Testi per Riflettere
Da Gesù al cristianesimo
Di Mauro Pesce - Novembre 2011
Da: Da Gesù al cristianesimo, Morcelliana, 2011
Dalla Presentazione
1. Ho spesso sostenuto nelle mie ricerche storiche che Gesù era un ebreo che non aveva intenzione di fondare una nuova religione. Se le cose stanno davvero così, bisogna allora chiedersi necessariamente come sia stato possibile che sia nato il cristianesimo, una religione che si presenta separata dal giudaismo.
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4. Come suggerisce il titolo, questo libro è diviso in due parti. La prima è dedicata alla figura storica di Gesù e ha al suo centro alcune questioni metodologiche dibattute. Anzitutto, se lo stile di vita di Gesù è il punto di partenza necessario, è però impossibile comprendere Gesù ignorando ciò che ha realmente detto. È per questo che un capitolo è dedicato all’esame critico della trasmissione delle parole di Gesù. In secondo luogo, ho ritenuto necessario dedicare due capitoli all’ebraicità di Gesù e alla sua differenza rispetto al cristianesimo primitivo (in particolare per quanto riguarda la remissione dei peccati e la funzione dei sacrifici del tempio di Gerusalemme). Infine, mi è sembrato imprescindibile affrontare il delicato problema del rapporto tra ricerca storica e presupposti di fede. L’ho fatto però da un punto di vista più storico che teorico. Alla metà del secolo scorso, questo problema è stato impostato in un modo molto specifico da Ernst Käsemann. La sua proposta ha avuto una ripercussione importante su alcune correnti progressive dell’esegesi cattolica e Jacques Dupont, di cui sono stato allievo, ne fece oggetto di una particolare attenzione. Oggi mi sembra che la proposta di Käsemann, anche se ha favorito per un certo tempo una maggiore libertà di ricerca nell’esegesi cattolica, abbia rappresentato una svolta che, alla lunga, ha influito in modo negativo su una serena ricerca storica perché in qualche modo condizionata da una problematica prevalentemente teologica e in fondo apologetica.
La seconda parte del libro tratta di alcuni aspetti del dibattito su come sia nato il cristianesimo. In questi anni, Adriana Destro e io abbiamo insistito su alcuni concetti e su alcune tesi esegetiche e storiografiche. Anzitutto, non si può comprendere il movimento di Gesù e la nascita del cristianesmo se non si ha una visione dinamica della storia e un apparato concettuale in grado di comprendere le logiche sociali che determinano e guidano il mutamento. L’idea centrale che abbiamo sostenuto fin dal nostro primo articolo esegetico-antropologico di argomento protocristiano (Parentela, discepolato e movimento nel Vangelo di Giovanni) è che Gesù pone in atto una forma sociale, quella del discepolato, che entra in relazione dialettica con le forme sociali di base della società del tempo, a partire dalla parentela. La dialettica tra oikos e movimento crea un dinamica portatrice di sviluppo. L’articolo, di qualche anno dopo, su Padri e capi dei nuclei domestici nel movimento di Gesù analizzava questa dialettica cercando di capire gli sviluppi provocati dal contrasto tra l’associazione volontaria del discepolato e la forma sociale non volontaria della parentela. Dopo gli studi di G. Theissen degli anni Settanta e di quelli successivi di W.A. Meeks sulle comunità paoline e dopo un trentennio di attività dei membri americani e europei del Context Group, è diventato ovvio utilizzare i concetti di «movimento», di «associazione volontaria», di oikos o household. Il fatto è che non si tratta di usare questi concetti per classificazioni astratte e statiche. Bisogna individuare i fattori dinamici del mutamento e le logiche dell’evoluzione nella dialettica creata dalle forme sociali. Gesù vuole cambiare la società e si serve di leve dotate di estremo dinamismo. Alla base di quasi tutti i saggi pubblicati in questo libro sta dunque una serie di strumenti concettuali di analisi e un costante interrogativo sulle logiche del mutamento e del divenire storico. Per quanto riguarda gli strumenti concettuali, rivendico l’utilità delle analisi che Adriana Destro ed io abbiamo condotto, ad esempio, sull’oikos-household (vorrei attirare l’attenzione sul fatto che non bisogna confondere «casa» con oikos), sul discepolato come associazione volontaria, sul rapporto tra movimento e patronato, sui processi dinamici dei conflitti (rielaborando la teoria dei conflitti da Simmel alla scuola di Manchester e oltre), sull’interstizialità su cui abbiamo insistito da alcuni anni (uno strumento di analisi che sembra abbia attirato l’interesse di altri), sulla critica al concetto di religione e la sua sostituzione euristica con quello di “sistema religioso”.
La pluralità dei cristianesimi delle origini, il distacco delle comunità dei seguaci di Gesù da quelle dei Giudei, la discontinuità tra i cristianesimi del III-VI secolo con quelli delle origini, sono i tre temi principali della seconda parte.
