Riflessioni Teosofiche
di Patrizia Moschin Calvi - indice articoli
Spiritualità, Compassione e Tolleranza
Di Adriana Simeoni
Ottobre 2012
Lo Spirito ci unisce
È facilmente constatabile rilevare che ciascun essere umano possiede un grado diverso di saper “Compatire”, dal latino “cum–patior”, che vuol dire: patire, soffrire insieme, e di saper “Tollerare”, sempre dal latino, “fero fers tuli latum ferre”, che vuol dire: sopportare, sostenere, alleviare. Questo diverso grado di capacità di compatire e di tollerare, stando a quanto dicono i mistici esoterici di ogni paese e di ogni tempo, dipende esclusivamente da una maggiore o minore partecipazione, da parte dell’essere umano, alla vita impersonale e universale, quella che viene attribuita al piano spirituale o del Sé che è in noi e che unisce tutto e tutti. Infatti, sempre secondo i mistici esoterici, chi vive una vita all’insegna della spiritualità, sicuramente sa riconoscere il valore universale dell’essere umano e sa riconoscere l’essenza immortale, i valori assoluti, oggettivi che racchiude in sé, tanto da provare un profondo rispetto e amore per l’altro, come anche per se stesso. Possiamo dire quindi che, chi riesce veramente a volere il bene degli altri, senza aspettarsi alcunché in cambio, in quel momento, partecipa della vita impersonale, della “Vita Una” e possiamo dire che sa gioire o soffrire con essa e che sa godere della sua grandezza e bellezza.
Se vogliamo quindi potenziare la nostra capacità di compatire e di tollerare e se vogliamo essere veramente partecipi della grandezza del piano spirituale ed arrivare a godere della bellezza e dell’amore che si realizzano nel saper compatire e tollerare è importante, dice Roberto Assagioli, cominciare col riconoscere quali sono le qualità superiori dello Spirito Universale che albergano in noi e avere sempre a mente queste qualità, perché il nostro pensiero possa essere governato da esse. Al livello spirituale, dice R. Assagioli, si localizza l’interesse oggettivo ed artistico della persona, il pensiero creativo, la religiosità, la sensibilità etica o coscienza, la comprensione dei valori universali e la realizzazione della libertà della nostra Essenza. E afferma: “Questo livello è un serbatoio di qualità superiori a disposizione di chiunque intenda evocarle e svilupparle”.
Queste qualità superiori, come sappiamo, sono il cibo della nostra anima, ma perché si possano trasformare in qualcosa di concreto dobbiamo prima di tutto riconoscerle in noi e poi evocarle e svilupparle. Non è difficile comunque riconoscere queste qualità in noi perché tutti abbiamo vissuto momenti di grazia, momenti magici: quando l’ispirazione a fare qualcosa di nuovo, di bello e di edificante è stata così sentita da spingerci a creare e a realizzare tale aspirazione; quando abbiamo sentito la capacità di poter amare tutto e tutti incondizionatamente; quando il nostro cuore ha gioito nel vedere che i nostri simili stavano bene, perché siamo riusciti a metterci “nei loro panni” e a comprenderli; quando ha gioito perché abbiamo detto parole giuste al momento giusto e quando siamo riusciti ad alleviare un dolore ai nostri simili.
Possiamo dire che la gioia inaspettata che di solito si prova nel riuscire ad alleviare un dolore altrui, deriva dall’unione che, in quel momento magico, si riesce a stabilire con la volontà del proprio Sé, che è anche il Sé dell’altro, così da vibrare all’unisono con l’universo. La gioia o il dolore di una sola persona, quando sono condivisi da altre, è come se si moltiplicassero e si diffondessero all’infinito, così che la “Vita Una” giovandone, si arricchisce e ristabilisce l’equilibrio del quale anche noi godiamo. È noto infatti che le preghiere dette con un unico e sincero intento da un gran numero di persone concordemente, aumentano la loro energia, fino a provocare addirittura miracoli.
