Vivien Leigh?” – come recita il risvolto editoriale?
Freud ha detto che l’artista arriva a volo d’uccello a cogliere delle cose a cui lo psicoanalista giunge camminando faticosamente. È sorprendente come certe opere d’arte possano illuminare i fenomeni clinici facendoci afferrare qualcosa che è fondamentalmente piuttosto misterioso e oscuro. La cosa che trovo più sorprendente è l’esattezza di certi dettagli, per esempio del modo in cui Dante parla del suicidio.
Quali sono stati i suoi principali punti di riferimento?
Lacan non parla in modo approfondito della melanconia o della mania, ma ciò che dice in alcune frasi del Seminario X, L’angoscia, o in Televisione, resta fondamentale. Le conversazioni cliniche che vengono regolarmente fatte nella nostra scuola di psicoanalisi, sotto la direzione di Jacques-Alain Miller, hanno consentito di verificare, a partire da una serie di casi clinici che sono stati discussi, la pertinenza dell’apporto lacaniano. Mi sono impegnato a dare risalto ad alcuni concetti che illuminano molto bene i problemi clinici.
Come si manifesta la mania? Come interpretarla?
Considerare la mania come “euforia” o come “agitazione” è del tutto insufficiente, anche se questi stati si possono riscontrare nella mania. Dobbiamo considerare la mania a partire dalla libido, come fa Freud, o dal godimento, nella prospettiva lacaniana. Freud presenta tuttavia una difficoltà che è data dal fatto che il termine libido comprende aspetti diversi: la soddisfazione, ma anche il desiderio e persino l’amore. Ciò rende difficile parlare della mania in termini freudiani, e Freud ha dato un’indicazione fuorviante, quando ha paragonato la mania e lo stato di ebbrezza. vero che la mania può essere considerata come una sospensione di tutti i divieti e di tutti i limiti, come una tendenza sfrenata al soddisfacimento. Ma il carattere distruttivo di questo stato che per lo più è anche molto poco soddisfacente deve essere spiegato meglio. La mania rappresenta il venire meno della funzione del limite simbolico dato dal desiderio. La mancanza di un limite simbolico al godimento comporta un rapporto non mediato tra il reale e l’immaginario, e una tendenza a un soddisfacimento sfrenato che si presenta con le caratteristiche di una parodia del soddisfacimento, proprio perché prende delle forme puramente immaginarie. Possiamo concettualizzare l’inconscio come ciò che consente un legame tra il reale e il simbolico, tra il godimento e il desiderio; Lacan interpreta quindi la mania come un “rigetto dell’inconscio”(2). Per questo il soddisfacimento della mania è sfrenato, ma anche confuso, secondo forme banali e stereotipate, e al limite senza senso. La disinibizione dunque non è affatto sufficiente a interpretare la mania che è qualcosa di molto più radicale.
Cosa muove un adulto o un adolescente a suicidarsi? Cos’è che principalmente spinge al suicidio? Tutti i suicidi si equivalgono?
È importante considerare che il suicidio si pone in una prospettiva che non è univoca, in quanto dobbiamo considerarlo non come un atto, ma come un passaggio all’atto. Per un verso il soggetto ne è il protagonista, ma per un altro verso non sa cosa sta facendo. Il suicidio deve essere considerato prima di tutto come un enigma in quanto come dice Lacan se “l’atto in quanto esso è ciò che vuole dire si opera solo a controsenso”(3). Il suicidio è un uscire dalla scena, fuori dal mondo ma anche fuori dal simbolico. Per questo il tempo è un fattore molto importante, in quanto la caratteristica del passaggio all’atto è di essere precipitoso. La frequenza del tentato suicidio nell’adolescenza rappresenta la manifestazione di un reale che non trova dei parametri simbolici e immaginari per contenerlo.
Il carattere enigmatico e imprevedibile del suicidio si riscontra nell’incredulità che tale atto suscita nelle persone legate al suicida. Per esempio il produttore di Kurt Cobain ha scritto una pubblicazione per tentare di dimostrare che il suicidio del cantante è stato un omicidio: considerava impensabile l’uso del fucile come metodo per togliersi la vita. Ma è proprio questo “impensabile” che dobbiamo prendere in esame come una caratteristica del suicidio.
Le modalità del tentato suicidio possono essere ben distinte a seconda delle strutture cliniche in cui si manifestano. Il tentato suicidio è quella manifestazione che più di ogni altra resiste alla banalizzazione operata dalla psicopatologia contemporanea. Se ci si addentra nel tema è evidentissimo come vi siano tentati suicidi completamente diversi tra loro che corrispondono a strutture cliniche diverse. Il fatto di precisarle consente anche di impostare il trattamento.
Nei pazienti ad alto rischio di suicidio è molto importante guadagnare tempo. Lacan ha rilevato come il tema della fretta sia inerente al passaggio all’atto; c’è una connessione tra tempo e rapporto con il reale. Se si lascia passare del tempo, se si guadagna tempo, l’ideazione suicidaria a volte può sorprendentemente svanire. Per questa ragione la “crisis intervention”, che consiste nel creare dei reparti appositi in cui realizzare un intervento intensivo sul contesto del paziente, può essere una soluzione decisiva, poiché molti pazienti sono inizialmente refrattari a qualunque tipo di terapia e perché statisticamente il tentato suicidio ha un’alta percentuale di replicabilità. In Italia purtroppo non sono state istituite strutture che consentono di praticarla.
Le chiedo una considerazione sul lutto…
La considerazione di Freud che la sofferenza del lutto dipende dall’impossibilità di investimento libidico dell’oggetto è stata banalizzata ed è diventata un modello per rappresentare tutte le forme di sofferenza. Occorre restituire al lutto la sua specificità. Il lutto mette in risalto proprio ciò che vi è di non rappresentabile nell’oggetto, ciò che non si riesce a dire di ciò che si è perduto; è per questo che il lavoro del lutto deve appoggiarsi sull’idealizzazione e sui tratti immaginari dell’oggetto. Il lavoro del lutto è reso più difficile se qualcosa ostacola l’idealizzazione. Il lutto non va considerato come una mancanza ovvia, un comune denominatore del dolore psichico.
Sempre ritorni tu, melanconia, o soave senso dell'anima solitaria – scriveva il poeta Georg Trakl… Che definizione darebbe della Melanconia?
Se i poeti parlano meglio di noi della melanconia ci deve essere una ragione, e anche noi dobbiamo fare come suggerisce Jacques-Alain Miller uno sforzo di poesia(4).
Doriano Fasoli
NOTE
1) Lacan J., Scritti, Vol. I, Einaudi, Torino 1974, p. 238.
2) Lacan J., Televisione, Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013,p. 521.
3) Lacan J., La logica del fantasma, Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p.321.
4) Titolo del corso al Dipartimento di psicoanalisi dell’università di Parigi VIII, III 5, 2002-2003, (inedito).
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