Home Page Riflessioni.it
Testi per riflettere

Testi per Riflettere

Indice

 

Arte e Salute

Da "La cura della salute"

di Rossella Semplici

Paoline Editoriale Libri, 2008

Pagina 2/4

.: pagina precedente .: pagina successiva

Esperienze musicali prenatali, neonatali e infantili

Da diverse ricerche è emerso che il feto risponde a stimoli sonori e rumori dal sesto mese di gravidanza e che l’influenza dell’esperienza musicale prenatale continua anche dopo la nascita. Il termine “esperienza musicale” va inteso in senso ampio, comprendendo i fruscii, gli scricchiolii, i mormorii delle viscere del corpo materno, i ritmi, in particolare quello cardiaco e infine la voce che il neonato riconosce subito alla nascita tra i molteplici stimoli uditivi. È proprio la voce materna l’elemento di continuità con l’esperienza musicale precedente, è una sorta di ponte che unisce ciò che non c’è e non ci sarà più, il “paradiso perduto del mondo intrauterino” e la terrenità della vita extrauterina. In questo senso possiamo dire che la musica contiene tracce e magie del paradiso.
A titolo esemplificativo riportiamo alcuni studi, ricerche e testimonianze. Hepper ha fatto ascoltare a neonati di 2, 3 e 4 giorni la sigla di una serie televisiva che le madri avevano seguito durante la gravidanza e che il feto aveva sentito centinaia di volte. È stato rilevato che durante l’ascolto il battito cardiaco dei bambini diminuiva; non si verificava invece alcuna modificazione quando venivano proposti brani musicali sconosciuti oppure la sigla veniva fatta ascoltare a bambini le cui madri non avevano seguito la trasmissione o l’avevano vista prima della trentesima settimana di gestazione (16).
Il neonato riconosce anche la voce paterna se ha potuto ascoltarla con regolarità e frequenza nella vita prenatale. Da osservazioni controllate è emerso che se il padre pronuncia negli ultimi due mesi di gravidanza ogni giorno e alla stessa ora una sequenza di tre parole ad esempio ieri-oggi-domani, il neonato dimostra di riconoscerla tranquillizzandosi se è agitato; l’effetto calmante non si verifica nel caso le parole vengano pronunciate in un ordine diverso: oggi-domani-ieri (17).
Il direttore d’orchestra americano Boris Brott in un’intervista televisiva ha rivelato che gli era accaduto più volte di avere la sensazione di conoscere la partitura del violino di opere che vedeva per la prima volta. Parlando con la madre, che era violinista, aveva scoperto che quei brani musicali erano stati studiati e suonati da lei quando era incinta.
De Casper e Spence hanno scoperto che la suzione al seno materno dura più a lungo quando la madre racconta al neonato una storia letta durante l’ultimo trimestre di gravidanza rispetto a quando racconta una storia nuova (18). Questo dimostra che il processo di memorizzazione inizia già nella vita intrauterina.
Anche il canto materno svolge un’influenza significativa e ampia interessando l’ambito relazionale, emotivo, attentivo e cognitivo. Il canto di ninnananne, filastrocche, canzoncine riesce spesso a calmare il piccolo, a ridurne il pianto, a farlo addormentare; favorisce le relazioni emozionali reciproche e avvicina psicologicamente chi canta e chi ascolta, quindi contribuisce alla formazione della relazione di attaccamento tra madre e bambino; aumenta l’attività motoria, il tempo di attenzione e il livello di attivazione del bambino (arousal). Inoltre da alcuni studi recenti compiuti da Schön sembra che il canto favorisca l’apprendimento della lingua (19).
