Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
Tecnosofia e trivelle
Marzo 2016
Il prossimo 17 aprile si terrà il c.d. referendum delle trivelle, voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le presunte conseguenze ambientali e presunte fantomatiche ripercussioni che avrebbe sul turismo un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Sarebbe superfluo specificare la posizione della tecnosofia che già aveva preso in passato posizioni ecologiste contrarie al pensiero unico del fondamentalismo ecologista imperante. In realtà questo referendum è molto meno importante perché non è pro o contro l’estrazione nel nostro mare del petrolio come una certa propaganda mendace tenta di far passare. Il referendum chiede solo di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Punto. Non c’è altro. Tuttavia come sempre accade in questi casi, il quesito pur essendo poca cosa in sé ha un significato politico molto più vasto, tanto che nelle dichiarazioni dei comitati referendari No-triv, ha un significato ideologico molto forte. Tutto viene messo in discussione: a cominciare del futuro stesso del referendum come strumento democratico, per seguire poi col riemergere della mancanza di un piano energetico nazionale, oppure con il rapporto tra energia e territorio, oppure ancora il ruolo dei combustibili fossili, la transizione energetica, ecc., ecc.
È stata la lunga serie di luoghi comuni che ha messo in risalto una sfilata di immagini insensate e di slogan ottusi che ci ha fatto “scendere in campo”, l’ultimo dei quali, una donna a quattro zampe con dietro una torre a traliccio che schizza petrolio e la scritta “trivella tua sorella” dal sapore fortemente maschilista, cela una violenza nascosta, segreta e inespressa che dorme latente nei cuori di questi pseudo ecologisti dai piedi puntati e le orecchie turate. Per quanto riguarda le immagini è ancora peggio, perché è difficile sfuggire allo specchietto per le allodole di Greenpeace che ci fa vedere quel povero gabbiano nero di petrolio appiccicato che fa appello a tutta la sua forza per cercare istintivamente di spiccare un improbabile volo.
Qualcuno più ingenuamente ha sfiorato il ridicolo chiedendo di fare come Obama (che non ha rilasciato nuovi permessi di estrazioni di petrolio), ma non c’entra niente: il nostro referendum, caso mai, sarebbe contro l’estrazione di gas, non di petrolio (il petrolio nel nostro Paese viene estratto quasi esclusivamente da terra). Nel sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse, c’è l’elenco di tutte le piattaforme oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la loro profondità di estrazione e il tipo di combustibile estratto. L’elenco degli impianti mette in evidenza come la percentuale di impianti a gas sia in netta maggioranza rispetto a quelli ad olio. E l’estrazione di gas è un’operazione in corso ormai da molti anni nei nostri mari, si tratta di decidere se dare o no una proroga a chi sta già sfruttando il sottosuolo marino perché gli scade la concessione.
È vero che Obama non ha rilasciato nuovi permessi di estrazione di petrolio, ma questo perché gli Usa hanno aumentato la produzione riducendo a zero la loro dipendenza dalle importazioni, peraltro grazie alla tecnologia del fracking fortemente contestata dagli ambientalisti americani, ma utilizzata in modo estensivo. Quindi c’è poco da dire di fare come Obama, la sua scelta è stata strategica: rendere autonomi gli USA dalle risorse estere e ha avuto conseguenze enormi: il prezzo di gas e petrolio è crollato e con esso il costo dell’energia negli Stati Uniti. Quindi il referendum non ha nulla a che fare né con il petrolio né con nuove estrazioni, riguarda solo concessioni già in opera per l’estrazione di un combustibile “pulito”: il gas. È noto che per i referendum abrogativi sia previsto un quorum, tuttavia non è nella natura della tecnosofia utilizzare la strategia di far saltare il quorum suggerendo alla gente non andare a votare. Semplicemente perché così non si educa alla democrazia, per quanto il quorum sia stato messo lì anche per una ragione assai valida: perché tocca ai promotori referendari dimostrare che c’è realmente un numero elevato di cittadini che vuole modificare la volontà del Parlamento.
