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Riflessioni sull'Antroposofia. La Scienza dello Spirito

Riflessioni sull'Antroposofia

La Scienza dello Spirito

di Tiziano Bellucci   indice articoli

 

Il metodo di osservazione pura di Goethe (o percepire puro)

Giugno 2013

 

L’approccio di indagine di Goethe non fu mai di scoprire cose nuove, ma di applicare su quelle già conosciute, un nuovo metodo di osservazione; un inedito modo di mettersi in relazione con la natura.

A lato di ciò che viene applicata come indagine tramite conoscenza deduttiva o razionale, egli sentiva l’esigenza di contrapporre un’indagine di osservazione più elevata. La percezione pura. Si tratta di imparare a vedere con gli occhi dello Spirito. L’immersione obiettiva negli oggetti osservati.

Lo scienziato ordinario separa, seziona le parti dell’ente osservato e così gliene sfugge la vita; Goethe invece tentava di afferrare l’elemento che invisibilmente lo vivifica.

Egli concepiva l’universo intero come un essere vivente.

 

Migliaia di volte, migliaia di uomini sono passati davanti ad un dato fenomeno e non vi hanno trovato nulla di particolare; poi sopraggiunge un uomo e osservando lo stesso fenomeno ne trae una legge importante. Da cosa deriva ciò, pur apparendo tale fatto nella stessa immagine a tutti?

Quell’uomo era capace di vedere con gli occhi dello Spirito; intuiva ciò che gli altri non potevano vedere. Tutte le scoperte scientifiche dipendono dal fatto che l’osservatore sa osservare in modo particolare.

Così come i sensi percepiscono oggetti, il pensiero percepisce idee.

Quando il pensiero si impossessa e viene in contatto con un’idea, esso si fonde con la base universale cosmica, che è il tessuto del mondo di cui esso stesso è parte. Il pensiero diventa uno con la realtà obiettiva. Esso è come un occhio: così come il vedere fisico è capace di vedere la luce del sole e ciò che da essa è illuminato, il pensiero è un organo abilitato a percepire la Luce dell’idea primordiale che illumina le singole idee archetipiche.

 

Si tratta dunque di apprendere da Goethe quale fosse il suo modo per interrogare la natura.

Il metodo di Goethe si basa sull’esperienza pura (percepire puro): il non lasciare mai penetrare nell’indagine alcun ingrediente soggettivo.

“Il Divino non appare immediatamente; dobbiamo indovinarlo nelle sue manifestazioni. Si tratta di porre queste manifestazioni in una connessione tale che il “vero” appaia. Nei fatti che incontriamo è già contenuto il “vero”; si tratta soltanto di togliere l’involucro che ce lo nasconde. Nello scostare questo involucro sta il vero nuovo metodo scientifico ”.

 

Come concepiva Goethe il processo della conoscenza? Ossia come si realizza vera conoscenza su una cosa?

Si tratta di immergersi nell’esperienza.

Il dato dell’esperienza contiene assai di più di quanto ci forniscono i sensi; vi è qualcosa di superiore che a tutta prima non appare.

La forma immediata del mondo sensibile che appare ai sensi non è ancora la sua forma essenziale.

Appunto perché la forma sensibile è qualcosa di incompleto, nasce in noi insoddisfazione, che ci porta a ricercare qualcosa per portarla a compimento. Il concetto. Se il dato sensibile contenesse già in sé il suo concetto, in noi non sorgerebbe nessun impulso alla conoscenza, perché nell’attimo della percezione l’avremmo già conosciuto: non avremmo bisogno di andare a cercare un concetto da aggiungervi per completarlo. Avremmo dinanzi a noi qualcosa di completo.

Conoscere ordinariamente significa aggiungere la percezione del pensiero (il concetto) alla metà della realtà sensibile. Percezione+concetto.

 

Ma ciò non è vera conoscenza in senso goethiano.

Per realizzarla, prima di tutto si deve partire dalla realtà nella sua forma immediata, da ciò che è dato ai sensi prima che noi mettiamo in moto il nostro pensare e il nostro giudicare.

Quel che importa è che ci rendiamo coscienti di che cosa ci forniscono i sensi e di che cosa ci fornisce il pensare.

