Testi per Riflettere
La Montagna Infinita
Di Americo Marconi - Febbraio 2012
Brani tratti da La Montagna Infinita, di Americo Marconi, Pazzini Editore, 2011.
PREFAZIONE
Bivacco notturno al monastero montano.
Allungo la mano.
Afferro le costellazioni.
Non oso parlare ad alta voce.
Temo di svegliare chi sta sopra il cielo.
LI BAI (701-762)
[Incisione su una trave di un romito monastero montano nello Hubei]
«Va nel deserto» o «Parte per la montagna»: così nel Medioevo occidentale tradizionalmente si diceva di chi si avviava a vita contemplativa.
Deserto e montagna sono connessi: il primo prepara il secondo: il distacco dà avvio all’ascesa dell’energia, come una falda freatica in pressione a cui si schiuda il passaggio.
La montagna è il pilastro che sostiene il cielo, il luogo del matrimonio con la terra; sulla sua sommità piomba il fulmine.
Il Graal, alla cui eroica cerca si mettono in moto i cavalieri di re Artù, si trova in cima al monte di Monsalvat, in una delle versioni del ciclo arturiano. Tale localizzazione non è fortuita: la conicità di calice e montagna è speculare, come il riflesso sulle acque di un lago immoto.
Ras e śir, in arabo e hindī, rendono sia “sommità” che “testa”; ciò dà conto del fatto che il Graal è in relazione a quel centro energetico che si schiude, come un calice volto al cielo, sulla sommità del capo; in India è rappresentato dal fiore di loto.
Auguro al lettore di farsi come un cavaliere arturiano, per una felice rampicata lungo le righe che conducono alla sommità della Montagna Infinita del nobile lavoro di Americo Marconi; per innalzarsi dal regno della materia alla cima dello spirito. Da quell’altezza godrà di una vista sublime. Al di sopra delle nuvole, l’aria è immobile, tersa. Ci dà un senso d’inconsueta tenerezza ed euforia. Al punto da poter allungare la mano e afferrare le costellazioni che trapungono il cielo. L’uomo si fa stella. Così ci ricorda anche il catasterismodelle metamorfosi dell’epica eroica classica.
Questo libro ci lascia intuire che esiste una parte dell’io corporeo che può diventare immateriale, non soggetta a mutamento, a fondersi con il grande e divino congresso degli astri che sfavillano sul nostro capo, in cima alla Montagna sacra. Che il corpo mortale può diventare un corpo astrale. A patto che di tutte le montagne, non ci si attardi troppo a scalare la propria.
Quella interiore.
Gianluca Magi
PRELIMINARI
Il mito, il simbolo, il sacro
Questo lavoro trattando della montagna nei miti, nelle filosofie e nelle religioni, inizia con dei cenni intorno ai concetti di mito, simbolo, sacro.
La montagna mal è contenuta in una definizione univoca: è mitica e sacra; ogni rilievo, colle o montagna, in un tempo primordiale è stato guardato con timore e meraviglia ed ha suscitato un sentimento di sacralità che rimane immutato. Se collocata agli inizi di una creazione del mondo la montagna è cosmica ed è traversata dall’axis mundi, centro e sostegno dell’intero universo, non solo esteriore ma anche interiore.
I templi, gli altari, le città, edificati sulla montagna cosmica, mitica, sacra, o in sua sostituzione, ne riproporranno il simbolo fondamentale di riunire il cielo alla terra e la costante aspirazione dell’uomo all’ascensione sia fisica che spirituale. La pietra, suo elemento costitutivo, ne indica la solidità, la permanenza, la forza; divenendo a sua volta memorabile e sacra.
Si può affermare che la montagna, l’archetipo della montagna, costituisce una fonte infinita di raffigurazioni simboliche prodotte in tutte le culture e in tutti i tempi.
Detto in altri termini se il simbolo è polisemico, il simbolo della montagna rende tale polisemia infinita.
