Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Negativo e problema della dialettica in Theodor W. Adorno
Di Alberto Simonetti giugno 2011
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3. Heidegger, ontologia e negativo
Nella parte prima dell’opera, intitolata “Il bisogno ontologico”, l’autore pone sotto la lente d’ingrandimento critica il recupero della categoria di Essere teorizzato da Heidegger, scavando all’insegna del “sospetto” le pieghe concettuali di Essere e tempo. Un primo approccio dialettico negativo si ha nel rapporto ente-Essere, dove l’ente odierno è talmente assorbito dal sistema, su entrambi i livelli politico e teoretico, da non riconoscersi più nemmeno come relativo, ma ormai regredito a pura irrilevanza sostanziale cui è speculare una altrettanto pura rilevanza come principio di scambio (si veda Dialettica dell’Illuminismo).
Adorno si chiede come sia possibile, posta questa irrilevanza del polo ente, ostinarsi a rievocare la presenza salda della categoria Essere; si accorge inoltre che Heidegger realizza questa contraddizione, perché non sembra considerare l’esistente, definendo la costante priorità ontologica su ogni ontico, ponendo in tal modo non più l’ente in ascolto apparentemente innocuo dell’Essere, ma svelando dietro questa docilità la perversione che delinea l’asservimento dell’individuo all’Essere. La visione dell’essenza si capovolge in violenza sull’esistenza.
Si potrebbe parlare di critica dei portatori dell’Essere, facendo leva sull’autore stesso: «Chi dice “essere” non ha in bocca anche quello, ma la parola» (1). Adorno imputa a Heidegger quasi un carattere reazionario, per il semplice fatto di voler soverchiare la soggettività nella mistificazione del bisogno ontologico e nella sua sistematica delusione che ne consente la ripetizione e la susseguente stabilizzazione. La deriva ontologica, secondo l’autore, arriva fino a cancellare, reificandola, la struttura di movimento idealistica, degradando ad ipostasi non solo il momento negativo, ma l’intero processo dialettico, usurpando l’ente di ogni tensione umana aperta al diniego, alla protesta.
Si comprende bene come la prassi interpretativa, sopra delineata come fulcro della dialettica negativa, viene così a perdersi, portando con sé anche la facoltà del giudizio e la critica della ragione stessa; più semplicemente, si potrebbe definire ciò come un ostacolare, un sabotare interno alla cultura medesima, impossibilitata, nel magma dell’ “essere-ormai-così-e-non-altri”, alla curiositas tipicamente filosofica.
Nel paragrafo “L’ontologia decreta” Adorno smaschera l’ambiguità, l’inganno della rinascente filosofia dell’Essere heideggeriana, concentrando l’attenzione sull’ansia ricostruttiva dell’ordine e dell’autorità da parte di quest’ultima, cercando di recuperare tali determinazioni messe al bando dal processo dello Spirito idealistico; un rischio siffatto si diffonde nella società nella cui dimensione l’autore ravvisa la sotterraneità vincolante del progettare ontologico, come chiaramente si legge: «I progetti ontologici […] ottundono nervosamente il presentimento di negatività oggettiva con il messaggio di un ordine in sé, per giungere sino a quello più astratto, alla compagine dell’essere. Ovunque il mondo si prepara a trapassare nell’orrore dell’ordine» (2).
Non può certamente sfuggire alla critica adorniana la posizione privilegiata, per non dire totalizzante ed onnicomprensiva, del concetto di “essenza”, quindi il relegare l’esistenza, l’umanismo, a disorientamento ontologico, incitando ad una forma servile di pensiero ed aprendo in tal modo le porte ad una celebrazione elogiativa della gerarchia. La sacralizzazione dell’Essere conduce il piano del finito, del mondo, nella sfera del “non degno”; indegnità rispetto all’evento ontologico, cospetto temibile verso ogni azione potenzialmente disgregante della ragione.
