Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Tra terra e cielo: la antica Harmonia
di Francesco Scoditti - Settembre 2024
In un momento difficile della storia di Roma, negli anni compresi fra il 410 (Sacco di Roma) e il 439 d.C. (Sacco di Cartagine), un avvocato cartaginese di età avanzata, Minneio Felice Marziano Capella, compone una vasta enciclopedia sull’erudizione classica in nove libri, un’opera di chiara ispirazione neoplatonica che rimarrà fondamentale per tutto il corso della cultura medievale, denominata De Nuptiis Philologiae et Mercurii (Sulle nozze di Mercurio e Filologia). Vi si tratta, in forma narrativo-allegorica, la vicenda di Mercurio, dio delle arti e dell’eloquenza, che si rivolge ad Apollo per trovare una degna moglie. La scelta, su suggerimento dello stesso Febo, ricade sulla doctissima virgo, Filologia, la quale riceve in dono per le nozze sette ancelle, in realtà le personificazioni allegoriche delle sette arti: Grammatica, Dialettica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica. La fabula ha evidentemente un carattere dottrinale, in quanto le sette fanciulle, a ciascuna delle quali è destinato un intero libro dell’opera, espongono nel lussureggiante giardino di Apollo il proprio sapere di fronte al consesso degli dèi. Il nono libro, l’ultimo, è dedicato alla Musica (Harmonia) e costituisce uno dei rari trattati musicali provenienti dal mondo culturale latino.
I trattati musicali della tarda antichità si distinguevano essenzialmente in due categorie: gli scritti strettamente tecnici, strutturati sulle tre parti canoniche della teoria musicale antica, Armonia, Ritmica e Metrica, e i semplici manuali di armonica, che evidentemente trattavano solo la prima delle tre parti, l’Harmonia, la scienza dei suoni, delle consonanze e delle melodie. Nel nono libro del De Nuptiis, come già detto dedicato alla Musica, la trattazione assume in sé valori straordinariamente significativi, per cui nell’esposizione di Marziano il dato tecnico della mera dottrina viene ampiamente oltrepassato. Armonia è infatti impersonata da una fanciulla, una virgo che incarna allegoricamente il principio o concetto platonico dell’arte dei suoni, l’armonia musicale, cioè, che nasce dall’Universo e informa delle sue regole la realtà degli uomini.
È questo un principio filosofico fondamentale che interesserà tutta la speculazione musicale medioevale, sia tardo pagana che cristiana: la Musica è intesa come il ponte che collega in armoniosa unità il mondo divino e il mondo umano. Essa è sicuramente dottrina, in quanto fa parte delle scienze umane che nella loro complessità rappresentano una sorta di vigoroso albero che nasce dal pensiero umano e conduce al cielo; tramite le diverse dottrine si attua infatti quel percorso di conoscenza e ascesi che porta alla divinizzazione dell’uomo. Ma la Musica, in particolare, è la suprema espressione delle arti esatte, le quattro scienze che la concezione filosofica tardo-antica e poi medievale racchiudono nel quadrivium: la prima è la Geometria, seguita dall’Aritmetica e dall’Astronomia sino alla più celeste e la più cosmica, l’Armonia musicale, la quale con le sue regole spiega e governa i movimenti dell’intero universo e i rapporti armonici che si vengono a creare fra gli astri. Essa era quindi necessario curriculum formativo di chi aspirava a coltivare una cultura superiore.
Per gli antichi la Musica era inoltre figlia di Venere che è divinità dell’amore: di conseguenza essa porta concordia e pace universale, entrambe simboleggiate dall’armonia tra i suoni; di qui anche il suo carattere allegorico di personificazione dell’ordine etico e sociale. Ciò corrisponde alla visione musicale che i Greci, fin da Pitagora, avevano del cosmo e della società umana, cioè “unità del molteplice, concordia nella discordia”, entrambi sostenuti da elementi unificanti che li mantengono coesi, come del resto accade nella consonanza, dove i suoni si uniscono, si confondono in naturale concento; anzi in musica lo studio delle proporzioni (analoghìai) armoniche permette di comprendere la stretta analogia tra i principi trascendenti del cosmo e i suoni udibili dall’uomo, poiché le consonanze o accordi (symfonìai) sono appunto espressione dell’unità nella disuguaglianza.
Tale idea filosofica della Musica è neoplatonica; in essa si sancisce la relazione analogica fra macrocosmo (universo) e microcosmo (terra). Il ruolo della virgo Harmonia nel trattato di Marziano è quindi straordinario, forse il più importante fra le arti: praecellentissima feminarum, la fanciulla trasmette ai mortali la Musica perché questi la imitino e si schiudano così la via del cielo. In chiave neopitagorica e neoplatonica, la conoscenza teorico-filosofica delle sue norme non può essere trascurata perché esse provengono dalla realtà celeste e divina, dalla patria originaria prima del descensus. Così molto tempo prima Cicerone nel Somnium Scipionis (5, 18) affermava che i musici hanno conosciuto l’Armonia e per questo si sono aperti la strada alla comprensione divina. In sostanza, nella speculazione filosofica neoplatonica del primo Medioevo la riunificazione dei due mondi avviene anche attraverso la Musica, poiché essa non è solo conoscenza dottrinale, ma unica anima di tutte le conoscenze particolari (artes), poiché espressione dell’armonia che domina la realtà universale.