Punto di partenza è il termine simbolo che deriva dal greco da che significa mettere insieme; riunire ciò che è diviso. Riferendosi alle due parti di un oggetto (moneta o medaglia) divise in precedenza che riunite permettevano di riconoscere chi si aveva davanti come amico e ospite.
PRIMA PARTE
Il monte Meru
Il monte Meru nel pensiero hindūista, buddhista e jainista, è un monte mitico e sacro, vero e proprio axis mundi, che sorregge sia il microcosmo che il macrocosmo.
Hindūismo
Nel Mahābhārata, il grande poema epico della letteratura indiana scritto tra V sec. a.C. e il II sec. d.C., ove si narra della lotta tra due famiglie Bhārata imparentate tra loro, i malvagi Kaurava con i virtuosi Pāndava, viene descritta la montagna Mandara poi assimilata al Meru.
Una bella, alta montagna, le cui cime erano ornate da nuvole cariche di pioggia e i versanti ricoperti da folte erbe. Un gran numero di uccelli vi dimora no felici, luogo amèno spesso visitato dagli Esseri Celesti.
Nell’Inno della creazione dei Rg Veda è narrato come, dopo un diluvio, molte cose preziose furono perdute nell’oceano. Gli stessi dèi vollero usare la montagna Mandara a mo’ di grande bastone per frullare l’oceano di latte poggiandola sul carapace della tartaruga Kūrma, secondo dei dieci avatāra (discese) di Visnu, che si era tuffata nel fondo dell’oceano . A quel punto gli dèi e i demoni si impegnarono a tirare per la testa e per la coda il serpente Vāsuki, avvinghiato intorno alla montagna che fungeva da asse, riuscendo, dopo vari tentativi e cataclismi, a far riapparire i tesori perduti. Comparve così l’Amrta, la bevanda dell’immortalità; il medico degli dèi Dhanvantari con la ciotola contenente l’Amrta che scriverà l’Āyurveda; la dea della bellezza e della fortuna Laksmī che sarà sposa di Visnu; la vacca dell’abbondanza Surabhī, sorgente di latte e siero; il celebre gioiello Kaustubha. Purtroppo si rimestò anche un veleno che sarebbe stato fatale per l’umanità se Śiva, per pietà, non l’avesse bevuto.
Nella mitologia purānica, poemi che narrano di divinità pervase di amore (bhakti) redatti tra il VI e il X sec. d.C., il Meru o Mahāmeru (grande Meru) si trova molto a nord dell’India, al centro del mondo. Risplendente d’oro , la montagna si erge a un’altezza inimmaginabile, 84.000 yojana (una yojana è circa 15 km, la distanza che un esercito poteva percorrere in un giorno) , la base ne misura 16000 di larghezza e di lunghezza, e, assomigliando ad una coppa, la sommità è più larga e misura 32.000 yojana. I quattro lati, iniziando dal lato orientale, sono di colore bianco, giallo, nero e rosso. Sopra di esso, secondo le otto direzioni del cielo, stanno le corti di Indra e i loro Lokapāla (Guardiani del mondo): Indra è posto ad est, Agni a sud-est, Yama a sud, Sūrya a sud-ovest, Varuna ad ovest, Vāyu a nord-ovest, Kubera a nord e Soma a nord-est; ciascuno di loro possiede un elefante che lo aiuta nella protezione della sua direzione; al centro c’è la corte di Brahmā.
Attorno al Meru si aprono i sette Dvīpa, o Isole-Continenti, disposti a cerchio separati da sette mari: uno di acqua salata, uno di succo di canna, uno di vino, uno di burro chiarificato, uno di latte, uno di siero di latte, uno di acqua dolce, a loro volta delimitati da sette catene montuose.
