Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
Markus Rehm
Novembre 2015
Qualche anno fa scrissi un articolo riguardante la controversa partecipazione di Oscar Pistorius nelle gare atletiche assieme ai normodotati. Tempo dopo gli fu data la possibilità di gareggiare consentendogli di scendere in pista per i 400 alle olimpiadi di Londra. Credo sia opportuno riprendere i contenuti di quell’articolo alla luce degli 8 metri e 40 cm di salto in lungo che il 27enne Markus Rehm, atleta amputato, ha da poco realizzato ai mondiali paralimpici di Doha, in Qatar. Ora l'atleta tedesco, con la gamba destra amputata e una protesi simile a quelle di Pistorius, vuole partecipare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro dell'anno prossimo. E ancora una volta sorgono le polemiche.
Dal punto di vista tecnosofico il problema non si pone neppure. Nessun dubbio nel consentire la partecipazione all’attività agonistica dell'atleta tedesco in qualsiasi sede ed occasione. Credo sia inaccettabile che la retorica ipocrita dei “diversabili”, cioè di coloro "diversamente abili" (termine politically correct) con la quale ci riempiamo la bocca, si dissolva poi come per incanto quando la stessa diversità si manifesti vera in senso letterale, e cioè comporti performance davvero concorrenziali rispetto ad una presunta "normalità" destinata a divenire sempre più labile a fronte delle varie opportunità di crescita che la tecnologia progressivamente mette a disposizione dell’umanità. In cosa si differenzia l'eventuale vantaggio che Markus Rehm potrebbe ricavare dalle sue protesi, rispetto a quello di origine genetica?
L'unica plausibile ragione per attuare una discriminazione di questo atleta tecnicamente modificato consisterebbe pertanto in una visione reazionaria sulla cui base dovrebbe essere vietato all'uomo di superare i limiti imposti da una "Natura" madre e matrigna, strumentalmente intesa, che si estrinseca nella attuale logica assurda che vieta il doping e gli aiuti tecnici mettendoli allo stesso livello e addirittura limita le innovazioni tecniche persino nella F1. È questa logica che bisognerebbe contestare: quella che proibisce il potenziamento. Perché si tratta di una visione reazionaria del mondo, incarnata in quel fascismo sotterraneo che alberga in molti cuori, anche antifascisti: conservatori di sinistra, atei devoti, ambientalisti militanti, e in definitiva tutti coloro che hanno seppellito quel senso di progressismo che incarnò l’aspetto prometeico e faustiano che delinea la nostra specie. L'uomo è natura nella natura, adattamento, evoluzione (anche quando si tratti di protesi) sempre all'interno della natura...
Questa discriminazione reazionaria viene per così dire, celata, ricoperta da ragioni pseudo sportive e incartata con la paura del doping allorquando ci parlano di farmaci vietati. Si tratta di un’altra cosa: vietare gli anabolizzanti può essere sostenuto sulla base della tutela della salute dello sportivo, ché, altrimenti rischierebbe di mettere a repentaglio la propria vita a causa delle pressioni della squadra, della nazione, degli sponsor. Nel caso di un paratleta, invece, la salute è solo arricchita, migliorata, potenziata dalle protesi. D’altra parte, qualunque gara deve essere fatta stabilendo delle regole. E le regole sono fatte per essere infrante e cambiate. Se cambiano le regole cambia il tipo di gara, se ammettiamo queste protesi, allora dobbiamo consentire a tutti gli altri atleti di fare altrettanto. Da qui nasce la posizione pilatesca della Federazione: il paratleta con protesi può risultare avvantaggiato da esse. Dobbiamo aggrapparci alle regole della Federazione di atletica per escludere i paratleti con protesi, altrimenti con ogni probabilità emergerebbe che la nostra è una paura subconscia della potenzialità della tecnica.
Si dice che il gesto atletico non deve essere influenzato da elementi tecnologici che possano avvantaggiare gli atleti; ma alcuni atleti già utilizzano sottili metodi per aumentare le loro performance anche attraverso scarpe da corsa disegnate appositamente. Viene naturale chiedersi allora perché le scarpe da ginnastica siano naturali e le protesi al carbonio no? Del resto, se si vietano gli steroidi e si gareggiasse senza scarpe, vincerebbe colui che ha il Dna migliore e questo non è certo un merito sportivo.
Ecco perché il caso Markus Rehm come quello di Pistorius potrebbe essere destinato a rivoluzionare il concetto stesso di olimpiadi. Potrebbe in effetti accadere di osservare proprio nelle para-olimpiadi, nei prossimi anni, tanti nuovi atleti cyborg infrangere record su record, con un capovolgimento dei fronti: proprio gli ultimi, grazie alle tecnologie, diventano i primi, più veloci, più forti. Capaci di impegnarsi su gare completamente diverse, nuove sfide, nuovi sport, al cui confronto le olimpiadi "degli altri" (quelle dei sani) saranno una noia mortale, non seguite quasi da nessuno, così come oggi pochi seguono le para-olimpiadi.
Lo sport senza supporti di potenziamento è un mito come lo fu quello del "dilettantismo olimpico" o il desueto luogo comune “l’importante è partecipare” o al più una favola come quella dello "sport al di sopra della politica". Mai lo sport è stato al di sopra della politica, piuttosto è stato un veicolo per la politica. Tuttavia niente di tutto questo è stato utilizzato come strumento di riflessione. Semmai il caso dell’atleta tedesco è visto come un "caso limite" che sicuramente fa inumidire gli occhi a quel paciugo inconsistente buonista e ipocrita che caratterizza il nostro perverso mondo, artefatto e fasullo: la verità è che trattiamo Markus Rehm come un caso pietoso, ma in realtà non sappiamo dove metterlo, perché incarna le nostre paure più profonde, perché ci parla del nostro futuro.
Già, perché Markus Rehm ci fa intravvedere un futuro dove i problemi si dovranno risolvere con più tecnologia e non con meno, con più ricerca scientifica e non con meno. Alla faccia di coloro che vogliono farci ritornare a vivere nel medioevo delle proibizioni e dei divieti invece che farci godere di più libertà: non è tirando il freno a mano del progresso che risolviamo i problemi dell’umanità. Lo dimostra la sostanziale inefficacia dei proibizionismi e degli ambientalismi che non sono in grado neppure di prendere atto della loro totale incapacità di generare un cambiamento dei comportamenti in tutto il mondo e in tempi rapidi. Così Markus Rehm aziona un rifiuto ideologico che fa entrare in funzione una sorta di riflesso condizionato che lo vuole confinato nel recinto dei paratleti: un ghetto dal quale non deve uscire perché incarna le nostre più profonde angosce esistenziali. Ecco perché ci fa paura ed è per questo motivo che lo trattiamo prima con la pietà verso il disabile, poi con lo sgomento verso il diversabile e, infine, con lo sbigottimento che possa diventare sotto i nostri occhi in-super-abile.
Walter J. Mendizza
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