Scomponendo analiticamente il reale, Adorno coglie i piani, ad una visione superficiale scollegati ma in realtà intersecati, di società industrialmente programmata e sviluppo del bisogno ontologico; infatti, se da un lato l’individuo è assiologicamente predeterminato dalla struttura economica fin nelle pieghe del privato, dall’altro la metafisica di Heidegger si pone come imponente occhio autoritario sull’esistente, implacabile nel creare, reificando, quello che potremmo definire un “bisogno indotto” nei confronti dell’umano. La coscienza reificata cade nell’irretimento ontologico poiché il “sempreuguale” della categoria “essere” raffina la sua manipolazione travestendosi da concessione esterna, da trascendenza salvifica delle coscienze reificate dal sistema.
Ma è un errore credere ad una bontà ontologica; infatti, andando al sintomale della struttura, si scorge l’esatta corrispondenza, la precisa specularità tra i piani che potremmo definire economico-politico e ontologico-metafisico.
L’ontologia non è altro che un’economia sistematica ed un’industria culturale innalzata a trascendenza, al fine di garantire al potere mondano la sua riproducibilità. Tornando al primitivismo mitico del “pastore dell’Essere”, Heidegger contribuisce a rafforzare l’acriticità, la repressione, la manipolazione, la tendenza totalitaria, ponendosi come epigono apologetico della secolarizzazione del contenuto teologico. Adorno parla di “neutralizzazione” dell’esistente precisata come evasione, sotto il manto della pietas ontologica, che assorbe l’uomo pio e credente nell’indistinzione e nell’irreversibilità.
Il nucleo che permette alla gabbia ontologica di reificare l’individuo è di natura linguistica; in effetti, ogni soggetto deve necessariamente legarsi, porsi in relazione ad un predicato, ma lo può fare solo attraverso la copula “è”. Essa però è stata oggetto di una colossale mistificazione concettuale, al punto da reificarsi nel suo essere posta in relazione alla totalità, anche nel suo risvolto logocratico. L’elemento che potrebbe disorientare la critica all’Essere è costituito dalla nozione di autenticità; ma Adorno mette in guardia anche da quella asserendo la sua inconsistenza e il suo fungere da mero mezzo di riduzione alla docilità degli individui nei confronti di ogni angolatura del sistema, sia metafisica che economica.
Affrontando l’ultimo affondo demistificante del francofortese nei confronti di Heidegger, andiamo a definire la strategia ontologica di questi, il suo evitare la dialettica soggetto-oggetto, ente-Essere. Quella che a prima vista potrebbe rivelarsi come dipendenza dell’Essere dall’ente si trasforma nella sua risorsa, in quanto è grazie al processo di “ontologizzazione dell’ontico” che il vero costituito dall’ente naufraga verso il non vero. Un atto simile consente all’Essere di impossessarsi dell’ente, svuotandolo della sua consistenza concettuale; si apre così il punto più aspro della critica adorniana a Heidegger, costituito dallo smascheramento illusorio della “differenza ontologica”. Ontologizzando l’ontico, l’Esserci, si approda alla cancellazione della differenza, alla regressione al mito della radura.
Nel paragrafo “L’esserci in lui stesso ontologico” Adorno mostra come l’Essere, sfruttando la chimera della differenza ontologica, dispone a suo piacimento dell’ontico, mutando in tal modo i caratteri della soggettività e conferendogli soltanto un piano di docilità e di disinnesco di potenzialità come aspetto spazio-temporale del ontologico. In conclusione potremmo definire il pericoloso aspetto politico che sottende questa, che è tutt’altro che una disquisizione solo teoretica: «L’ontologizzazione della storia permette di nuovo di attribuire potenza ontologica all’incontrollato potere storico e quindi di giustificare la subordinazione a situazioni storiche come se fosse ordinata dall’essere stesso» (3).
Al vertice del pericolo ontologico si affaccia l’assenso al potere.
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NOTE
1) T.W.Adorno, Dialettica negativa, tr. it. di P.Lauro, Giulio Einaudi Editore s.p.a., Torino 2004, p. 64.
2) Ivi, p. 83.
3) Ivi, p. 119.
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