La vetta del Meru è posta direttamente al di sotto del punto fisso della stella polare, attorno al quale ruotano le sette stelle dell’Orsa Maggiore oltre che il sole e la luna. Visnu appoggia il suo piede destro sul cerchio descritto dalle stelle e dall’alluce sgorga e precipita sulla terra il fiume Gangā; scendendo dalla cima del Meru si dirama in quattro fiumi che dividono l’isola continente in quattro parti. Questi fiumi alla fine di un ciclo cosmico aumentano la portata a tal punto da sommergere l’isola-continente lasciando solo la cima del Meru fuori dalle acque. Da essa ricomincerà il seguente ciclo cosmico.
La struttura del cosmo buddhista
Il monte Meru è identificato in una montagna geografica che appare come un castello roccioso con due cime principali la Nord di 6400 metri e la Sud di 6660 metri, collegate da una lunga cresta. Si trova in territorio indiano a ovest del ghiacciaio del Gangotri, a nord-ovest del Sumeru Parbat e a sud-ovest del monte Kailāsa che si trova in Tibet. In tibetano sono chiamati rispettivamente Ri-rab, il Meru, e Gangs Ti-se, il Kailash.
L’Abhidharmakośa (il Tesoro dell’Abhidharma) scritta da Vasubandhu intorno al V sec. d.C., è un’importante dissertazione sull’Abhidarma della scuola filosofica Vaibhāsika dei Sarvāstivādin. Scuola dell’Hīnayāna che poneva alla base della sua riflessione la coesistenza temporale del passato, presente e futuro, oltre a sostenere l’esistenza di tutti i fenomeni (dharma) tanto da potersi definire panrealista. L’Abhidharmakośa è divisa in nove capitoli, il terzo capitolo è dedicato al mondo (loka).In esso l’universo è diviso in tre sfere di esistenza (tridhātu).
Il livello inferiore è chiamato Kāmadhātu, mondo del desiderio, in cui vi è la superficie terrestre, piatta e circolare, con al centro il monte Meru o Sumeru , mitica montagna assiale di forma piramidale a base quadrata: il versante est è formato da cristallo purissimo, quello sud da lapislazzuli blu, quello ovest da rubino, quello nord da smeraldo. La cima penetra nel cielo e intorno ad essa ruotano il sole e la luna.
La terra è circondata de sette catene montuose d’oro, partendo dal Sumeru l’una alta la metà dell’altra, separate da sette laghi di acqua pura. L’oceano esterno di acqua salata bagna le quattro isole o continenti (dvīpa) affiancati da otto subcontinenti.
A est è collocato il continente Pūrvavideha, affiancato da due isole più piccole, il suo colore è bianco a forma di mezzaluna. I suoi abitanti sono molto alti e vivono a lungo, pacifici e vegetariani, caratterizzati dal volto a mezzaluna. L’attributo principale è la montagna Vidhea fatta di gioielli.
A sud si trova Jambūdvīpa, sempre affiancato da due continenti più piccoli, è di colore blu e di forma trapezoidale. È il nostro mondo in cui nascono i Buddha e il Dharma. Il suo attributo è il piccolo bosco di alberi jambū che esaudiscono tutti i desideri.
A ovest c’è il continente Aparagodaniya, sempre con due continenti più piccoli, di colore rosso rubino e forma circolare. Gli abitanti sono quattro volte più alti di noi, col viso rotondo, conducono una vita pastorale. L’attributo è la mandria di giovenche, ognuna delle quali esaudisce ogni desiderio.
A nord è presente Uttarakuru, che significa dalla voce sgradevole, con i suoi due continenti più piccoli. Di colore verde e forma quadrata, abitato da giganti dal volto quadrato che vivono mille anni nella più completa abbondanza senza dover desiderare nulla. Una settimana prima di morire però odono una terribile voce che preannuncia la morte, in quei setti giorni la loro sofferenza sarà ben più grande di quella dell’intera vita di un uomo.
Oltre i continenti il grande oceano si estende fino alle montagne di ferro che circondano l’universo. Tutto l’insieme dell’universo poggia su una base d’oro.
Al di sotto della superficie terrestre, posti sotto al Meru, si trovano gli inferni: otto livelli di inferni caldi circondati da quattro livelli di inferni periferici e otto inferni freddi con altrettanti inferni periferici. Sono abitati dai preta, fantasmi tormentati da fame, sete, stanchezza, allucinazioni spaventose e governati da Yama, la morte.