Compassione e tolleranza tuttavia, a qualunque livello vengano esercitate, sono quasi sempre da considerarsi positive: la persona che riceve tali attenzioni, ne beneficerà comunque, se ne deve beneficiare, e chi ha agito per motivi personali di orgoglio o di autoaffermazione da questa sua azione compassionevole, non avrà quel tornaconto che si aspettava, ma ne trarrà un altro: proprio in virtù di questo non sentirsi ricambiato, se continua a donare, riuscirà, con il tempo, a capire che è bello ugualmente dare senza aspettarsi niente in cambio e che la vera gioia si prova solo quando si dona incondizionatamente, perché è la Vita Una che ne gioisce e noi con lei. Questa persona poi, capirà anche che, nel momento del bisogno, sarà proprio questa vita che ci unisce, riconosciuta da molti come “Divina Provvidenza”, a venirgli in aiuto, anche per vie completamente impensabili.
È bello sentire “che non son più solo - recita San Francesco - ma che son parte di un’immensa vita che generosa risplende intorno a me”. Vivere sul piano spirituale significa quindi non sentirsi mai soli, significa potersi rendere conto realmente e vivere realmente della bellezza e della gioia universale che ci accomuna tutti e della cui esistenza tutti traiamo giovamento.
Cominciamo quindi a sviluppare in noi, sempre di più, il nostro grado di compassione e di tolleranza, tenendo sempre presente i valori assoluti, che sono racchiusi in qualunque essere umano come in uno scrigno e che aspettano di essere liberati. Questi valori sono nell’assassino, nel vile, nel debole e anche nei malati di mente. Aiutare queste persone significa aiutare lo spirito universale che è in loro, significa liberare la scintilla divina. Non vi può essere cosa più grata a Dio stesso. E la gioia che si prova dopo una buona azione, quando non vogliamo niente in cambio, può derivare da Dio stesso. “Quello che fate ad un povero lo fate a me”.
Se seguiamo la divisione dei piani relativi ai principi costitutivi dell’uomo, insegnata nella filosofia mistica esoterica Indù, come anche in quella occidentale, ermetica e cabalistica, notiamo che il piano spirituale si differenzia e si distacca in maniera incisiva dagli altri piani del mondo della manifestazione, cioè da quello fisico, psichico o astrale e mentale o Manas Inferiore. Infatti, possiamo facilmente percepire che, quando cercheremo di vivere in maniera autentica e stabile secondo il piano spirituale, ovvero del Sé, nel quale si usa comprendere il piano del Manas Superiore o anima umana, quello Buddico e quello dell’Atma, avverrà in noi un vero e proprio ribaltamento del nostro approccio alla vita quotidiana. Scopriremo di fatto o cominceremo a capire che il nostro piano fisico, astrale, intellettuale e la nostra vita tutta, non è nostra, come la intende l’io personale, ma che ci è stata donata per essere o divenire coscientemente un veicolo del nostro spirito e cominceremo a rispettare, ad amare e ad agire secondo le esigenze del nostro spirito e quindi del nostro Sé impersonale; allora non avremo più gli stessi punti di riferimento di sempre o gli stessi parametri e cominceremo a distaccarci veramente dal mondo della manifestazione, o della dualità e attraverseremo quella famosa “notte buia dell’anima”, di cui parlano i mistici, nella quale avverrà di fatto il nostro capovolgimento. Ma, a questo punto, possiamo intuire anche che saremo illuminati dalla luce dello spirito e che la Creazione tutta apparirà ai nostri occhi e come una grande, viva, meravigliosa e generosa “Opera d’Arte”, che ci indurrà, volutamente e spontaneamente, a collaborare alla Sua continua e armoniosa realizzazione. Capiremo come la vita di ogni singola persona ha un suo irripetibile posto nel grande disegno o puzzle dell’universo; capiremo che se la vita che ci è stata data non sarà vissuta in maniera autentica, al suo posto ci sarà un vuoto che rovinerà il disegno più bello e più irradiante di gioia e di amore mai immaginato e di cui noi facciamo parte. E sarà proprio per questo vuoto, per questo pezzo mancante, che rovina ogni sublime bellezza, a spingere colui che arriva alla divinità a tornare indietro e a soffrire per aiutare gli altri che non sanno trovare il loro posto o che sbagliano perché cercano di occupare quello di un altro.