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Dall’introduzione
Uno storico deve avere fede se studia Gesù?
Alcuni teologi cattolici e protestanti sono disposti a riconoscere la diversità tra le fedi di oggi e le origini cristiane, ma non rinunciano al principio secondo il quale i vangeli sono prodotti della fede e vanno letti tenendo conto della fede nella quale sono stati scritti. Da questa prima affermazione alcuni deducono una seconda affermazione: una ricerca storica che non parte dalla fede sarebbe incapace di comprendere il senso profondo di questi documenti di fede. Ora, che i documenti protocristiani siano prodotti dalle fedi di chi la scritti è fatto noto e accettato comunemente. È un truismo. Tuttavia, i documenti cristiani prodotti nei primi centocinquanta anni sono molte decine e fra di loro dimostrano una straordinaria varietà di fedi, spesso inconciliabili fra loro. Compito dello storico è proprio di indagare quale fosse la visione che ciascun autore degli scritti protocristiana aveva in Gesù. Quale fosse la sua particolare fede. Diversa è la visione di fede del Vangelo di Marco, da quella di Giovanni o Tommaso o del Vangelo di Pietro, ecc. E’ ovvio, però, per lo storico, che non si può, per esempio, leggere il Vangelo di Marco alla luce della visione di quello di Tommaso o viceversa. E per comprendere la fisionomia storica di Gesù, lo storico quale fede dovrebbe scegliere? Quella del Vangelo di Tommaso o quella del Vangelo di Giovanni? Quella della Didaché o dell’Ascensione di Isaia? Quella di Giustino o quella del Vangelo degli Ebrei? Quella del Vangelo degli Egiziani oppure quella di Paolo? Come oggi sono molte le fedi, così erano molte le fedi immediatamente dopo la morte di Gesù. Non mi sembra che la fede nella risurrezione di Gesù provocasse contenuti di fede comuni, nel I secolo. Perché il pensiero di Paolo, che crede alla risurrezione di Gesù, è diverso da quello del Vangelo di Matteo o di Giacomo o del Vangelo di Tommaso o da quello di Giovanni, vangelo che anch’esso dichiara fede nella risurrezione di Gesù. E, d’altra parte, gli storici non possono far proprie le distinzioni anacronistiche fra ortodossia ed eresia, improponibili per il I secolo e per buona parte del II.
Vorrei chiarire meglio la questione enunciando tre tesi: 1. Per poter comprendere uno scritto protocristiano, lo storico deve evitare di assumere una delle fedi delle chiese di oggi perché le fedi delle chiese di oggi sono diverse dalle fedi degli autori degli scritti protocristiani. 2. Lo storico deve comprendere ciascuna diversa visione di fede con cui ciascun diverso autore di uno scritto protocristiano, ad esempio un vangelo, scrive. Come storico non ritengo affatto che la fede dell’autore del Vangelo di Marco lo abbia indotto a trasformare così radicalmente i fatti da rendere il suo vangelo inutilizzabile come documento storico. Credo che sia possibile discernere le eventuali deformazioni dei fatti che la visione di fede dell’autore ha introdotto, potendo così utilizzare il suo testo come fonte storica. James Dunn ha certamente ragione nel ripetere che Gesù voleva suscitare fede in sé stesso e quindi i testi che scrivono alla luce della fede in lui sono in qualche modo in continuità con Gesù. Ma resta il fatto che Gesù suscitò visioni diverse di “fede” e reazioni diverse di “rifiuto”. La molteplicità delle reazioni di fede e di rifiuto sono una foresta nella quale lo storico deve ritrovare le tracce più sicure degli avvenimenti. 3. Nei testi non c’è solo la fede dello scrivente, ma anche una molteplicità di dati letterari, culturali, storici, sociali, che con la fede non hanno nulla a che fare, ma che sono essenziali per comprendere il testo stesso. Direi che la gran parte di un testo contiene elementi che non riguardano le questioni che sembrano importanti a chi pensa alle questioni dogmatiche.
Dalla conclusione:
Invece del regno di Dio venne la morte di Gesù
I vangeli di Marco, Luca e Matteo ci narrano la difficoltà di Gesù nell’accettare il destino della sua morte e il conflitto tra la propria volontà e i propri desideri e la volontà di Dio: «sia fatta la tua e non la mia volontà» (Mc 14,36; Mt 26,39; Lc 22,42) presuppone un conflitto tra i sogni di Gesù e la decisione di Dio. Il dramma della vicenda di Gesù sta nel fatto che egli fu ucciso e il regno di Dio su tutti i popoli con la loro conversione non si verificò durante la sua vita. La morte interrompe la serie degli eventi che avrebbero dovuto portare al regno di Dio. Gesù esce di scena senza avere visto l’avvento del regno predicato e sognato. Invece del regno di Dio venne la morte di Gesù.