I sensi non ci dicono quale sia la causa, quale sia l’effetto. L’osservazione priva di pensiero non sa distinguere se un seme stia ad un gradino più alto di un granello di polvere. Neppure sa dirci se una statua di Napoleone sia più o meno importante di un palazzo.

Nel percepire, il mondo non dice ancora niente sul suo conto.

Si tratta proprio di attendere che d’un tratto esso inizi per suo spontaneo moto, a rivelarci la sua natura interiore: solo in quel modo si potrà parlare di conoscenza obiettiva, inalterata. Deve parlare l’oggetto stesso.

Se le nostre forze spirituali siano sufficienti (o degne) o no di afferrare l’essenza delle cose, noi dobbiamo saggiarlo a contatto con le cose stesse.

 

Conoscenza diviene quindi conoscenza della missione dell’uomo: venire a sapere che vi fu un Creatore che generò una creazione portandola sino ad un dato grado e che l’uomo è l’essere che deve continuarla, portarla a compimento.

L’uomo non deve quindi abbandonarsi soltanto a ciò che gli trasmettono i sensi. Ma deve dare ad essi la direzione in modo che tali sensi gli mostrino le cose nella giusta luce.

 

L’intelletto (la capacità intellettuale cerebrale) crea la dualità: causa ed effetto, soggetto e oggetto, idea e realtà, Dio e mondo; esso lo fa soltanto per tenere divisa artificialmente la realtà unitaria. La ragione (la capacità pensante dello Spirito umano) deve, senza confondere i contenuti creati artificialmente, senza oscurare misticamente la chiarezza intellettuale, ricercare nella pluralità, l’intima unità.

Si possono dunque definire concetti le configurazioni intellettuali, idee le intuizioni della ragione dello Spirito.

Pur essendovi un unica realtà di un’idea, ogni uomo, avendo differenti tipi di intelletto, genera diversi tipi di concetti.

Goethe afferma che se procediamo sino al punto in cui l’essenza di una cosa sorge in noi come pura idea, scorgiamo in questa qualcosa di completamente conchiuso in sé che da se stesso si regge e si sostiene e non ha bisogno di nessun altra spiegazione da fuori, tanto che ad essa possiamo attenerci. L’idea ha già in sé tutto quanto la costituisce, ha in sé tutto quanto si può chiedere.

Nell’idea non vi è l’immagine, ma il contenuto cercato.

La brama che ci spinge nel nostro pensiero a ricercare un soddisfacimento conoscitivo quando siamo di fronte ad un oggetto sconosciuto, è già quell’essenza che vogliamo aggiungere alla percezione del dato.

Esso lavora già in me, attivato dal percepire: urge verso la sua manifestazione.

Tale desiderio di conoscere è in realtà un mostrarsi di una forza magnetica: Esso è uno con il dato sensibile; per tal motivo mi spinge a ricongiungerlo con esso.

 

Goethe non cerca mai di avvicinarsi allo Spirito in modo immediato; ma sempre attraverso la natura.

Egli si accosta all’osservazione della natura con la convinzione che tutto sia soltanto una manifestazione dello spirito.

Le leggi che il nostro Spirito scopre nella natura sono dunque Dio nella sua essenza, non sono soltanto da lui create.

Goethe esige che l’uomo educhi in sé una facoltà di conoscenza tale che l’idea gli divenga evidente, come ai sensi la percezione esteriore.

L’essenziale non è ciò che l’idea è per noi, ma ciò che è in se stessa.

Bisogna affrontare l’idea nella sua obbiettività; bisogna cercare che cosa sia questa sostanza extrasensibile invisibile che denominiamo “idea”: quel quid che agendo quale artefice di ogni concetto, lo proietta nella nostra coscienza, pur rimanendo nel trascendente.

 

Per la conoscenza Goethiana non è importante in che modo emerga in noi una data percezione, ma che cosa emerga. Si deve analizzare interiormente la qualità della sensazione, osservandola minuziosamente, onde dar modo di scoprire cosa vi sta dietro: risalire alla causa di ciò che genera la sensazione, ma senza specularvi.

 

Tiziano Bellucci

 

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