Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Ancora una professione impossibile
Conversazione con Ottavio Fatica
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- giugno 2005
Lui è naturaliter svagato, trasognato, impenitente; trapassa nell’assurdo e ne ritorna senza soluzione di continuità come attraverso una nube d’insipienza. Le poesie gli servono per partire da un luogo, dal nome di un luogo, per arrivare Novunque (Nowhere), cioè da nessuna parte, facendo capitare ai suoi protagonisti lungo il tragitto le cose più risibili, inconsulte.
Se ho definito fuorilegge il territorio dove sconfina il limerick, nella terra di nessuno del nonsense, una quarta dimensione della mente, è più nel senso di Charles Lamb che di Billy the Kid, peraltro originario della contea di Limerick. Una breve evasione dalle opprimenti leggi del tempo e dello spazio, come sosteneva Lamb, lieto di prendere una boccata d’aria uscendo, per una fantomatica stagione, dalla diocesi della coscienza, e di andarsene ogni tanto, per un “dream-while” (un po’ di sogno), in recessi dove il cacciatore non lo può seguire; dopo, beninteso, rientrerà nella gabbia ma, aggiunge, per aver respirato l’aria della libertà immaginaria, sopporterà poi meglio le catene. Il tono, compitamente disperato, così struggente, è solo di Lamb, ma lo spirito si attaglia anche alle scappatelle di Edward Lear.
“Il traduttore, una lastra di vetro il cui unico compito è lasciar passare la luce? Un messaggero, un ‘go between’ che trasmette il messaggio e forse tanto meglio quanto più ignora tutto delle intenzioni dell’emittente e delle intenzioni del ricevente?”: sono alcune immagini proposte dallo psicoanalista J.B. Pontalis nel suo libro “Perdere di vista”.
Cosa vuol dire per lei tradurre?
Tante cose: un’attrazione medusea; accettare una sfida; imitare nel senso degli antichi, a ben vedere tutti traduttori; vivere per un po’ all’ombra di grandi opere, e tentare di adombrarle; il gusto dell’emulazione. Più il piacere di contorcersi acrobaticamente, di trovare nuovi modi per il corpo della mente di disporsi, in questo strano spazio tra due lingue, prima di riportare il testo nella propria. E poi una perversione personale: per non scrivere.
Da quando esercita questa difficile arte?
Con convinzione e continuità dagli anni Ottanta.
Quali sono state le prime opere da lei tradotte?
Ho tradotto da ragazzo Il matrimonio del cielo e dell’inferno di William Blake e, chissà perché, i “balletti” messi da Céline in appendice alle famigerate Bagatelles. Ma erano esercizi privati, ginnastica da camera. Ancora non pensavo di entrare nell’agone sotto questa veste.
Quali sono stati gli autori che le hanno dato più filo da torcere?
Ho cominciato, come tutti, a farmi le ossa con un certo numero di lavori commissionati; ho capito di fare sul serio quando ho deciso di proporre in italiano l’ultimo Kipling, quasi sconosciuto da noi negli anni Ottanta. Quello è stato il primo libro che ho “curato”, scegliendo i racconti, accompagnandolo con un apparato utile a scoprirne i tesori fin troppo bene occultati. Un lavoro difficilissimo, e piacevolissimo. Da lì in poi è stato tutto in salita. Nel senso che, ormai avvertito, fiutavo subito le enormi difficoltà che mi avrebbero posto i vari Byron, Faulkner, Henry James, i Walter de la Mare, Lafcadio Hearn o William Goyen, sapevo a cosa andavo incontro, e non mi tiravo indietro.
“L’idea di libertà si ricollega al bere”: suona così un verso di Malcom Lowry, grande scrittore, eppure oggi quasi completamente dimenticato. “Come non amare uno scrittore così intimamente e profondamente privo di ambizione? Lowry è stato lo scrittore più santo del ventesimo secolo. Più di Mandel’štam. Più di Salamov. I due russi sono diventati santi perché qualcuno li ha costretti a diventarlo. Lowry non l’ha costretto nessuno” – dice di lui il critico Franco Cordelli, che gli ha dedicato un capitolo, “L’osteria suprema” incluso nel volume “La religione del romanzo”.
Fatica, le sarebbe piaciuto provarsi con quest’autore inglese?
In tanti avrebbero condiviso quelle parole di Lowry. Tradurlo? Non so,
non rileggo un suo romanzo da troppo tempo. Mentre ho rivisitato il poeta, molto più interessante del previsto. Il suo sfrenato romanticismo, per gli argomenti come per le atmosfere, cacciato a viva forza in forme rigorose come il sonetto, dà risultati notevolissimi, e poco noti. Andrebbe riaffrontato e riproposto in un'antologia più vasta, e migliore, di quella di trenta e più anni fa. Presenta senz’altro grosse difficoltà, ergo potrebbe tentarmi.
In ambito poetico, quali sono le sue predilezioni?
Troppe. Noioso provare a elencarle. Potrei passare da un colosso come Milton a un Housman, autore di una singola, breve raccolta, a un Paul-Jean Toulet, che avrà scritto tre, forse quattro chiuse perfette, in tutti i sensi, delle sue già tanto rarefatte Contrerimes.
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