I suoi discepoli si trovarono di fronte al fatto che Gesù non c’era più e che il regno di Dio non c’era ancora. Questo costituiva un problema enorme, ma non determinò la fine del movimento di Gesù. La sua morte, infatti, non fu vissuta da molti dei suoi discepoli come la fine della vicenda di Gesù o come una semplice sconfitta. Essi si diedero da fare con grande impegno a diffondere il suo messaggio o almeno un messaggio che aveva la sua vicenda al suo centro.
Tutto sta nel combinarsi di questi due fattori: una certezza che li spingeva a continuare il movimento di Gesù nell’attesa del regno di Dio e il non avere indicazioni di Gesù su di esso.
Gesù infatti non aveva dato alcuna indicazione su almeno tre problemi:
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come comportarsi nei confronti del problema della conversione dei non-Giudei.
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come comportarsi di fronte al fatto che il regno di Dio non si verificava.
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come organizzare le comunità di seguaci.
Questa mancanza di indicazioni è uno dei motivi, non il solo, della pluralità di risposte e della pluralità di tendenze che si verificarono da subito fra i seguaci di Gesù dopo la sua morte. Il movimento dopo la sua morte si manifestò fin dall’inizio in una pluralità di forme. Affrontare problemi nuovi spingeva quindi i discepoli dopo la morte di Gesù a prendere decisioni che prima non si erano presentate necessarie. Essi potevano certo interrogare l’esperienza di Gesù, ma così facendo dovevano dare interpretazioni spesso divergenti di quello che egli aveva detto e fatto.
Mauro Pesce
Da: Da Gesù al cristianesimo, Brescia, Morcelliana, ottobre 2011.
Come compiere una ricerca storica su Gesù? A tale domanda cruciale Mauro Pesce cerca di rispondere in queste pagine nel confronto critico con gli studi di J. Dupont, E. Käsemann, D.C. Allison e con la più avveduta ricerca contemporanea. Di qui i due binari su cui si articola il volume: da una parte ricostruire la fisionomia storica di Gesù, dall’altra individuare quali forme religiose scaturiscono dopo di lui fra i diversi gruppi dei suoi seguaci. A fare problema, e ad essere qui messo a fuoco in quanto oggetto di interesse storico, è il nesso tra la figura di Gesù e la nascita del cristianesimo come religione distinta dal giudaismo.
Prioritaria è una osservazione di metodo su come impostare la questione Gesù/cristianesimo: assumere questo nesso nella sua continuità – come per lo più fa l’esegesi cristiana – è una posizione apologetica, orientata a giustificare una fede. Ma lo sguardo distaccato dello storico deve esaminare tutti gli elementi disponibili per ricostruire l’individuo Gesù e il suo ruolo prima di formulare un’ipotesi. Qui nello specifico si affronta la trasmissione delle sue parole (ciò che realmente ha detto) e la sua ebraicità, vale a dire la sua differenza rispetto al cristianesimo primitivo. Si evidenzia anche la necessità di una ricerca antropologica su Gesù: analizzare la sua pratica di vita, di un leader immerso fra la gente. Quando poi ci si chiede come è nato il cristianesimo, è necessario tener conto della pluralità dei cristianesimi: di quale cristianesimo si parla? Si giunge quindi al delicato problema del rapporto fra ricerca storica e presupposti della fede: come conciliare l’autonomia dello storico e la tradizione della Chiesa?
Questioni quanto mai attuali perché investono dall’interno il mestiere dello storico e l’identità della storia del cristianesimo. Se l’indagine su Gesù consta ormai di più modelli di ricerca – la storiografia la divide in Old, New e Third Quest –, né può ritenersi compiuta né può ritenersi archiviata. Ogni tassello ha la funzione di far progredire il dibattito scientifico su quella storia, e ha in sé bisogno tanto del passato – dell’esegesi dal XVI secolo ad oggi – quanto di nuove piste future.
Mauro Pesce è professore ordinario di Storia del Cristianesimo all'Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, dove è il presidente del corso di laurea specialistica in Antropologia culturale ed Etnologia. Nel 1979 fonda l'Associazione italiana per lo studio del Giudaismo e nel 1988 il Centro interdipartimentale di studi sull'Ebraismo e sul Cristianesimo (CISEC) dell'Università di Bologna.
Biblista e storico del cristianesimo, Mauro Pesce ha prodotto pubblicazioni nel campo dell'esegesi neotestamentaria, della storia dell'esegesi biblica moderna, e dei rapporti tra scienza e teologia nel XVII secolo. Negli ultimi anni è divenuto noto al grande pubblico per due suoi libri su Gesù: Le parole dimenticate di Gesù (2004) e il libro-intervista con Corrado Augias Inchiesta su Gesù (2006). Ha pubblicato poi ulteriori ricerche sul Gesù storico, in particolare il libro L'uomo Gesù. Luoghi, giorni, incontri di una vita scritto a quattro mani con Adriana Destro (sua moglie) e una serie di saggi reperibili sul suo sito web. www.mauropesce.net
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