Che i promotori del referendum siano Regioni che hanno bisogno di dare lavoro ai propri concittadini, la dice lunga sull’incapacità della classe dirigente che, come l’asino di Buridano, non riesce a decidersi se sposare il populismo dell’ambientalismo (che come tutti gli “ismi” puzzano di fondamentalismo) oppure di mantenere i posti di lavoro che di questi tempi sono preziosi. Circa 7.000 lavoratori sarebbero a spasso nel giro di pochi mesi. Un suicidio.
È appena il caso di chiarire che la costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata dal comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/2006), quindi non c’è da fare allarmismo su questo aspetto: il referendum non parla di nuove costruzioni di piattaforme entro le fatidiche 12 miglia dalla costa. Neppure si può dire che la vittoria del SI scongiuri qualche rischio ambientale, caso mai è vero il contrario: il SI contribuirebbe ad aumentare le importazioni e quindi vedremo più petroliere e più navi gasiere circolare per i nostri mari con maggiori rischi di sversamenti. E poi, se una piattaforma petrolifera fosse collocata correttamente oltre il limite delle 12 miglia, cosa cambierebbe? Qualcuno pensa che in caso di disastro ambientale, il fatto che sia posizionata oltre il limite delle 12 miglia, possa fare la benché minima differenza? Il disastro sarebbe identico e nulla fermerebbe l’avanzare del petrolio verso le coste.
Dal punto di vista della tecnosofia tutti siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili fossili non è sostenibile. Ma proprio per questo non è necessario puntare alla costruzione di altri impianti ma allo sfruttamento residuo di quelli già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili che sono sempre in crescita ma con numeri ancora troppo ridotti per incidere sul fabbisogno energetico del Paese. Trivellare non vuol dire affatto essere contro le politiche green, anzi, la normativa di settore è molto severa e condizionante nei confronti delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono prestare attenzione.
Che poi, in realtà, dietro tutto questo si celi una questione molto più prosaica di potere tra Stato e Regione, è un’altra lettura molto più diretta e banale ma forse più veritiera. In fondo il problema è: a chi appartiene il territorio? Allo Stato (e quindi ci mette le lobby sue) o alle Regioni? Evidentemente le Regioni si sentono titolari e perciò vogliono essere loro a sfruttare il proprio territorio (magari mettendoci le proprie lobbies) e come sfruttare a proprio favore il braccio di ferro con lo Stato? Utilizzando il cavallo di Troia degli ambientalisti che non vedono l’ora di battersi per qualche causa che appaia giusta e nobile (cosa c’è di più giusto che battersi per un mare pulito?). Ed ecco il senso delle immagini raccapriccianti: bisogna che la gente si schieri. Il nostro mare non è affatto sporco, laddove sporco sembra essere piuttosto il gioco che si fa sulla testa dei cittadini con volgari immagini di pennuti catramati e con slogan farneticanti.
Ancora una volta la grande famiglia delle varie associazioni ambientaliste si accorda di cavalcare il luogo comune, lo stereotipo che dà loro quanto basta: l’idea che si battono per una causa giusta mentre mirano ai lauti compensi del ritorno d’immagine. Non hanno alcun interesse ai nostri mari, altrimenti avrebbero lasciato tutto così com’è che andava bene perché si poteva finire di ammortizzare tutti gli impianti con tranquillità fintanto che ci fosse gas nel sottosuolo. E non interessa neppure il danno economico che si fa montando un referendum inutile come questo: ci costerà più di 300 milioni, tanto quanto le royalties provenienti dalle trivellazioni. Sono oltre 160 associazioni quelle che hanno aderito al comitato per votare sì per fermare le trivelle, vanno dall’Arci alla Fiom, dal Touring Club all’alleanza cooperative della pesca. Tutte sotto lo slogan “il petrolio è scaduto: cambia energia!”. Verrebbe da dire: care associazioni finte ambientaliste, dato che vi piace tanto amoreggiare tra di voi trascinando un popolo ignaro nel referendum cialtrone che ci state proponendo e facendo oltretutto in modo che la gente si metta a tifare per voi senza che però nulla venga in realtà spiegato, allora continuate pure a raccontare la storiella del mare sporco tra di voi, continuate ad amoreggiare e già che ci siete, trivellate voi le vostre sorelle.
Walter J. Mendizza
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