Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
Il movimento neoluddista del NO a tutto
Novembre 2013
Ogni giorno ci si imbatte in notizie relative alla nascita o all'iniziativa di qualche "Movimento del NO": NO Ogm, NO Tav, NO alla sperimentazione animale, NO agli xenotrapianti, NO al nucleare, NO agli inceneritori, NO alle vaccinazioni... Quella occidentale sta diventando la cultura dei No, che in definitiva vuol dire No alla scienza, alla tecnica, alla modernizzazione, al mercato. Una regressione storica inquietante e pericolosa, soprattutto qui in Europa, perché stiamo rinnegando le scelte che ci hanno condotto al benessere materiale che conosciamo e, paradossalmente, quello che fino a ieri era Terzo Mondo, si sta affrancando dalla condizione di povertà abbracciando proprio quelle scelte e dicendo fortemente “sì” alle stesse cose alle quali noi diciamo “no”: scienza, tecnica, modernizzazione, mercato.
Perché accade questo da noi? Forse perché gli esseri umani quando hanno la pancia piena, un tetto per ripararsi e un minimo di sicurezza, sviluppano una sorta di filosofia dell’avere piuttosto che dell’essere. Sotto questo aspetto, è indubbio che abbiamo la tendenza a formare sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo che servono a “proteggere” il livello di benessere raggiunto. Perciò in tutte le società umane ci sono da un lato i conservatori che vogliono mantenere lo statu quo, per proteggere il livello di benessere al quale sono pervenuti, e dall’altro i progressisti che vogliono cambiare le regole perché avvertono che il cambiamento smuove le acque, crea energie nuove e può far arrivare un po’ di benessere anche a loro.
Dall’inizio degli anni Novanta (dopo la caduta del Muro di Berlino) una parte dell’umanità che si credeva progressista, sentì improvvisamente che era rimasta orfana di ideologia in quanto il proprio sistema generale di orientamento e di spiegazione del mondo era fallito. Purtroppo non si riuscì mai a fare una profonda analisi di quello che poteva significare questo vuoto nella psicologia delle masse. Non si fece in tempo ad elaborare il lutto del comunismo che gli orfani si buttarono subito tra le braccia di una nuova ideologia nascente: l’ambientalismo buonista.
L’ambientalismo buonista (da non confondere con l’ecologia che è la scienza che studia le interazioni degli esseri viventi tra loro e col loro ambiente) è una nuova concezione del mondo, una dottrina che mostra di avere tutte le capacità di sostituire la vecchia ideologia fallita e che presenta in questo momento uno straordinario vantaggio aggiuntivo: quello di poter continuare idealmente la lotta contro il capitalismo, senza soluzione di continuità usando la propaganda del buonismo inerte e imbelle.
È in questo humus che viene alla luce un nuovo, grande movimento di vastissime proporzioni e con altrettanto potere di controllo sulle masse, ugualmente basato sulla comunanza e sulle prospettive egualitarie: il Movimento del NO a tutto. Anche in questo caso siamo di fronte a un sistema generale di orientamento del pensiero, che però ha dato luogo a una sorta di “religiosità” ipocrita e bigotta che postula il no metodico, come forma di conservatorismo endemico, e preferisce l’inazione nonostante gli effetti negativi che essa produce. Si tratta di una variante del peccato originale che in questo caso consiste nell’allontanamento dalla Natura che, guarda caso, è sempre vagheggiata coma madre protettrice. Le nostre disgrazie sono dovute all’industrializzazione perché ci ha allontanati dalla Natura.
Il “No a tutto” è dunque una forma di religione antiprogressista collegata a un senso di colpa ontologico, sul quale le chiese si son sempre buttate a capofitto da secoli. La Natura non è né buona né cattiva, è indifferente alle sorti dell’umanità. Tuttavia il Movimento del NO, abbracciando la causa buonista della Natura finisce inevitabilmente per sposare il neoluddismo, anch’esso una formazione sociale collettiva che rappresenta l’altra faccia della stessa moneta. Il luddismo fu, a inizi dell’800, un movimento di protesta degli operai inglesi che si diffuse ricorrendo alla distruzione delle nuove macchine tessili ritenute responsabili dei bassi salari e della disoccupazione. I neoluddisti oggigiorno si pongono contro il c.d. “sviluppo purchessia”, e su questo piano fanno sembrare che si battano per una causa buona perché tutti percepiamo che è giusto andare contro la produzione di capitale quando questo è a discapito del fattore umano.
