Riflessioni in forma di conversazioni
di Doriano Fasoli
Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice
Il mestiere di capire
Conversazione con Emilio Garroni
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it
- dicembre 2005
Lei poi si sofferma a lungo sulla “figura” che tiene a distinguere terminologicamente da “immagine” per evitare di confondere due cose assai diverse tra loro.
Con “immagine” intendo l’immagine percettiva interna, prodotta attualmente o riportata alla mente; con “figura” la sua riduzione ed esteriorizzazione.
Per esempio l’immagine d’arte, figurativa o no?
Sì, ma io non privilegio le immagini d’arte, anche se sono un prodotto esterno di notevole rilevanza. Preferisco riferirmi all’uso delle figure per gli usi più diversi e quantitativamente prevalenti: simbolico, comunicativo, tecnico, progettuale eccetera eccetera. Ebbene, nel caso della figura più tipica, quella prevalentemente visiva, questa deve essere fissata mediante una convenzione in una forma statica, mentre l’immagine di partenza è stata costruita dall’occhio con una molteplicità di sguardi che cambiano continuamente il loro centro d’attenzione, di poco o addirittura attraversando l’intera realtà visiva da una parte all’altra. Questa è dunque dinamica, al contrario della figura, che può ridinamizzarsi solo nell’essere riprodotta a sua volta da uno sguardo in un’immagine interna. Le differenze comportano tuttavia alcune rilevanti somiglianze: nel caso della figura figurativa la sua capacità di restituire molti aspetti dell’immagine visiva in una figura; nel caso della figura musicale, al contrario, questa è diversa radicalmente con l’immagine nel suo complesso, ma essa recupera sul carattere dinamico, per esempio mediante il contrappunto.
Torniamo alla questione delle arti. Lei è stato professore di estetica e quindi non può essere indifferente alla questione. Sbaglio o nel suo libro c’è una nota di pessimismo sulla possibilità di conservare la nozione di “arte” valida fino a qualche decennio fa?
Non si tratta di pessimismo o ottimismo, qualcosa di soggettivo, ma di considerare il destino dell’“arte”, in senso estetico moderno, per quanto possibile oggettivamente, cioè di quell’“arte del genio” o, insomma, prodotta da quel talento non analizzabile completamente. Essa provoca un intenso piacere senza che se ne veda fino in fondo una giustificazione, né nelle norme che pure la guidano in parte, né nei significati che essa veicola. Dunque: il destino dell’arte bella in generale non può neppure sospettarlo nessuno, perché non esiste un’arte bella in generale. Esistono varie forme che si affermano nelle varie culture ed esiste in particolare quella che noi consideriamo arte bella solo perché ha caratterizzato la nostra cultura occidentale negli ultimi tre-quattro secoli. Ebbene è evidente che questo tipo di arte è in recessione da tempo, perché gli stessi artisti ne producono una diversa. È pessimismo, questo, o semplicemente accertamento delle cose?
Doriano Fasoli
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