Una persona che sa stare al suo posto si riconosce subito: essa non prevarica e riesce a non farsi prevaricare, senza alterarsi; riesce ad esprimere e ad ottenere quello che ritiene giusto per sé, senza ledere i diritti degli altri; è coerente fra pensiero, emozione ed azione e questo la immunizza anche da malattie psicosomatiche; diviene sempre attore del momento che vive, mai semplice spettatore che subisce. E riesce comunque a ricominciare daccapo quando sbaglia e a ritrovare sempre la sua strada, senza perdersi d’animo.
Quando sentiamo insorgere in noi conflitti o insoddisfazioni, dice R. Assagioli, cerchiamo subito di capire il perché e, se non ci piace quello che stiamo facendo, non lasciamoci scoraggiare dalle situazioni contingenti, portiamo avanti comunque il lavoro intrapreso e aspettiamo, in maniera vigile, di trovare il momento giusto per mettere in atto quello che sentiamo dentro. Non abbandoniamo mai il nostro obiettivo.
Se il nostro obiettivo è quello di raggiungere un modo di vivere la vita secondo le nostre esigenze spirituali, cominciamo fin da ora a indirizzare i nostri pensieri, emozioni ed azioni, a tempo pieno, per realizzare tale obiettivo, qualunque attività stiamo esercitando, facciamola con intento di collaborare ad un bene comune, fintantoché la nostra parte egoica, istintuale, astrale e mentale inferiore si possa mettere spontaneamente e coscientemente al servizio della nostra parte spirituale e imperitura e finché l’Io personale, allargando la propria coscienza non riconosca finalmente la sua parte immortale. Alcuni esercizi consigliati da Assagioli per facilitare un contatto con il Sé possono essere: Pensare al Sé, per trenta secondi, almeno due volte al giorno; cercare di vedere il Sé anche nelle persone che sono in autobus; salire una scala pensando di avvicinarsi al Sé; mettersi in sintonia con il Sé esercitando la telepatia verticale e così via.
Tutti sappiamo che solo la parte spirituale di noi sopravviverà, quella che avremo saputo risvegliare, tuttavia ci è difficile distaccarci dalle esigenze del piano della manifestazione e siamo portati a dare sempre più alimento alla separatività e alla dualità, spesso senza rendercene conto e senza pensare che queste esigenze si rafforzeranno a discapito di quelle del piano spirituale e che ci allontaneranno sempre più dall’Unità. Una frase di Giovanni l’Evangelista recita: “Gli uomini preferiscono le tenebre alla Luce”. Ma noi che lavoriamo per scoprire le leggi inesplicate della natura ed i poteri latenti dell’uomo, non ci faremo ingannare tanto facilmente dal mondo delle apparenze. Impareremo con grande pazienza e amore verso noi stessi, a liberarci “dall’eresia della dualità”, come ha detto magistralmente il nostro Segretario Generale, Antonio Girardi, nel seminario di marzo.
Se non vogliamo soggiacere alla separatività e di conseguenza alla separazione dalla parte più importante di noi stessi, quella universale e imperitura, dobbiamo pensare sempre di più che tutti gli esseri umani hanno un unico ceppo e che l’io personale e il Sé sono gli estremi di un’unica calamita e vanno visti in un’ottica di continuità, non di separatività. Questa apparente dualità è da considerarsi come un’espansione lenta e costante della consapevolezza, un susseguirsi di zone buie che recedono davanti alla fiaccola di chi ha imparato a rapportarsi con il Sé. La vita da vivere nella continuità e nell’unicità è come una sinfonia da ascoltare nella globalità.
Oggi anche la psicologia, scienza ufficiale, riconosce che gli esseri umani hanno molte cose in comune, anche se si presentano con miriadi di sfaccettature diverse: è stato scoperto che l’inconscio collettivo ci accomuna, che ci accomunano gli Archetipi, le esperienze che facciamo sulla terra; è stato riconosciuto ufficialmente che tutti abbiamo, più o meno sviluppate, le stesse qualità psichiche e le stesse funzioni psichiche, funzioni che sono regolate dalle stesse leggi. Continuando questo discorso sui vari piani e facendo le dovute analogie è facile comprendere come tutti siamo uno. L’astrologia esoterica afferma che ci accomunano al cielo le esperienze del sole nei vari segni, l’alternarsi delle stagioni, i segni zodiacali e le case astrologiche. È facile comprendere come tutto sia collegato e che tutto rispetta le stesse leggi e che il male che facciamo ad un altro essere ricade comunque anche su di noi e così il bene.
