Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
Il nuovo politeismo
Agosto 2014
In un articolo molto interessante apparso sul Corriere.it ne Il club de La Lettura (http://lettura.corriere.it/il-nuovo-politeismo/) il giornalista Marco Ventura presenta il libro del professore di semiologia all’Università di Torino, Massimo Leone. Il libro ha un titolo affascinante: Spiritualità digitale. Il senso religioso nell’era della smaterializzazione. La tesi del professor Leone riguarda la presunta nuova religione che nascerà dagli algoritmi. Confesso di non aver ancora letto il libro ma ho trovato l’articolo molto interessante e foriero di numerose riflessioni. In effetti il tema appare assai coraggioso dato che sappiamo quanto sia arduo stabilire un criterio assoluto per distinguere i sistemi religiosi da quelli no, figuriamoci quindi le difficoltà di argomentare su un possibile prossimo sistema religioso proveniente dalla nostra era digitale.
Tuttavia la proposta intellettuale appare allettante dal punto di vista antropologico: le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti e riti che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e in qualche modo fungono da modelli di riferimento, modelli che “spiegano” il mondo. Dunque come forma specifica della cultura umana non c’è motivo che non possa originarsi un nuovo orientamento di pensiero alla luce dell’attuale rivoluzione digitale, anzi, un simile nuovo orientamento andrebbe studiato con tutte le procedure che le scienze umane mettono a disposizione, evitando che nelle pieghe del ragionamento si passi involontariamente da una disciplina ad un’altra; cioè dallo studio delle "religioni" che è oggetto delle "Scienze delle religioni" allo sviluppo storico delle religioni che è oggetto della "Storia delle religioni".
Con queste cautele, vediamo di capire l’articolo di Marco Ventura e di riflesso il libro che egli recensisce. L’articolo del giornalista esordisce (presumibilmente seguendo il filo del libro del prof. Leone) parlando del larario dell’imperatore romano Alessandro Severo. In questo larario c’erano diverse divinità che già coabitavano con divinità di imperatori precedenti. Si dice che al tempo di Alessandro Severo, nel III secolo dopo Cristo, un simile assortimento di statuette fosse normale dato che la religione greco-romana “adottava” le divinità straniere, producendo così nuovi dèi, da celebrare in un pantheon plurale. Del resto lo stesso Pantheon a Roma è un edificio del primo secolo costruito appositamente per contenere tutte le divinità: passate, presenti e future. Tuttavia nel III secolo dopo Cristo quella religione politeista stava tramontando. Il Dio dell’Esodo aveva pronunciato parole nuove, parole che mettevano ordine nel caos delle tante divinità: Io sono il Signore, tuo Dio. Non avrai altri dèi di fronte a me. Guàrdati bene dal fare alleanza con gli abitanti della terra nella quale stai per entrare. Anzi, distruggerete i loro altari, farete a pezzi le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi prostrarti ad altro dio, «perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso».
Il ragionamento del prof. Leone parte dal concetto che il Dio unico (e quindi il dio più grande di tutti, il dio vero) venne con la scrittura, e a parziale conferma della sua affermazione dice che gli dèi preistorici delle pitture rupestri, gli dèi dell’epica orale, cedettero il passo al Dio autore del proprio Libro sacro: “Il Dio della Rivelazione scritta esiliò le statuette del larario di Alessandro Severo nelle terre della mitologia, della cultura classica, l’unico spazio in cui potessero sopravvivere gli dèi falsi e bugiardi. Lo schema del monoteismo che sostituisce il politeismo ha dominato i due millenni cristiani. Il binomio tra unico vero Dio e scrittura ha plasmato la nostra relazione con il trascendente. Il Dio autore della Bibbia e del Corano ha creato la scrittura. La scrittura ha creato il Dio monoteista”.