In ascesa le prime tre balze del Meru sono abitate dai nāga, divinità acquatiche custodi di tesori, e da varie categorie di semidei; la quarta balza è abitata dai quattro re custodi delle direzioni (caturmahārāja) chiamati pure quattro guardiani dell’universo (lokapāla).
Sulla cima del Meru vi è un paradiso terreste chiamato Trāyastrimśa (trentatré), dimora di trentatré divinità con il palazzo di Indra.
Al di sopra della cima i primi quattro cieli che sono le ultime quattro dimore degli dèi del desiderio (kāmaloka). Tutti i cieli, man mano che si sale di livello, sono sempre più vasti e sono da intendersi come palazzi divini (vimāna).
Il secondo livello è chiamato Rūpadhātu, da rūpa che significa forma, o mondo delle forme, e comprende 17 cieli suddivisi in cinque gruppi, ove dimorano gli dèi della sfera della forma pura (rūphaloka).
Il terzo livello è chiamato Arūpadhātu, del mondo senza forma, ed è posto ancora più in alto con i quattro cieli più elevati ove vivono gli dèi senza forma (arūphaloka) l’ultimo dei quali rappresenta l’esistenza suprema, regno dove non c’è percezione né appercezione. Questa è la pura dimora dove è possibile conseguire l’Illuminazione, è qui che i Buddha raggiungono il risveglio ed emanano i corpi formali attraverso i quali si manifestano agli esseri umani.
La possibilità di rinascita nei vari regni dipende dagli stati mentali nei quali si è vissuti: se un essere umano è vissuto nel desiderio e nell’ignoranza, rinascerà in regni inferiori o addirittura animali ed infernali; se ha praticato la meditazione, a secondo del livello di profondità meditativa o grado (Dhyāna), potrà rinascere in forma più pura a livelli sempre più alti.
Jainismo e monti sacri
Il cammino di progresso spirituale è descritto nel Tattvartha Sūtra come articolato in 14 tappe, lungo le quali si cercherà di progredire.
La prima tappa vede l’anima in uno stato di sonno ingannevole e spesso, prima di iniziare la salita, si chiede l’aiuto di un Tīrthamkara. Nel cammino di ascesa della propria vita bisognerà almeno aver raggiunto la sesta tappa.
Nella quattordicesima tappa, l’ultima, l’anima è paragonata ad una montagna di roccia che non può essere turbata in nessun modo, dopo essersi liberata dal suo karman e dalle contaminazione della materia (ajīva). Alla morte l’anima raggiungerà la liberazione. Tale anima liberata, detta Siddha, è efficacemente rappresentata da una figura cava.
La concezione cosmologica descrive un universo a forma di corpo umano (Lokapurusa). L’universo è il loka ed è suddivisibile in tre livelli (triloka) fuori dell’universo c’è l’aloka (il vuoto).
Il livello centrale (Madhvaloka) è il mondo terrestre abitato dagli uomini, centralmente è disposto il continente Jambūdvīpa (il continente dell’Eugenia). Al cui centro è collocato il monte Meru, vero axis mundi, del microcosmo e del macrocosmo.
Intorno a Jambūdvīpa ci sono sette regni concentrici divisi da sei catene montuose, di cui i quattro più esterni sono regni solo dei piaceri e delle passioni; in cui non si può progredire spiritualmente.
Il livello più basso (Adholoka) è occupato dai livelli infernali che sono otto, in cui le pene aumentano con l’aumentare della profondità. L’inferno non è da considerarsi un castigo eterno: quando l’individuo ha scontato la sua pena potrà rinascere di nuovo.
Il livello più alto (Ūrdhvaloka) o mondo celeste, abitato dalla gerarchia degli dèi; quelli dei livelli più bassi ancora possiedono palazzi, ricchezze, eserciti; quelli più in alto sono al di sopra dei desideri e dei possessi.