Dobbiamo pensare, in maniera sempre più costante e reale che questa separatività o dualità che viviamo è essa stessa illusione voluta dalla nostra personalità, soggiogata dal famoso orgoglio luciferino che vuole far affermare in noi la parte meno nobile e vuole farci sentire autonomi e indipendenti; dobbiamo quindi tener sempre presente che tutto quello che abbiamo e che siamo fa parte del nostro Sé e che solo con Lui e per Lui possiamo aver diritto ad una vita immortale. Comunque, sempre il nostro Antonio, una volta mi ha detto: “L’importante è essere sulla strada giusta e andare avanti onestamente”. Questo mi ha riportato alle parole di un frate camaldolese che disse: “Basta essere onestamente sulla strada che ci ha insegnato il Cristo, per meritare con Lui la resurrezione”. Ma la strada che ci hanno indicato il Cristo o il Budda o altri Avatara è quella, a mio avviso, di qualunque persona sollecita verso la propria evoluzione spirituale, a qualunque sesso, razza, casta o credenza appartenga.
Cominciare qui ed ora a lavorare per vivere secondo il piano spirituale, ci sembrerà un compito arduo, naturalmente parlo per me e per quelli come me, ma se ci rispettiamo per le nostre possibilità intrinseche, se consideriamo i tanti talenti e i valori oggettivi, reali e imperituri di cui siamo dotati, noi non possiamo e non dobbiamo perdere mai le speranze. Se siamo onesti con noi stessi e se facciamo del nostro meglio, ci dobbiamo sempre e comunque amare e perdonare, quando sbagliamo, proprio come Dio fa con gli esseri umani. Solo se ci sappiamo perdonare e non perdiamo mai la speranza di essere perdonati, anche noi un giorno sapremo sinceramente perdonare gli altri e sapremo veramente comprendere cosa significa recitare: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Sapremo dirlo con umiltà perché avremo imparato a riconoscere l’ineluttabilità dei nostri sbagli e l’importanza del perdono. Avremo imparato a riconoscere anche agli altri la possibilità di sbagliare e soprattutto di sbagliare a modo loro. Sapremo per certo infatti che ognuno nel mondo delle apparenze è diverso dall’altro e che ognuno, prima di trovare la sua strada, brancola comunque nel buio. È importante per riuscire a compatire in maniera giusta, secondo la “Pietas Virgiliana” avere sempre in mente che gli sbagli di uno, non possono essere quelli di un altro. Un classico aforisma di Voltaire recita: “Non approvo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Questo aforisma è molto più efficace di un lungo e poderoso saggio di erudizione. Solo partendo da questo principio di rispetto possiamo capire l’altro da noi, aiutarlo veramente secondo quello di cui ha bisogno e solo allora può scattare da parte nostra la vera compassione, non certo il pietismo e potremo anche arrivare ad essere disposti ad accollarci il peso dell’altro, sempre se ci viene richiesto o se lo riteniamo necessario per un bene superiore. Qui entriamo nel vero significato di Tolleranza, cioè nel rendere concreta la nostra compassione e quindi ad essere disposti anche a pagare di nostro, per alleviare il dolore degli altri. Proprio come pagano i Santi, essere disposti a soffrire per il male che si compie nei riguardi di altri e a bruciare con passione per il dolore altrui, tanto da neutralizzarlo. E essere disposti a bruciare con passione per unirci al dolore che il Cristo ha sopportato per l’umanità. “Agnus Dei, qui Tollis Peccata Mundi”. L’agnello di Dio che tollera, che prende su di sé i peccati del mondo.
Ma, ancora una volta, cerchiamo di non spaventarci. Anche in questo caso dobbiamo essere perseveranti e quindi molto tolleranti con noi stessi; dobbiamo saper aspettare e non perdere mai di vista l’obiettivo, per non smarrirci nelle miriadi di viottoli che ci si pongono davanti. Rifacendoci poi alle tante vite di eroi e di santi, perché, come diceva Plotino ai suoi discepoli: “Non uomini dabbene dobbiamo divenire, ma dei”, possiamo dire che, man mano che la nostra comprensione si allarga e con essa la nostra coscienza, anche il nostro fisico si fortifica e non avremo più paura nemmeno di sacrificarci, per un bene riconosciuto superiore.
