Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Tra musica e poesia
Conversazione con Maria Pia De Vito
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- gennaio 2009
Maria Pia De Vito è una cantante molto nota al di fuori dei confini italiani, e il suo nome è legato al Jazz internazionale, di ricerca. Il nome della performer e cantautrice partenopea, infatti, è ben conosciuto dalla rivista americana “Down Beat”, i cui critici l’hanno accolta nella categoria “Beyond artist”, accanto a Cesaria Evora, Caetano Veloso e Joni Mitchell. Qualità di interprete già eccellenti, che negli anni sono state affinate lavorando a fianco di musicisti quali Rita Marcotulli, Enrico Rava, Joe Zawinul, Gianluigi Trovesi, John Taylor. E dopo i bellissimi album Phoné e Verso, arriva una chicca, sintesi di jazz e virtuosismi, Mediterraneo e Oriente: Nel respiro (Provocateur) in cui è accompagnata dal pianista John Taylor, dal chitarrista Ralph Towner, dal bassista Steve Swallow e dal percussionista Patrice Heral. Nel corso delle dieci tracce, De Vito offre una interpretazione essenziale e al tempo stesso passionale, dove il respiro, e non la voce (anche se sublime) è protagonista dell'intero lavoro. Non a caso la De Vito è appassionata della ricerca degli Area sulla voce e sui suoni. Ma è su di un’altra sua grande passione che l’abbiamo incontrata: una passione coltivata forse più in un modo più sotterraneo rispetto a quella che Maria Pia De Vito nutre verso il mondo musicale, ma non per questo meno tenace: la passione per la poesia.
Che posto ha occupato la poesia nella tua vita?
Un posto molto importante, sin dall’infanzia, dai tempi della scuola. Adoravo Petrarca e Dante… e la poesia dialettale, che si mescolava col teatro e con la musica… tra Totò, Eduardo De Filippo, Bovio, Di Giacomo…
Ho scoperto una via autonoma alla poesia da bambina con un libro di Prevert che girava per casa… poi è seguito Ungaretti, Neruda… e tutto il resto.
Qualcuno ha detto “la poesia è la mia religione”… ecco , per me la poesia è questo, è consolazione, evocazione… di un luogo interiore in cui mi sento vicina ad ogni essere umano.
È come se la poesia e la musica occupassero lo stesso spazio, dentro di me, da sempre. Probabilmente è per questo che poi sono diventata una musicista cantante!
Quali sono le tue predilezioni poetiche?
Difficile sintetizzare, anche perché si avvicendano con il mutare delle stagioni… da adolescente amavo Neruda e Prevert, Rilke, Eliot, John Donne, i sonetti di Shakespeare, Majakowskij… mistici come Juan de la Cruz, Rumi… e chi non ama Alda Merini? Oggi amo Celan, Cummings, Auden, Edna St.Vincent Millay, e apprezzo molto alcuni autori della poesia italiana contemporanea: Mariangela Gualtieri, Gabriele Frasca, Valerio Magrelli, Sara Ventroni… Tommaso Ottonieri… Lello Voce… ma ne lascio fuori tanti…
Qual è il verso, o i versi, che ti stanno più a cuore, che non hai mai dimenticato?
Tanti, tanti… i primi imparati a memoria, nell’adolescenza, dalle poesie d’amore di Prevert:
“Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo a me fra le mie braccia”.
E oggi, un breve testo di Patrizia Valduga, che ho inserito in un mio brano “Forse no”, dal mio album Tumulti:
“Io sono sempre stata come sono,
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono”.
Fabrizio De Andrè era solito citare Benedetto Croce, il quale diceva che fino ai diciotto anni tutti scrivono poesie e che da questa età in poi ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Tu, ti sei mai provata nell’attività poetica?
Scrivo testi per le mie canzoni, ho scritto poesie che poi ho messo in musica… e scritto qualche saggio.. e brevi racconti e poesie…
Quindi sì, sono forse nella grande categoria dei cretini!!! Ho grande pudore rispetto alle cose che scrivo e non solo in musica. Raramente le rendo pubbliche. D’altronde, vorrei dire a difesa della cretineria, che nel processo creativo, e quindi anche quello poetico, se non ci si espone ad essere un po’ cretini , se non si rischia in qualche modo di fallire, non si può sperare di creare qualcosa di valido.
Nell’ambito musicale italiano da quale parte ti sembra provengano gli spunti più innovativi, più autentici, più vitali?
