Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Poesia e psicoanalisi
Conversazione con Giuliano Fuortes
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- giugno 2009
Giuliano Fuortes, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalytical Association, lavora a Roma (dove lo abbiamo incontrato) in un centro di psicoterapia del Servizio Sanitario Nazionale, “Colpo d’ala”, rivolto a persone tra i 18 e i 25 anni. È da sempre interessato alle relazioni tra psicoanalisi e poesia. Ha di recente pubblicato un libro di poesie, pubblicato da Antigone, intitolato Lavori in corso e presentato dallo psicoanalista Domenico Chianese, il quale scrive: “Giuliano Fuortes riesce a bloccare frammenti di realtà, di vita, restituendoci versi-immagini capaci di catturare il fugace momento della meraviglia, di rivelarne (come solo sanno fare certi poeti, certi pittori e soprattutto certi fotografi) la passeggera visione sotto la superficie opaca della realtà e delle cose. C’è del mistero dietro e dentro le cose, mistero che Giuliano registra e ci restituisce in versi-immagini perché è presente in lui la visione di questo mistero. In tal modo il poeta Fuortes coglie e ci comunica il senso della bellezza e la sua struggente fragilità, caducità la chiamerebbe Freud”.
Mi fa molto piacere che l’intervista sia orale – mi dice l’autore del volume – “perché credo che la poesia sia una comunicazione orale che viene in qualche modo resa attraverso la scrittura: ma la poesia nasce come trasmissione orale, ne sono convinto...”.
Bene allora, procediamo intanto...
Abbiamo iniziato, penso...
Sì?!
Sì, ho risposto a una domanda che non mi hai fatto.
Intanto partiamo dal titolo: cosa suggerisce il titolo, “Lavori in corso”?
A me suggerisce qualcosa di incompiuto. Cioè qualcosa che non posso definire concluso, nel senso di... forse perché io credo che le poesie siano vive, qualcosa di vivo e quindi suscettibile di continue modificazioni. Accade con una di queste poesie:
“non me lo dire più,
non lo pensare,
mi fai sentire
troppo male,
troppo importante,
troppo felice.
Dimmelo sempre”.
Nella versione iniziale, anzi in quella stampata, finiva con:
“Dimmelo ancora”.
Quel “sempre” aveva qualcosa di onnipotente, ma sappiamo che - ahinoi - un “sempre” non esiste, allora perché non accontentarci di un “ancòra”? È l’hic et nunc che può essere preludio anche di un’altra volta, ma ci riconsegna ai nostri limiti. Dopodichè c’è questo, che mi piace molto l’idea dei cantieri, cantieri stradali. Io penso a questo, perché si mette questo cartello anche quando si costruiscono case o le si ristrutturano, ma quando ho pensato al titolo avevo in mente dei cantieri stradali.
Come riesci a conciliare le due attività, di psicoanalista e di poeta?
Adesso bene. Inizialmente, mmmh... mi vergognavo di scrivere poesie, al di là della professione di psicoanalista. Mi vergognavo perché... perché mi riconosco in quello che ha scritto Wislawa Szymborska ne “Il poeta e il mondo”, e cioè che i poeti si vergognano di esserlo in una società che a fatica capisce la poesia. Quindi ho iniziato a scrivere poesie sotto pseudonimo..., come vedi la prendo un po’ alla larga ma... è questo il mio modo di rispondere e… ... aspetta un attimo, ti prego... e… solo dopo un po’ di tempo, grazie ad Enzo Lamartora, poeta, fondatore della rivista “Passages”, editore, collega ed amico, al quale ho mandato le mie poesie scrivendogli: “Caro Enzo, un mio amico (e tra parentesi, quante volte i pazienti ci dicono cose simili) scrive queste poesie, vorrebbe che tu le leggessi. Vuoi darmi un giudizio?”. E lui mi ha risposto: “Caro Giuliano, di’ al tuo amico di continuare a scrivere. Ne vale la pena”. In seguito a questo incoraggiamento, a dir poco, ho continuato a scrivere poesie: balbettavo all’inizio, non che adesso non tartagli, figurati, ma spero di migliorare. Ho cominciato a firmarle con il mio nome e le mandavo in giro: a colleghi, amici, parenti e... i pazienti? Te ne parlo brevemente. Con loro sono stato molto rigido e ho una sorta di scissione che ritenevo obbligata, come se ci fosse una deontologia che impedisce di esporsi ai pazienti, mettendo a rischio la privatezza della propria vita privata…, ma... in questo ultimo periodo mi sta accadendo qualcosa di nuovo... Intanto insieme ad Alberto Schön, esperto collega di poesia, musica, lettere e psicoanalisi abbiamo promosso agli ultimi “Seminari Multipli” della Società Psicoanalitica Italiana, tenuti nel 2007 a Bologna, un seminario dal titolo “Poesia e psicoanalisi”, che ha avuto un’importanza notevole nella mia..., in quello che sto per dirti. Perché era un tentativo di interrogarmi insieme ad altri colleghi interessati ad esplorare i nessi tra poesia e psicoanalisi.
Però, per concludere, io seguo nella struttura pubblica persone al di sotto dei 25 anni, e uno di questi pazienti la scorsa settimana ha esordito dicendo: “Non riuscivo a dormire, i pensieri premevano nella testa. Poi finalmente mi sono addormentato, ma ho dormito poco e stamattina quando mi sono svegliato ho pensato: “Meno male che viene Natale: posso fare il presepe, posso fare l’albero”. Allora gli ho chiesto di più ed ha continuato: “Si, perché io faccio un presepe, da anni faccio un presepe che cresce sempre di più, costruendo anche i pezzi: piattini e bottiglie di ceramica, casette...”. L’ho incoraggiato a modo mio, e fino a qualche tempo fa queste cose non si potevano fare, seguendo una rigida ortodossia: “Perché non me ne porta una foto?”; e lui è sbalordito: “Ma veramente la vuole?” ed io: “Sì, anzi non ne vorrei una. Mi farebbe molto piacere se me ne portasse più di una, in corso d’opera”, lavori in corso...
E lui cosa ha aggiunto?
Il ragazzo ha aggiunto: “Ma io non ho la macchina fotografica, gliela posso fare con il telefonino!”; e a quel punto io - rigido sulle prime - ho detto: “Se la faccia prestare una macchina fotografica, quanto ci mette? Poi gliela ridà”. Poi ho pensato che potevo violare l’ultimo mio tabù, cioè potevo dargli il mio numero di cellulare in quella circostanza, dicendogli: “Va bene, lo faccia con il telefonino, va bene, e poi con blue tooth mettiamo in connessione i nostri cellulari”. Mi ha detto: “Guardi, non so come ringraziarLa, perché io mi vergogno di me” e poi: “...e sa, scrivo poesie di nascosto”. Ed io: “Allora porti anche quelle”. E lui: “Davvero Le posso portare una poesia?”, ed io: “No, se me ne porta più d’una credo sia meglio”. Per chiudere con la domanda, ho pensato per Natale di regalargli il mio libro. E poi penso ad una paziente che non vedo più, vive in un’altra regione, si è trasferita lì quando si è sposata, per molti anni abbiamo fatto un bel tratto di strada insieme, e continua a mandarmi affettuosamente gli auguri a Natale e Pasqua: belle lettere, cariche di umanità, di quello che sta facendo, della sua vita.
Adesso...
Scusami, non ho finito. E... mi è arrivata ieri, me le manda sempre con un certo anticipo, la lettera degli auguri di Natale…, le risponderò mandandole il mio libro. Questo è il mio modo di conciliare poesia e psicoanalisi.
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