Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Il bacio della donna ragno
Conversazione con Manuel Puig (scrittore)
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- giugno 2008
“Il mio paese era molto speciale, al centro dell’Argentina, lontano da tutto e da tutti: 600 chilometri da Buenos Aires, 800 chilometri dal mare, 800 chilometri dalle montagne. Una pianura assolutamente perfetta: una linea retta dell’orizzonte. Assenza totale di paesaggio. Schermo completamente bianco. Non c’erano alberi, l’acqua si tirava su dalle falde sotterranee. Cresceva soltanto un’erba che non era nemmeno verde, e tuttavia era buona per il bestiame: l’unica ricchezza del posto. Improvvisi mulinelli di terra rossa che entrava nei polmoni ma, per il resto, aria pulita, secca, e cieli stellati limpidissimi, come non ne ho mai visti in nessun’altra parte del mondo. Su quel telone si poteva proiettare tutto quello che si voleva. Adesso non c’è più niente… Nel paese c’era un cinema che dava due film al giorno, uno alle sei del pomeriggio, l’altro di sera. Con mia madre andavo al cinema tutti i giorni, alle sei. Lei mi capiva, lo desiderava come io lo desideravo. Era la nostra fuga dalla quotidianità. Mi prendeva per mano e insieme ci incamminavamo nel mondo dei sogni. Film argentini ma anche film americani, e poiché venivano proiettati nella lingua originale con sottotitoli in spagnolo, subito capii che la realtà parlava inglese. Era una finzione, d’accordo, ma era la mia realtà, quella vera… Mia madre era mia complice, ogni pomeriggio fuggivamo insieme e, tornando a casa, continuavamo a sognare. Si spiegano molte cose di me se si tiene presente il posto che il cinema ha avuto nella mia infanzia. Si spiegano i miei romanzi (uno l’ho intitolato addirittura Il tradimento di Rita Hayworth). Si spiega la mia passione per i ruoli doppi, reale e immaginario che si confondono e si sovrappongono. Si spiega la tecnica del dialogo, quasi come in una sceneggiatura per film. Si spiega Il bacio della donna ragno e i quattro film raccontati dall’omosessuale Molina al rivoluzionario Valentìn. La mia passione per Greta Garbo, simbolo per eccellenza dell’immaginario cinematografico”: sono parole di Manuel Puig, pronunciate a metà degli anni Ottanta. Incontrai il grande scrittore argentino, nel corso del suo passaggio a Roma, dopo essere stato ad Agrigento dove vinse l’Efebo d’oro per il libro Il bacio della donna ragno (pubblicato da Einaudi) da cui il regista Hector Babenco (anche egli premiato insieme all’attrice Sonia Braga) trasse il film omonimo (che ottenne oltre tre miliardi di incassi).
Manuel Puig morì prematuramente nel 1990 e l’intervista che proponiamo è in gran parte inedita.
Puig, a quale esigenza profonda risponde la sua scrittura?
Direi sempre alla stessa: al bisogno di chiarirmi nei problemi personali non risolti. Io vedo un personaggio che mi passa vicino e se c’è una grande identificazione, se sento che egli in qualche modo riflette un mio problema, approfitto della situazione per analizzare i miei problemi. Dunque attraverso un altro, con questa prospettiva che mi dà il fatto di essere qualcuno al di fuori di me. Certo, per me la letteratura è comunicazione. Sempre quel mio problema che voglio proporre ai lettori è un problema che può essere anche abbastanza collettivo, perché altrimenti non mi interesserebbe il lavoro. Per me la scrittura ha sempre questa doppia esigenza: rispondere a un mio bisogno e a un possibile interesse del lettore. Se non esiste possibilità di dialogo mi fermo. Se sento che è proprio qualcosa che m’appartiene, unica, intrasferibile, non ho ovviamente nemmeno voglia di comunicarla. Poi io con me stesso parlo abbastanza; credo, come Lacan, che in ognuno ci sia questa tensione: l’Io e l’Altro sempre presenti.
Lei si è interessato a Lacan?
Mi ha sempre interessato la psicologia e, nell’ambito psicoanalitico, particolarmente la scuola di Lacan, che ritengo sia molto liberatrice, una scuola ottimista che crede si possa mettere ordine nella testa della gente. A me, ad esempio, è piaciuta molto questa proposta lacaniana di vedere l’inconscio come un modello di organizzazione paragonabile ad un linguaggio. Il fatto che l’inconscio non sia una borsa piena di gatti rabbiosi ma, al contrario, tutto un sistema organizzato. Ciò ti dà la speranza che forse trovi il tasto giusto e ci vedi più chiaro».
Lei stesso si è sottoposto ad analisi?
Sì, ho fatto analisi molti anni fa, ma di scuola freudiana non lacaniana, legata all’ipnoanalisi. Era un metodo abbastanza rapido e profondo. Comunque Lacan mi ha giocato un piccolo scherzo: in seguito al suo studio ho scritto una commedia che si chiama Stelle del firmamento (lo pubblicherà Einaudi e spero che si faccia a teatro). Ho sentito molto il bisogno, dopo la mia riduzione de Il bacio della donna ragno, di continuare la via teatrale, di percorrere un po’ questo nuovo, per me, territorio».