Posso parlare con maggiore cognizione di causa dell’ambito jazzistico… Ci sono musicisti giovani che stanno facendo cose bellissime, portatori sani di quella meravigliosa malattia giovanile che è l’intuizione, la capacità di collegare spregiudicatamente materiali musicali diversi tra di loro, creando così nuove vie, essendo ancora abbastanza indenni da considerazioni utilitaristiche… L’irruzione delle regole del mercato pop nel mondo del jazz, grazie a fenomeni di vendita come quello di Norah Jones, ha creato un terreno di base “competitiva” e di corsa al successo di vendite che non favorisce certo la ricerca….
Suono spesso con musicisti giovani, lo trovo nutriente. Ci sono due pianisti italiani che faranno una grande strada: Claudio Filippini, 26enne di Pescara, e Giovanni Guidi, addirittura 21enne. È una gioia ascoltarli e suonare con loro. Ma ci sono musicisti della generazione successiva come il sassofonista Francesco Bearzatti, il chitarrista Roberto Cecchetto, e Michele Rabbia, straordinario percussionista ed inventore di suoni elettronici e naturali, che sta mostrando nuove vie alla composizione e all’interazione col teatro, la danza, le arti figurative e la videoart…
Verso quale direzione muove la tua ricerca musicale?
Ho sempre avuto un approccio un po’ multiforme alla musica… mi piace provare cose sempre nuove, non dimenticando le mie radici: in questo periodo ho scoperto ancora una volta quanto è forte il mio legame con Napoli, a giugno uscirà un mio nuovo lavoro, insieme ad un fantastico pianista inglese, Huw Warren. Si intitola Dialektos in cui ancora una volta mescolo la lingua napoletana con un jazz di impronta europea, e con elementi di musica brasiliana. Ospite Gabriele Mirabassi, uno dei più grandi clarinettisti al mondo. Ma lavoro anche sulla forma canzone americana, con il mio omaggio di qualche anno fa alla grande Joni Mitchell, o il più recente Songs from the underground in cui mi diverto ad rileggere Jimi Hendrix, o Elvis Costello, Tom Waits ed altri.
E ho in uscita un altro lavoro discografico sull’incontro tra la musica barocca e l’improvvisazione… con Claudio Astronio all’organo, Michel Godard al serpentone (raro strumento rinascimentale) e tuba, e Paolo Fresu alla tromba… si chiama Coplas a lo divino. Insomma, un bel ventaglio di novità!
Che posizione hai nei confronti della strumentazione elettronica?
Da oramai una decina d’anni lavoro sull’elettronica live applicata alla voce. Uso una Loop Machine che mi consente di registrare in tempo reale quello che sto cantando, creando con la voce polifonie e ritmi su cui improvvisare, ed è molto stimolante e divertente sul piano compositivo. E ultimamente uso dei filtri che modificano il suono stesso della voce… Molto del lavoro di Songs from the underground si basa sull’uso dell’elettronica, che è usata da quasi tutti i membri del gruppo. È un’ estensione della propria “tavolozza” espressiva, purché sia al servizio della composizione, e non diventi una marmellata che uniforma tutto!
Tra i cantautori ce n’è qualcuno che ti ha colpito particolarmente?
Oltre ai grandi come De Andrè e Fossati, Tenco, eccetera, dei giovani mi piacciono molto alcune cose di Elisa, Carmen Consoli, Samuele Bersani, Daniele Silvestri…
Quali sono, secondo te, i problemi oggi più urgenti da affrontare e sui quali magari ti piacerebbe intervenire musicalmente?
Oddio… questo periodo è un ‘emergenza continua. Non mi piace affatto lo stato in cui è il nostro paese, lo stato in cui è la mia adorata città, Napoli, o il clima che si vive adesso nella mia città di adozione da oramai vent’anni, Roma.
Non mi piace, non mi piace. L’Italia delle raccomandazioni, dei servilismi e del privilegio, l’Italia senza applicazione delle leggi e degli incendi ai campi rom…
Credo che la cultura e l’arte siano la medicina stessa all’abbrutimento della nostra realtà sociale.
Continuare a tendere verso la creazione di una possibile bellezza e il comunicarla, e insegnare ai giovani, stimolarli a trovare la propria unicità espressiva in mezzo a tanti modelli fuorvianti, è davvero il meglio che noi artisti possiamo offrire.
Doriano Fasoli
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