Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Il concetto di Desiderio in L'Essere e il Nulla di Jean-Paul Sartre
di Carlo Vespa
L'analisi del
desiderio, e in particolare del desiderio
sessuale, trova collocazione nella Terza
parte di L'Essere e Il Nulla, in
cui
Sartre lo presenta come "il secondo
atteggiamento nei confronti dell'altro",
insieme con indifferenza, sadismo e odio.
Il primo passo con cui il filosofo francese
intraprende la sua riflessione consiste nel
chiarire di che cosa si ha desiderio, per poi
definire il desiderio per mezzo del suo
"oggetto trascendente".
"Bisogna rinunciare completamente all'idea che
il desiderio sia desiderio di voluttà o
desiderio di far cessare un dolore". Le teorie
soggettiviste e immanentiste infatti non
riescono a spiegare perché l'uomo desideri la
donna e non semplicemente il proprio
soddisfacimento. Per queste considerazioni
Sartre ritiene adeguato il poter definire il
Desiderio per mezzo del suo oggetto
trascendente, quell'oggetto che va
inevitabilmente in contro alla propria
soppressione proprio perché oggetto di
desiderio. Di che oggetto si sta parlando?
Innanzitutto è opportuno chiarire che tale
oggetto non può essere il Desiderio stesso che
pone sè medesimo come "l'oggetto da
sopprimere". Il filosofo subito esclude tale
eventualità affermando che "di per sé il
desiderio è irriflesso" mentre invece l'autoporsi
come oggetto della propria attività è
un'azione che può essere intrapresa solo da
una coscienza riflessiva. Un esempio di quest'ultima
eventualità si ritrova se si considera il 'vizioso':
"solo il vizioso si rappresenta il suo
desiderio, lo pone come oggetto, lo eccita, lo
tiene in sospeso, ne rimanda la
soddisfazione". In questo caso sì il desiderio
diviene desiderabile e libero di esulare da
qualsiasi altro oggetto al di fuori di sé. Ma
quest'ultimo sarebbe un modo sbagliato di
impostare la questione, perché come Sartre
ripete, il desiderio è desiderio di un oggetto
trascendente, che non è incluso in se stesso:
"Il desiderio in se stesso non implica affatto
l'atto sessuale, non lo pone tematicamente,
non se lo propone neanche". Il filosofo
francese aggiunge anche che "il desiderio non
è desiderio di fare"; affermando che
infatti il fare è un'azione che
interviene in successivamente, come un
qualcosa che si "aggiunge dal di fuori". E con
ciò otteniamo un'altra informazione preziosa:
il desiderio non è oggetto a se stesso, ma non
necessita nemmeno di ingerenze per così dire
esterne. "il desiderio quindi, non potendo
porre la soppressione di sé come fine supremo,
né eleggere a suo scopo un atto particolare, è
puramente e semplicemente desiderio di un
oggetto trascendente". Ecco ricomparire l'intenzionalità
affettiva espressa da
Husserl,
secondo cui gli enti si manifestano a "me che
li intenziono"; dunque l'ente si fa fenomeno
per me
(1).
Ma cos'è questo oggetto?
Sartre si sofferma sul corpo. Si può
desiderare un braccio o un seno, solo e solo
se si intravede il corpo nella sua totalità a
dipingere lo sfondo che sorregge e conferisce
completezza a quel braccio o a quel seno. Tale
corpo può anche essere nascosto, "ma è là: è
ciò a partire dal quale io colgo il braccio
come braccio". In questo caso il desiderare
non si inganna. Può infatti sembrare dirigersi
verso un particolare, esterno e relativo, ma
in vero esso "si dirige non verso una somma di
elementi fisiologici, ma verso una forma
totale", o come subito Sartre traduce, "meglio
ancora, verso una forma in situazione".
E' come se il desiderio ponesse il mondo e da
quello il corpo da desiderare, sapendo bene
che senza il primo non è possibile volgere
l'attenzione sul secondo. Infatti in quest'ultimo
caso il secondo si mostrerebbe di fronte ad
esso come un oggetto materiale privo di
trascendenza e quindi non più desiderabile. La
totalità è l'oggetto proprio del
desiderio, ma a certe condizioni: deve
essere in situazione. Il puro oggetto
materiale non è in situazione e dunque non è
desiderabile.
All'oggetto serve un collegamento, una specie
di condizione di desiderabilità: una forma
in situazione. Cosa significa?