Ma perché i neoluddisti dimenticano le condizioni di vita degli ex paesi comunisti o i bassissimi salari che gli attuali operai cinesi sono ancora costretti a guadagnare in condizioni di salute terribili e diritti civili negati? Ormai la Cina non è più un paese emergente, è ben che emerso! È la fabbrica del mondo, ma per arrivare a tale risultato centinaia di milioni di cinesi hanno dovuto sputare sangue sudore e lacrime e continuano a farlo. E perché i neoluddisti del “no a tutto” non riconoscono che sono stati i paesi occidentali a migliorare tantissimo il livello di vita dei propri operai? Perché sputano nel piatto dove mangiano?
Questo modo di procedere ambiguo e sleale ha una specializzazione: l’uso sapiente delle parole. Le parole hanno sempre un peso molto importante, tutti sappiamo che la Risonanza Magnetica Nucleare ha dovuto cambiare nome perché la gente l’associava all’energia nucleare e alle radiazioni mentre il termine si riferiva ai nuclei degli atomi (di solito idrogeno) che vengono rilevati dalla macchina. Così pure nelle pubblicità degli yogurt i fermenti lattici hanno preso il posto dei “batteri” perché questi hanno preso un’accezione negativa in quanto si associano alle malattie. Quindi i movimentisti del “no” hanno gioco facile in questo campo, basti pensare l’utilizzo della parola “manipolazione” quando si parla di Ogm, oppure del termine “vivisezione” quando si fa ricerca con gli animali, ricerca che è super controllata con protocolli ben precisi che mirano a non far soffrire gli animali in quanto esseri senzienti.
Gli stessi militanti ambientalisti che protestano contro l’uccisione di pochi topi utilizzati come cavie nei laboratori, non fanno poi una piega di fronte alle massive disinfestazioni murine e all’eliminazione della popolazione urbana di surmolotti, ratti, topi, ecc. Ma tant’è. A questo punto del dibattito ideologico, visto che il terreno della ricerca è scivoloso e non sempre la gente ci casca, i nuovi ambientalisti neoluddisti tirano fuori la loro arma migliore: le macchine. Le macchine vanno bene, dicono, ma non devono far perdere la bellezza ed il gusto per la manualità. Belle parole. Come si fa a non essere d’accordo? Istintivamente abbassiamo la guardia e non notiamo la manipolazione, così parte un secondo colpo basso, una frase ancora più subdola: “gli antichi saperi si stanno perdendo, così come si estinguono le specie”. All’immagine idilliaca degli antichi saperi si accosta la figura terribile dell’estinzione delle specie. Un vero e proprio “framing”: una cornice interpretativa che ha solo lo scopo di confondere le informazioni che riceviamo. L’immagine degli antichi saperi che si perde, la tradizione che viene accantonata, il vecchio che si lascia per il nuovo, sono tutte cose che alimentano quelle paure ancestrali che consigliano di non abbandonare le piste battute ritenute più sicure. Come nella famosa chiusa della lettera di Verdi: “Tornate all’antico e sarà un progresso”.
Quindi poco importa che gli OGM possano aiutare il problema della malnutrizione, che il nucleare possa fornire energia a basso costo per le fabbriche e quindi nuovi posti di lavoro, che i voli supersonici possano agevolare gli scambi, che le cellule staminali possano aprire scenari e speranze per tutta l’umanità. No, per i nostri sognatori utopisti in attesa che arrivi l’era dell’acquario, l’importante è dire “no”; la scienza e la tecnica spariscono o vengono travisati e strumentalizzati proprio dal questo subdolo attivismo militante ambientalista. Un modo di essere che è la negazione del modo di procedere della scienza: lo scienziato parte dai dati di fatto per arrivare a delle conclusioni, l’attivista militante/militonto parte dalle conclusioni e cerca in tutti i modi di trovare appigli a favore della sua tesi.
Walter J. Mendizza
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