Street ha condotto uno studio per verificare quanto cantassero le madri ai propri bambini di età inferiore ad un anno e quale fosse lo stato d’animo. È risultato che tutte le 100 madri che partecipavano allo studio cantavano, anche nel caso non possedessero doti canore, come ha dichiarato circa il 50%. Alla domanda relativa al perché cantassero al proprio bambino, le risposte più frequenti sono state: per calmarlo, divertirlo, farlo ridere e sorridere, per stimolare borbottii e fargli produrre a sua volta dei suoni. Alcune madri hanno sottolineato la convinzione che il canto avesse il potere di rassicurare il loro bambino, altre hanno accennato al senso di rilassamento e quiete che provavano mentre cantavano, perché ricordavano che erano felici quando la madre cantava per loro. Questo aspetto è particolarmente importante per il benessere reciproco madre-bimbo (20).
Lo sviluppo del talento musicale è argomento spesso trattato da mass-media e obiettivo perseguito da molti genitori e da alcune popolazioni, che hanno addirittura elaborato strategie per favorire la “crescita di un musicista”. Ad esempio, i gitani ancora oggi si attengono ad un’antica pratica: chiedono al migliore musicista di suonare durante le ultime sei settimane di gravidanza e per altre sei dopo la nascita del piccolo, nella convinzione che questa immersione nella musica solleciterà nel bambino il desiderio di suonare lo strumento che ha ascoltato continuamente per 12 settimane e potrà diventare un bravo esecutore.
In realtà la questione è più complessa; alcuni bambini hanno una spiccata attitudine musicale che crescendo si disperde; altri bambini manifestano un’attitudine media che, coltivata con passione e perseveranza, permette loro di diventare validi musicisti. Quindi, precoci capacità musicali possono portare ad alti livelli di esecuzione se sostenute e affinate da migliaia di ore di studio. Il violinista Yehudi Menuhin nella sua autobiografia sottolinea che all’inizio aveva trovato difficile suonare il violino, ma era la cosa più bella del mondo e quindi passava molto tempo a “giocare” con lo strumento. Il piacere e la gioia che Menuhin provava quando suonava probabilmente erano simili a quelli che gli altri bambini provavano giocando a palla piuttosto che con le costruzioni. È l’esperienza positiva che stimola i fattori emozionali e motivazionali che sono alla base della volontà di continuare a suonare.
L’esperienza musicale in età infantile, possibilmente depurata dalle aspettative degli adulti e dall’assillo della prestazione, dovrebbe spaziare dall’ascolto attivo al canto e all’apprendimento della tecnica strumentale. Molteplici studi hanno evidenziato che la musica contribuisce allo sviluppo integrale del bambino, in quanto:
- amplia la capacità introspettiva, favorendo una più profonda conoscenza di sé;
- affina le modalità di comunicazione con gli altri e prepara alla vita sociale; lo studio condotto in coppia e in gruppo ed immerso in un clima di collaborazione attua e sviluppa le potenzialità di relazione sociale e affina la capacità di “essere con l’Altro”;
- sviluppa importanti abilità che possono essere utili anche in altri contesti quali ad esempio: l’attenzione, la concentrazione, la memorizzazione, la perseveranza, la motivazione;
- stimola il confronto con le creazioni di un’altra persona;
- favorisce il libero sviluppo della personalità.
Se i bambini potessero incontrare la musica con accanto una persona che la ama, potrebbero sceglierla come compagna fedele della propria vita; è successo a grandi musicisti e a molte persone comuni, come testimoniato dai racconti delle persone intervistate (IV parte). La musica non tradisce, non mortifica, non delude; discreta e sempre pronta offre l’infinito oceano delle bellezze e delle meraviglie sonore, si prende cura di noi, affina, eleva la nostra umanità e ci aiuta ad essere sempre più aperti di mente e pronti di cuore.

