Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
La morte dell'anima
Conversazione con Marco Vannini
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
Ne “L’esperienza interiore”, un libro scritto e composto tra l’inverno del 1942 e l’estate del 1943, Bataille chiarisce sin dalla prima pagina che per “esperienza interiore” egli intende quella che “viene detta esperienza mistica… libera però da legami anche di origine con qualsiasi esperienza confessionali”. Il capitolo IV di questo libro è intitolato “L’estasi”. Qual è la sua concezione dell’estasi? E cosa comporta l’esperienza estatica?
Non amo la parola “estasi”, per tutto quello che di eccezionalità psicologica - e dunque, implicitamente, di appropriativo - che essa porta con sé, così come, per essere sincero, non mi convince molto Georges Bataille per quella sua commistione di “giovedì grasso e venerdì santo” che lo contraddistingue e che è ben lontana dalla via maestra del distacco. Mistica è la continua, costante esperienza della grazia, ovvero del divino nell’umano e dell’umano nel divino. La sua estasi, se così vogliamo dire, è un’estasi del quotidiano, una profonda gioia nel presente, qui ed ora. Sotto questo aspetto, sono piuttosto da sottolineare le analogie con il buddismo zen.
“L’evento mistico si produce dentro l’anima, dentro ciò che nell’uomo vi è di naturale in virtù di qualcosa che naturale non è, e che sta fuori di essa, per lo meno in quanto, in senso stretto, non ne è parte”. È d’accordo con queste parole di Maria Zambrano?
Sono d’accordo, anche se con qualche riserva per l’espressione iniziale “evento mistico”, che è carica di un significato psicologico, in quanto rimanda a quella concezione di “stati” da conseguire che è implicitamente appropriativa, e contrastante con la via maestra del distacco, come accennavo prima. Per questo stesso motivo uso con cautela lo stesso sostantivo (e aggettivo) “mistica”, che è prevalentemente carico di un senso di eccezionalità psicologica.
Lo psicoanalista inglese Bion era stupito dell’“accordo sorprendente” tra le descrizioni offerte da tutti i mistici che pensano di aver avuto l’esperienza della realtà ultima. Pensava di aver trovato la migliore espressione di questa esperienza propriamente indicibile nella Salita al Carmelo di Juan de la Cruz. La mente che cresce con l’aiuto della psicoanalisi soffre, con le debite proporzioni, come l’anima che cerca l’unione divina.
Cristina Campo ci ha lasciato uno straordinario giudizio su Juan de la Cruz come scrittore: “Il mistico che ci diede la ratifica tecnica di ogni singolo attimo di vita spirituale, in trattati che nulla hanno da invidiare al più perfetto repertorio scientifico, senza che mai l’ala della parola perda nulla della sua porpora”. Lo condivide?
Per quanto riguarda la psicoanalisi e Bion, credo comunque che, più delle accidentali convergenze, si debba continuare a sottolineare le distinzioni, non per fare gerarchie di merito, ma per comprendere le cose. Per la sua origine e struttura, la psicoanalisi non ha nulla a che fare con la mistica, in quanto la prima è, appunto, analisi dello psichico (e, come tale, destinata la fallimento o all’esaurimento nella chiacchiera, dal momento che, come diceva già Eraclito, “per quanto tu percorra l’anima, mai non ne troverai i confini, tanto profondo è il suo lògos”), mentre la seconda è esperienza dello spirito, ovvero di quel “fondo” dell’anima che non ha nulla in comune con le sue facoltà. Questo è uno dei temi essenziali del mio libro, appunto, La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia. Ciò non toglie, ovviamente, che la conoscenza dello psichico, per quanto possibile, sia utile: come dice Eckhart, lo spirito non può essere perfetto se corpo e anima non sono perfetti. Per quanto riguarda invece il giudizio di Cristina Campo su san Giovanni della Croce (che ne ripete uno identico di Simone Weil), sono d’accordo. Mi permetto però anche qui una riserva: nel grande casigliano è presente quell’esigenza sistematica, dogmatica, tipica di tanta trattatistica “mistica” del suo secolo e di quello successivo. Tale volontà di rigore rischia di chiudere alla libertà dello spirito, che soffia dove vuole, e non conosce regole e prescrizioni: come faccio notare anche nel mio libro, non è un caso che il massimo maestro dell’anima in Occidente, Meister Eckhart, non costruisca una trattatistica dell’anima, anzi la rifiuti esplicitamente.
Conosce (ed approva) l’edizione einaudiana delle Poesie di Juan de la Cruz curata da Giorgio Agamben?
Purtroppo no, e non certo per disistima del curatore, ma solo perché riesco a leggere san Giovanni della Croce in lingua originale.
Sul piano personale, dedicarsi allo studio dei mistici cosa ha significato?
Ha significato la gioia di tutta la vita, fin da quando, ragazzino ginnasiale, scoprii l’antologia di Eckhart intitolata La nascita eterna e capii d’un colpo di trovarmi di fronte alla massima profondità e luce spirituale possibile.
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