Sopra a tutti i livelli c’è la sede delle anime liberate (Siddhaloka) che non hanno più contatto né con la divinità né con il mondo.
Montagne sacre cinesi
L’espressione siyue (Quattro Montagne Sacre) era usata, fin dal Periodo degli Stati Combattenti (480-222 a.C.), sia per designare le cime situate ai limiti dell’impero ed elette a luoghi sacri, dove l’imperatore era solito riunire i suoi dignitari per compiere sacrifici al cielo; sia per nominare le divinità locali che vi dimoravano; sia come titolo onorifico dei feudatari che dimoravano nelle quattro direzioni cardinali in territori semi indipendenti.
Le montagne sacre, designate come i punti cardinali, sono:
Il Taishan, nello Shandong, detta Dongyue o Montagna Sacra dell’Est
lo Hengshan, nello Hunan, detta Nanyue o Montagna Sacra del Sud
lo Huashan, nello Shaa nxi, detta Xiyue o Montagna Sacra dell’Ovest
lo Hengshan, nello Shanxi, detta Beiyue o Montagna Sacra del Nord
Durante la dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) alle quattro si aggiunse:
il Songshan nello Henan detta Zhongyue o Montagna Sacra del Centro
A rappresentare il centro, in omaggio alle dottrine dei Cinque Agenti o delle Cinque Fasi
I cinque agenti sono regolati da cicli dinamici di generazione o nascita reciproca:
1. Il Legnofa da combustibile e genera 2. il Fuocoche divenendo cenere genera 3. la Terrache contiene in sé 4. il Metalloche sotto forma di coperchio metallico raccoglie la rugiada generando 5. l’Acqua che a sua volta è di nutrimento al 1. Legno degli alberi.
E da un ciclo di dominazione: 1. Il Legno divenuto aratro domina la Terra, 2. il Metallo tagliandolo domina il Legno, 3. il Fuoco riuscendo a fonderlo domina il Metallo, 4. l’Acqua spegnendolo domina il Fuoco, 5. la Terra potendo arginarla domina l’Acqua.
Il (il soffio vitale) e i principi dello yin e dello yang sono articolati nei flussi dei cinque agenti che si esprimono nella natura: stagioni, pianeti, specie viventi (macrocosmo) e negli organi umani, emozioni, gusti (microcosmo).
Elementi esposti nel Huangdi Neijing (Il Canone di medicina interna dell’Imperatore Giallo) composto intorno dal 350 a.C. al 280 a.C.
Le montagne divennero per questo wuyue (Cinque Montagne Sacre), nei primi tempi a ciascuna delle montagne venne attribuita la stessa importanza, di volta in volta l’influenza di una di esse diveniva preminente in relazione all’alternanza delle stagioni e delle fasi cicliche.
Il Taishan, la Montagna Sacra dell’Est, nello Shandong, è la montagna che riceve per prima i raggi del sole, nel sistema delle corrispondenze simboliche, basato sui cinque agenti, si richiama al legno, al colore azzurro-verde, alla stagione della primavera.
Lo Hengshan o Montagna Sacra del Meridione, nello Hunan, corrisponde al fuoco, al colore rosso e alla stagione dell’estate si trova a sud del fiume Yang-tze nella pianura fertile dello Hunan. Ha una altezza di 1290 metri e si eleva sopra risaie di acqua e bambù.
Lo Huashan, la Montagna Sacra dell’Ovest, nello Shaa nxi, rimanda al metallo, al colore bianco, alla stagione dell’autunno. Alta 1997 metri è anche detta la Montagna Fiore, per le sue guglie e i suoi pini che sembrano i petali di un fiore. Situata a circa novanta chilometri dalla antica capitale Xi’an, è la più bella delle cinque e da sempre la più amata da poeti e pittori. Rifugio prediletto di sacerdoti ed eremiti taosti.