Lei viene ora da Agrigento, città natale di Luigi Pirandello: ne approfitto per chiederle qual è la sua opinione su quest’autore.
Mi accorgo di come sia difficile andare oltre Pirandello, perché lui è stato così moderno… A me non interessa, ad esempio, la linea Beckett-Ionesco-Pinter: la trovo molto poetica, di altissimo livello, ma pessimista. Io non sono pessimista. Quello che mi spinge a lavorare è sempre la convinzione che si possano chiarire le cose, migliorare la situazione della gente nel pianeta. È un atteggiamento che trovo anche in Pirandello: malgrado l’amarezza c’è, in lui, questa voglia di mettere un po’ ordine.
Le è piaciuta la versione cinematografica de «Il bacio della donna ragno»?
Sono molto felice dell’effetto che il film ha sul pubblico. Io però avrei seguito un’altra strada, lo avrei reso diversamente, puntando più sull’umore… Ma siccome il pubblico riceve esattamente quell’impressione finale che io cercavo devo così ammettere che anche quella via è stata giusta. Soprattutto si sente, nel film, questa volontà di presentare il personaggio di Molina come un essere umano, non come una macchietta, e questa è un po’ l’intenzione che c’era sempre perché io credo che l’omosessualità non esista, che sia soltanto una proiezione della mente reazionaria.
In che senso?
Nel senso che per me il sesso non ha una trascendenza sul piano morale. È un’attività tanto importante quanto il sonno e l’alimentazione. Rientra dunque nelle funzioni della vita vegetativa ma senza peso morale, senza significato. Allora non può un’attività moralmente banale definire l’identità. Ecco perché dico che l’omosessualità non esiste. Per me sì è trascendente la vita degli affetti, ma nessuno è identificato per la sua vita affettiva, molto di più per la sua attività sessuale. Si dice che dare un significato morale al sesso derivi da un errore commesso tanti secoli fa da un patriarca nel creare due tipi di donne: la santa a casa e la prostituta nella strada. Per così controllarle. Se lei vede, il peso morale del sesso è sempre stato portato dalle donne. È di una donna che si dice promiscua mentre di un uomo non lo si dice mai e non lo si vede male per un eccesso di attività sessuale, purché non faccia la parte femminile. In tal caso sì. Sia nell’omosessualità maschile che in quella femminile se c’è uno di chiara posizione passiva, che fa insomma il ruolo della donna, viene degradato automaticamente. È la parte del penetrato, della penetrata, che viene sempre degradata. Il peso morale non riguarda mai il penetratore. È, come ripeto, dando trascendenza all’attività sessuale che vengono definiti i ruoli sessuali, altrimenti essi non esisterebbero.
È in un’età in cui si definiscono i gusti sessuali (quindi diciamo tra pubertà e adolescenza) che molti, in seguito alla pressione esercitata dalla società per definire i ruoli, forzano la propria personalità per adeguarsi ad un certo personaggio sessuale già definito a priori. Così io credo che ci sia molta infelicità al mondo per via di questa pressione, culturale, storica, ma artificiale. Suppongo che la verità sia in un indefinito, per tutta la vita. Ciò non vuol dire che io non veda come una grande e bella cosa la monogamia, la coppia che dura tutta la vita, ma forse questa coppia non dovrebbe essere definita necessariamente in base ad un affiatamento sessuale. Potrebbero esserci dei matrimoni che non hanno a che vedere col sesso ma contratti da due persone che si vogliono bene, che stanno bene insieme… Mi si può dire: come è possibile che l’atto che dà la vita sia banale? Ma dà la vita – speriamo – quando si vuol dare la vita. Non è che si dia la vita per caso. Che il figlio venga da una mossa affettiva, non da una mossa sessuale…
Quale ritiene che sia il suo romanzo più riuscito?
Per me tutti sono pieni di difetti ma con qualche cosa di interessante, sennò non li avrei pubblicati. Ora mi sento più di parlare di quelli che hanno ricevuto meno attenzione, come dei figli più brutti insomma. In Italia, ad esempio, si è prestata poca attenzione a Quelle pagine maledette e così anche al precedente Pube angelicale. In America, invece, dopo il successo de Il bacio della donna ragno (per via anche del film) il libro più conosciuto è Il tradimento di Rita Hayworth. Ogni paese ha dunque le sue preferenze.
Una domanda su tre scrittori latino-americani: il colombiano García Márquez, l’argentino Borges, il cubano Lezama Lima. Quale dei tre sente di poter apprezzare maggiormente?
Bè, sono delle voci completamente diverse l’una dall’altra. Hanno in comune il fatto di essere tutti ispano-americani. Solo quello. Ma noi tutti ispano-americani abbiamo avuto questo bisogno di trovare una lingua propria, perché il castigliano è lo spagnolo della Spagna e ci faceva un po’ soggezione, essendo la lingua dei maestri, di Cervantes. Per esprimersi occorreva fare un’operazione complicata che era quella d’incorporare un certo linguaggio coloniale alla lingua spagnola. Un certo linguaggio popolare, regionale, di ogni nostro paese, portarlo ad un livello letterario. Credo sia questo il trait-d’union che ci unisce, perché abbiamo avuto tutti questo problema, ma tutto lì. Comunque li trovo tutti e tre dei giganti.
Doriano Fasoli
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