 

Musica e sviluppo dell’intelligenza

I primi studi sugli effetti dell’ascolto della musica sulle prestazioni cognitive risalgono all’inizio degli anni Novanta. In particolare Rauscher, Shaw e Ky hanno scoperto che in test relativi alle abilità visuo-spaziali i migliori risultati erano stati ottenuti dai partecipanti che avevano ascoltato una sonata di Mozart prima del test, rispetto a coloro che avevano atteso in silenzio o ascoltando istruzioni per rilassarsi (21). Questi risultati nonostante riguardassero un numero ristretto di soggetti e l’effetto positivo durasse solamente 10-15 minuti, hanno dato origine alla teoria dell’ “effetto Mozart”, in base alla quale l’ascolto della sua musica rende più intelligenti. Su questa convinzione, in America, gli Stati della Georgia e del Tennessee hanno elaborato progetti musicali per neonati che comprendevano il dono di CD con musiche appunto di Mozart. Analogamente in Italia sono stati proposti percorsi musicali e terapie.
Per verificare ulteriormente la fondatezza dell’ “effetto Mozart” altri studiosi hanno messo a punto nuovi esperimenti. Nantais e Schellenberg hanno formato 4 gruppi e prima del test uno ascoltava Mozart, un altro Schubert, un altro un racconto e l’ultimo attendeva in silenzio. Dall’analisi dei risultati non emerge alcuna differenza nelle prestazioni fra i gruppi che hanno ascoltato musica e racconto (22). Quindi non è solamente la musica di Mozart che influenza le prestazioni cognitive. A seguito di altri studi si è giunti a dimostrare che musica può aumentare la prestazione in una serie di compiti cognitivi perché agisce sullo stato di attivazione (arousal) e sull’umore.
Questa influenza positiva è stata vissuta da Claudio, un intellettuale di 70 anni che per affrontare un periodo particolarmente difficile ha intrapreso un percorso di counseling psicologico. Amava molto ascoltare la musica e ha ripreso questa attività verso la fine del percorso. Qualche ora prima di parlare ad un Convegno ha scritto: “Ad uno sguardo esterno, questo mio soffermarmi con la musica, può sembrare contrastante con la necessità di concentrarmi per l’impegno che mi attende tra poche ore. Non è così, andrò con più carica alla conferenza e il cuore pieno di gioia; l’essermi soffermato con la musica potenzierà la mia mente… ne sono sicuro”.
Ne era convinto Darwin: “Se dovessi ricominciare a vivere la mia vita, adotterei come regola quella di leggere della poesia e di ascoltare della musica almeno una volta alla settimana, poiché forse le parti del mio cervello ora atrofizzate sarebbero mantenute attive dall’uso” (23).

 

pagina 2/4
.: pagina precedente .: pagina successiva

 

NOTE
16) Hepper P., An Examination of Fetal Learning before and after Birth, in <<The Irish Journal of Psychology>>, n. 12, 1991, pp. 95-107.

17) Fornari F., Psicoanalisi della musica, Longanesi & C., Milano 1984, p. 13.

18) De Casper A. J., Spence M. J., Prenatal Maternal Speech Influences Newborns’ Perception of Speech Sounds, in <<Infant Behavior and Development>>, n. 9, 1986, pp. 133-150.

19) Schön D., Akiva-Kabiri L., Vecchi T., Psicologia della musica, Carocci Editore, Roma 2007, p. 27.

20) Street A., Young J., Tafuri J., Ilari B., Mothers’ attitudes to singing to their infants, in Kopiez R., Lehmann A.C., Wolther I., Wolf C. (a cura di ), Proceeding of the 5th Triennial ESCOM Conference, Hanover University of Music and Drama, Hannover 2003, pp. 628-631.

21) Rauscher F.H., Shaw G.L., Ky K.N., Music and Spatial Task Performance, in <<Nature>> n. 365, 1993, p. 611.

22) Nantais K.M., Schellenberg E.G., The Mozart Effect: An Artifact of Preference, in <<Psychological Science>>, n. 10, 1999, pp. 370-372.

23) Darwin C., in Parole per chi ama la musica, EdiCart, Legnano 1993.


I contenuti pubblicati su www.riflessioni.it sono soggetti a "Riproduzione Riservata", per maggiori informazioni NOTE LEGALI

Riflessioni.it - ideato, realizzato e gestito da Ivo Nardi - copyright©2000-2024

Privacy e Cookies - Informazioni sito e Contatti - Feed - Rss
RIFLESSIONI.IT - Dove il Web Riflette! - Per Comprendere quell'Universo che avvolge ogni Essere che contiene un Universo