L’eresia della separatività
Facciamo in modo che questo sia un momento tutto nostro…
Un momento Sacro….un momento dove l’ego si senta unito con il Sé… Mettiamoci comodamente seduti… con le mani appoggiate sulle gambe… la spina dorsale eretta ma non rigida…i piedi ben piantati in terra e gli occhi socchiusi…
Cerchiamo di percepire l’energia che dagli spazi interstellari, ora e qui, ci sfiora la testa… respiriamo profondamente… sentiamo come questa energia ci nutre… ci permette di vivere… ci protegge… essa è dolce e soave… come una rilassante brezza primaverile… ci accarezza la testa… il suo fresco benessere si spande dalla nuca sul viso… scende lungo le spalle… lungo le braccia… e scende giù giù per tutta la spina dorsale… Sentiamo il suo beneficio rilassante irradiarsi nell’addome… nel bacino… nelle gambe… fino alle dita dei piedi…
Questa brezza mi rende leggero… mi trasporta in alto… sempre più in alto… mi trovo nella posizione di chi può osservare la propria vita e quella degli altri… posso mettermi al di sopra dei flutti della vita… posso vedere i flutti della vita quando sono in burrasca… posso vederli quando sono calmi…
Ora sono calmi… I flutti sono scomparsi… essi formano un tutt’uno con l’immenso mare… ora regna la pace… la serenità…
La pace che pervade il mare… pervade anche me e gli altri intorno a me…
Quando c’è pace sono uno con il grande mare… sono uno con gli altri flutti.
Questa è la mia vera vita… quella della pace che è sotto le onde… quella del grande mare… una vita duratura… stabile… perenne… le onde si infrangono… si frazionano… sembrano volersi separare dal grande mare… sembrano separate le une dalle altre… la separatività è una eresia apparente che mi divide dalla parte vera reale di me stesso… La mia vera vita non è quella della cresta delle onde…io non sono una sola onda… Io faccio parte di un immenso mare… di un’immensa vita…
Non mi perderò dietro l’eresia della dualità… La osserverò ma non mi identificherò con essa… Andrò oltre le associazioni del mio pensiero… non voglio essere solo un’onda che lotta con se stessa e con le altre… un’onda che poi si infrange e non esiste più… Io sono il tutto… e il tutto è in me… io non morirò…
Riuscirò a guardare gli avvenimenti dall’alto, riuscirò ad armonizzare le mie contraddizioni interne… riuscirò ad armonizzarmi con il diverso… riuscirò a compattare le dualità… ogni polo ha bisogno dell’altro…
Ora sento di avere la capacità di liberarmi dal concetto della separatività e di aiutare chi mi è vicino a liberarsene.
Adriana Simeoni
Presidente del Gruppo Teosofico “Roberto Assagioli” di Roma
90° Congresso nazionale, Loreto (AN) – maggio 2004
Letteratura teosofica (Edizioni Teosofiche Italiane)
La letteratura teosofica, ricca di spunti e di riflessioni, può molto aiutare il Lettore nel suo percorso spirituale, fornendogli nuove conoscenze, entusiasmanti prospettive ed una visione tollerante e non dogmatica.
La Teosofia (sapienza divina) infatti non è un insieme di regole o dogmi e neppure una religione o una filosofia; è piuttosto una via alla consapevolezza interiore che si basa essenzialmente sul metodo dell’osservazione (che conduce alla dimensione meditativa) e sulla maieutica (che è strettamente connessa alla ricerca della verità). Proprio per questo i testi teosofici sono in grado di parlare alla ragione dell’essere umano, ma anche al suo cuore. Obiettivo delle Edizioni Teosofiche Italiane (Casa Editrice ufficiale della Società Teosofica Italiana) è oggi quello di mettere a disposizione dei lettori una serie di opere qualificate; guardando poi al futuro numerose saranno le novità editoriali, vuoi per la ristampa di opere esaurite vuoi per la pubblicazione di numerose novità.
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