Lo Hengshan, la Montagna Sacra Settentrionale, nello Shanxi, corrisponde simbolicamente all’acqua, al colore nero, alla stagione dell’inverno. Si innalza fino a 2017 metri tra le pianure cinesi e le praterie della Mongolia. È formata da una grande massa di rocce e creste frastagliate. Dinanzi ad essa il famoso “Tempio sospeso nell’aria”, situato su uno strapiombo, risale al 400 a.C. e contiene cappelle taoiste e buddhiste.
Il Songshan o Montagna Sacra del Centro, nello Henan, rappresenta la terra, il colore giallo e la parte centrale dell’anno. Alta 1494 metri, si trova vicino alle città dove regnavano gli antichi imperatori della Cina . Il suo nome significa “l’Altissima”, n el corso dei secoli sono sorti un gran numero di monasteri buddhisti.
Con il trascorrere del tempo il Taishan, la Montagna Sacra dell’Est, divenne la più venerata. Situato a metà strada tra Pechino e Shangai, nello Shandong, è la montagna che è illuminata per prima dal sole; la sua ubicazione ha di certo contribuito alla straordinaria fama. La sua cima è alta 1545 metri ed è raggiungibile percorrendo una grande scalinata di 7000 scalini intagliati nella roccia (foto 19).
Alcuni templi dedicati a divinità taoiste fiancheggiano la scalinata che conduce alla vetta, dove c’è un tempio dedicato a Yuhuang, Imperatore di Giada, una importante divinità del pantheon taoista. Egli risiede nel Cielo della Grande Rete, il Supremo di tutti i Cieli, da dove governa l’intero universo. L’Imperatore di Giada, nella sua duplice funzione di sovrano delle divinità popolari e di capo dei Quattro Ministri Celesti, svolge ancora oggi il ruolo di mediatore tra il taoismo e la religione popolare.
Il dio del monte Taishan è Taiyuedadi, Grande Imperatore della Sacra Montagna dell’Est, dignità conferitagli dall’Imperatore di Giada, egli stabilisce la nascita e la morte degli uomini e distribuisce ad ognuno la prole e la meritata ricchezza. È aiutato dalla figlia Shengmu, Madre Santa, la Principessa delle nuvole azzurre, patrona delle donne e dei bambini che divenne la più popolare divinità femminile taoista della tarda Cina imperiale.
In cinese chao shan (andare in pellegrinaggio) significa andare ad avere udienza su una montagna.
Milioni di cinesi hanno salito e salgono la tortuosa scalinata del Taishan per chiedere figli, prosperità e lunga vita. Certamente il Taishan è la montagna sacra al mondo che è stata salita dal maggior numero di pellegrini.
Americo Marconi
Brani tratti da La Montagna Infinita, di Americo Marconi, Pazzini Editore, 2011.
Americo Marconi, laureato in Medicina e Chirurgia, appassionato alpinista, è stato medico del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico negli anni '90. Svolge attività di medico omeopata. Si è diplomato alla Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini nel 2009.
Indice
- Prefazione di Gianluca Magi
- Introduzione
- PRELIMINARI: Il mito, il simbolo, il sacro
- PRIMA PARTE: Il monte Meru - Il monte Kailash - Il tempio, riproduzione della montagna cosmica - Jainismo e monti sacri - Montagne insulari - Montagne sacre cinesi - Il Buddha della Medicina - Montagne e divinità del Giappone
- SECONDA PARTE: Le culture mesopotamiche e le ziqqurat - La Persia, le sue divinità, i suoi monti - Gli dèi e i monti ellenici - La Commagene e il Nemrud Dağı - Mithra e la montagna - I monti nell'Antico Testamento - I monti nel Nuovo Testamento - I monti nell’Islam
- TERZA PARTE: Sufismo e cammini di ascesa mistici - Nel silenzio della vetta
- TESTI: Il Sūtra del Cuore - La Teologia Mistica di Dionigi l’Areopagita - La salita insolita di Marie-Madeleine Davy
- Bibliografia
Indice Testi per Riflettere
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