Ma come si attuava questa musica delle sfere celesti, spiegazione e fondamento della musica del nostro mondo? Una precisa descrizione dei moti armonici degli astri è contenuta nel Commento a Marziano Capella del filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena, risalente al IX secolo; a riguardo, le più antiche fonti medievali sulla teoria musicale greco-romana, quelle che attestano l’incontro fra gli studiosi di epoca carolingia e l’antica trattatistica classica, sono proprio costituite dai commenti a Marziano Capella e ad un altro testo fondamentale per la riflessione musicale medievale, De Istituzione Musica di Boezio (VI sec.). È interessante notare che si tratta spesso di annotazioni marginali e interlineari presenti in molti codici del IX secolo, ma risultano di notevole importanza poiché forniscono concrete testimonianze della più antica ricezione medievale della teoria musicale classica.
L’armonia dei moti celesti, quella che l’uomo deve conoscere e ricreare nell’armonia del mondo, si basa su otto suoni, corrispondenti ai sette pianeti più quello connesso alla vicina sfera delle stelle fisse. I suoni dipendono sia dalla distanza delle orbite planetarie dalla terra sia dalla velocità di movimento degli stessi pianeti. Il più grave è quello di Saturno, il più acuto invece quello della sfera. Come negli accordi degli strumenti musicali, anche questi suoni tra loro creano consonanze: in particolare il moto di Saturno e quello del circolo delle sfere fisse nel loro percorso possono armonizzarsi in un accordo di doppia ottava. Il suono del Sole, invece, si trova a metà fra Saturno e la sfera, formando con ciascuno di questi talvolta una consonanza di ottava, talvolta di quinta o di quarta, a seconda delle distanze. Ecco, quindi, la scala celeste: a Saturno (do), che è il primo fra i gravi, si unisce a distanza di un tono Giove (re), poi Marte (mi); infine, tra quest’ultimo e il Sole intercorre l’intervallo di un semitono (fa). In definitiva, secondo la visione astronomica antica, i tre pianeti situati al di sopra del Sole hanno i suoni più gravi, poiché essi si muovono in spazi del cielo più ampi, come del resto negli strumenti musicali della terra a vibrazioni più lente e ampie della corda vibrante corrispondono i suoni del registro basso. Ma i suoni prodotti dagli astri non hanno sempre gli stessi intervalli, perché le orbite planetarie si modificano nel loro percorso, per cui il Sole realizza addirittura una consonanza di ottava (intervallo di otto suoni) con Saturno quando percorre la sua orbita alla massima distanza da questo, di quinta quando i due astri si avvicinano, di quarta quando essi nei tragitti planetari si trovano alla minima distanza. A parte queste consonanze fondamentali corrispondenti a determinate e misurabili distanze, i corpi celesti, possono produrre infinite sinfonie nelle infinite combinazioni sonore che i tragitti celesti determinano, oltre la capacità razionale di tutti i mortali. Al di sotto del Sole, più vicini alla Terra, i pianeti producono suoni acuti, poiché essi si muovono più rapidamente in spazi celesti più brevi, come se risuonassero sulle corde più corte e sottili di un’arpa. Il Sole consuona alla distanza di un tono con Venere (sol), a cui segue Mercurio (la), la Luna (sib) e la sfera delle stelle fisse (do). La Terra è ferma, per cui essa non produce suono. Anche in questo caso le stesse orbite variano i suoni prodotti a seconda della loro forma, così come una corda di lyra se tesa o rilassata muta il suo risultato timbrico.
Le teorie pitagoriche e neoplatonichesulla Musica che informano la docta fabula di Marziano trovano piena affermazione nel più tardo Boezio, già citato precedentemente, certamente l’autore che con le sue Istituzioni di musica esercitò maggiore influsso nell’Alto Medioevo. La sua nota distinzione dei tre genera musicae in mundana, humana e musica instrumentorum venne a rappresentare uno dei concetti base della riflessione cristiana medievale sulle diverse espressioni della musica, che nella loro varietà erano sostanzialmente concepite come imitazioni più o meno perfette di quella divina. Il rapporto terra-cielo si concretizzava nelle partizioni dei generi musicali, a partire dalla “musica cosmica” (mundana), la prima e vera emanazione dell’armonia divina, che esprime l’ordine macrocosmico, espletandosi nelle consonanze degli astri e nel tempo ciclico che governa i loro movimenti; la musica umana (humana), il canto sacro, che rispetta il medesimo ordine ma a livello “microcosmico”, nell’armonia dell’anima, delle diverse parti del corpo e dell’unione anima-corpo. La terza, la musica e le melodie degli strumenti musicali (corde, fiati e percussioni), è al grado inferiore dell’intera gerarchia.
Più tardi, nel pensiero cristiano tutto questo si ripercuote nella definizione di una scala di valori musicali: gli inni sacri sono riflesso delle melodie angeliche, a loro volta ripetizione della Gloria divina. La musica profana e strumentale si ispira poi a sua volta sulle forme della melodia sacra, cioè in definitiva essa è ripetizione della ripetizione; in sostanza, la speculazione cristiana avocava a sé e applicava un concetto platonico in cui tutte le arti mimetiche, fra le quali appunto la Musica, risultava imitazione del reale che a sua volta era imitazione delle idee. In ambito tardo antico e cristiano questo però non sminuisce la sua suprema importanza in quanto essa rappresenta comunque, come abbiamo visto, l’arte che grazie al lume dell’intelletto, studia l’armonia di tutte le realtà esistenti, conoscibile attraverso le proporzioni cosmiche. L’apoteosi della Musica, nel De Nuptiis di Marziano, rappresenta la glorificazione del pensiero e dell’indagine umana ma soprattutto l’unità dei due mondi, l’umano e il divino, in fondo, il ritorno dell’anima al cielo attraverso il concento dei suoni.
Francesco Scoditti
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