In sostanza ci si riferisce all'orizzonte di
senso effettuato dalla coscienza: "così la
totalità organica che è immediatamente
presente al desiderio, non è desiderabile, se
non in quanto manifesta non solo alla vita, ma
anche alla coscienza adattata". La coscienza
si mostra come l'orizzonte del corpo
desiderato: "ne forma il senso e l'unità". In
questo modo Sartre afferma che è il corpo
vivente come totalità organica in
situazione con la coscienza all'orizzonte,
quell'oggetto al quale si rivolge il
desiderio.
Ma cosa vuole il desiderio da tale oggetto?
L'unica via percorribile e funzionale alla
soluzione di tale enigma è fare un passo
indietro e rispondere ad un una domanda
preliminare dal forte significato
propedeutico: chi desidera?
A questo punto apprendiamo che il desiderio,
studiato dal filosofo francese, non si può mai
dare senza che vi sia un Io. Esso infatti, il
desiderio, è un "modo singolare della mia
soggettività". Ecco che il per-sé, la
coscienza, abbraccia una nuova opzione da
poter liberamente scegliere: il desiderare.
Desiderando, la coscienza non può restare
indifferente e inalterata; anzi essa reagisce
attivamente al desiderio, portando se stessa
su un piano di esistenza del tutto
particolare: in buona sostanza questo
"scegliersi come desiderio", da parte del
per-sé suscita in quest'ultimo una reazione
diversa di quella di un per-sé che si sceglie
come essere metafisico, per fare un esempio.
Queste ultime considerazioni, la scoperta
della coscienza nel desiderio e la sua
reazione particolare a tale sentimento,
spingono Sartre a dipingere infine il
desiderio come "turbamento". Tale definizione
risulterà molto utile a meglio determinare la
sua natura.
Si pensi a due tipi di desiderio, quello
sessuale e la fame. In entrambi il filosofo
francese ci dice che bisogna presupporre un
certo stato del corpo, nel caso della fame
l'impoverimento del corpo, che si manifesta
alla Coscienza, come "pura fattività". Da essa
l'lo, il per-sé, tende a fuggire verso nuove e
diverse possibilità che garantiscano una fame
soddisfatta.
In tal senso si può affermare che il corpo
nella sua fattività, nel suo essere in sé,
viene superato dal desiderio, dalla fame:
"così la fame è puro superamento della
fattività corporea e, in quanto il per-sé
prende coscienza di questa fattività in forma
non tetica, prende coscienza immediatamente di
una fattività superata. Il corpo, qui, è sì il
passato, il superato".
Comprendiamo ora con maggiore chiarezza cosa
intendeva Sartre nel descrivere l'oggetto
trascendente del desiderio quando predicava il
suo essere in situazione; a seguito di
un certo stato del corpo da cui fuggire verso
eventuali soddisfazioni, il corpo può essere
innalzato dalla sua fatticità solo se il
per-sé, l'Io, prende coscienza del superamento
dell'in sé a cui il corpo è inevitabilmente
legato. Questo è in ultima analisi un dare
situazione al corpo, all'oggetto in sé,
rendendolo infine trascendente.
Il desiderio sessuale ha una struttura comune
alla fame, poiché è uno stato del corpo.
Tuttavia c'è dell'altro; nel desiderio
sessuale infatti si compie una specie di
compromesso: io sono complice del mio
desiderio, o per meglio dire "il desiderio è
caduto complice del mio corpo". E' come se
invece di fuggire dalla propria fatticità ,
come nel caso della fame, la coscienza si
lasci altresì invadere da essa, scivolando in
un "consenso passivo al desiderio". Le
immagini che qui Sartre pone all'attenzione
sono fantasiose, metaforiche, e numerose: "E'
come una lievitazione collosa del fatto". Il
desiderio sessuale non è allontanabile coma la
fame, pensando ad un'altra cosa; piuttosto la
coscienza che desidera non teticamente, è lei
stessa coinvolta nelle corporeità al punto che
l'oggetto del desiderio non è sostituibile o
accantonabile; "la coscienza stordita e
affievolita, scivola in un languore simile al
sonno. Tutti del resto, avranno potuto
osservare il sorgere del desiderio in un
altro: improvvisamente l'uomo che desidera, è
preso da una tranquillità pesante che
spaventa".
Lo coscienza qui sceglie non più di fuggire la
fatticità, superandola, bensì cerca di
"esistere la sua fatticità su un altro piano".
Il desiderio ha come oggetto un altro corpo, e
al tempo stesso è rivelazione del proprio
corpo: "io sento la mia pelle ed i miei
muscoli ed il mio respiro, e li sento, non per
trascenderli verso qualcosa come nell'emozione
e nell'appetito, ma come un dato vivente
inerte [.] come una passione per la quale mi
trovo impegnato nel mondo, ed in pericolo nel
mondo". Il per sé, che non è il contingente,
non riesce a vivere quest'ultimo se non nella
modalità di un turbamento, che illumina il
corpo proprio e quello altrui; e tale fenomeno
produce nel per sé una sorta di vertigine: "il
per-sè subisce la vertigine del suo corpo, o,
se si preferisce, la vertigine è proprio il
suo modo di esistere il suo corpo". Secondo
questo punto di vista, continua Sartre, il
desiderio sessuale, invece di far fuggire il
per sé dal corpo verso possibili più propri,
trasforma il corpo stesso nel possibile più
immediato per il per sé che, in ultima
analisi, vive non teticamente il progetto di
affondare nel corpo. Appare allora
comprensibile come l'ultimo stadio del
desiderio, conclude il filosofo francese,
"potrebbe essere lo svenimento". Con altre
parole si può ribadire il concetto: nel
desiderio c'è il tentativo di incarnazione
della coscienza (ciò che fu chiamato
coscienza turbata), per realizzare
l'incarnazione dell'altro.
Ma perché la coscienza si sceglie come
desiderio, o meglio perché si annulla sotto
forma di desiderio? Con questo passaggio
Sartre sposta l'attenzione sul mondo e sulla
metamorfosi che esso subisce a seguito
dell'atto di desiderare.
E' stato detto in precedenza che nel desiderio
il per-sé vive e sente l'oggetto trascendendo
se stesso in un piano del tutto particolare in
cui la coscienza è invischiata con la sua
fatticità. Il passaggio cruciale sta nel
cogliere che in concomitanza con questa
attività del per-sé, anche il mondo assume un
nuovo significato, poiché è soggetto ad essere
trasceso, a divenire: se il desiderio è un
turbamento che produce strutturali
modificazioni della coscienza e delle sue
relazioni col mondo, allora al contempo "si
traduce un'alterazione radicale del mondo". Di
fronte alla coscienza che desidera si apre una
realtà inedita, un "mondo del desiderio".
La coscienza affonda in un corpo, che a sua
volta affonda nel mondo; questo rimandare al
mondo, proprio del per sé che desidera, viene
dunque alla luce ed è definito da Sartre come
l'ideale nascosto dietro il desiderio:
realizzare un essere nel mondo. Tale
mondo, lungi dall'essere reale, è piuttosto
una condizione sine qua non, mediante
cui è possibile al per-sé rivelarsi come carne
per un'altra carne. A ciò si riferisce il
filosofo quando afferma che "il desiderio non
è prima di tutto né soprattutto una relazione
col mondo. Il mondo appare qui solo come
sfondo per delle relazioni esplicite con
l'altro. Di solito, è proprio in occasione
della presenza dell'altro, che il mondo si
manifesta come mondo del desiderio".
Così il desiderio è infine risultato un
relazionarsi all'altro da parte della
coscienza, o come meglio afferma il filosofo
esistenzialista, "il desiderio è un modo
primitivo delle relazioni con altri, che
costituisce l'altro come carne desiderabile
sullo sfondo di un mondo del desiderio".
Carlo Vespa
(1) In questo saggio di ontologia fenomenologica,
Sartre descrive l'essere nel suo darsi come
essere-in-sé quando si tratta dell'essere del
fenomeno (compatto, immutabile, opaco, residuo
irriducibile dell'intenzionalità della
coscienza) e come essere-per-sé quando si
tratta dell'essere della coscienza
(trascendente, libero, progettante e
temporale).
Husserl ha spiegato come la coscienza sia
sempre coscienza di qualcosa: in tal senso
essa è posizionale, poiché si trascende per
raggiungere un oggetto, e in questa sua
attività di posizione essa si esaurisce. Va
poi osservato che, tuttavia, la condizione
necessaria per cui una coscienza si dia
all'atto di conoscere un oggetto ,
intenzionandolo, è in primis
che quest'ultima sia coscienza di sé;
in questo caso la coscienza passa dal porre
qualcosa (coscienza tetica o posizionale) al
porre se stessa (coscienza non tetica o non
posizionale). Come sintetizza Giuseppe
Tortora: "Mentre l'essere del tavolo è
riconosciuto da me che ne percepisco il
fenomeno, la mia coscienza non esiste per me
come distinta e posta da me: la mia coscienza
sono io stesso. Mentre l'essere del tavolo è
riconosciuto da me, l'essere della mia
conoscenza c'è senza riconoscimento, senza un
atto conoscitivo".
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