È sicuramente una tesi molto suggestiva anche se personalmente ritengo che i fenomeni sociali seguano piuttosto il principio darwiniano che non è la specie più forte che sopravvive né la più intelligente ma quella più ricettiva ai cambiamenti. Quando i tempi furono maturi il dio monoteista prese il sopravvento sugli dèi minori; ma già Akhenaton nel 1.350 a.C., passato alla storia come il faraone eretico, aveva tentato di sostituire, in conflitto con il potente clero tebano, il dio Amon con un nuovo culto monoteista adoratore del dio Aton. Il tentativo fallì, non perché gli egiziani non avessero la scrittura ma perché i tempi non erano ancora maturi. Nel vasto repertorio delle culture umane il prof. Leone ha focalizzato forse troppo la sua attenzione sul binomio scrittura/monoteismo ma non è e non può essere certamente il solo ed unico principio sul quale poggia il complesso fenomeno del sopravvento del dio monoteista. Altrimenti ci spieghi perché antiche e grandi religioni pre-cristiane (dove pure la scrittura esisteva come in Egitto) non sono sfociate, in quel tempo, nel monoteismo?
Dobbiamo dunque concludere che non è la scrittura condizione necessaria e sufficiente al Dio monoteista, o almeno non può esserlo per un pronto rimpiazzo, cioè la sostituzione immediata della religione politeista con quella monoteista. Tuttavia a lungo andare, a distanza di migliaia di anni, la tesi del professore si realizza: è senz’altro vero che la religione politeista degli antichi Egizi è oggi completamente sostituita dall’Islamismo, religione monoteista; ed è vero pure che l’islamismo ha seguito il medesimo principio di ebrei e cristiani, ingiungendo al fedele di testimoniare che «non vi è altro dio se non Allah».
L’articolo di Marco Ventura prosegue sulla scia del libro recensito, avanzando l’ipotesi del professore semiologo: “Oggi questa storia della religione non ci basta più. Crediamo in modo nuovo, celebriamo in modo nuovo. D’accordo, il Dio vero ha sostituito gli idoli; va bene, ha rimediato al caos delle tante divinità l’ordine del Dio unico, ancorché trinitario e ricco di santi e madonne. Ma poi? Vogliamo capire cosa c’è dopo. Cosa succede ora. La religione sembra sull’orlo di una nuova era. La svolta coincide con il superamento della scrittura nell’era del digitale.”
Per dirla con le sue parole: se i graffiti delle caverne hanno prodotto gli dèi che propiziavano la caccia oppure se il canto di Omero ha prodotto l’Olimpo, se la scrittura ha prodotto la Bibbia, quale religione sorgerà dalla digitalizzazione? Come dire, se è vero che al cambiare del modo di comunicare tra le persone cambia anche il modo in cui si comunica con Dio, che religione sta per sorgere? È chiaro che a questo punto il professore ha bisogno di una ipotesi forte per poter costruire la sua tesi, ed eccola subito servita: l’ideologia del segnale. Il segnale quindi come informazione. Un’idea suggestiva anche se accompagnata da affermazioni scivolose: perché il segnale dovrebbe essere “contenuto sottratto al giogo della materia”? E perché mai questo benedetto segnale che non è altro che un codice aritmetico che viene trasmesso dovrebbe assurgere a ruolo di spiritualità senza materialità?
Qui le domande si moltiplicano perché le affermazioni dell’autore sembrano provenire da una mente fantasiosa e bizzarra anziché da uno scienziato: la coscienza si trasforma “in numero riproducibile, trasportabile, e dunque vendibile” (che significa?) e questa presunta trasformazione della coscienza dovrebbe portarci ad una spiritualità senza materialità (ammesso che questa espressione abbia un senso). Le affermazioni stravaganti del professore non sono finite, anzi, l’articolo di Ventura ne riferisce a iosa: “Non più una comunicazione con Dio secondo la tradizione ebraica di un rituale denso, fisico, che circonda il nucleo vuoto di una trascendenza innominabile” (qualunque cosa questa frase voglia dire). Anche le proposizioni successive riportate dal giornalista fanno pensare ad una percezione grandiosa e irrealistica della tesi che si sta propinando, anche se psicologicamente insostenibile con la realtà: “non può più valere l’accesso a Dio garantito dall’incarnazione cristiana, nucleo pieno d’immagini e parole, ma soprattutto eucaristia(…) mistero del «corpo di Cristo che è materia condivisa».
Al di là delle espressioni misticheggianti e al limite della chiarezza («l’individualità intima del credente comunica con l’intimità della trascendenza senza bisogno di tradursi in segni condivisi») è innegabile che ci sia una trasformazione delle chiese tradizionali; le nuove comunità di credenti stanno diventando i social network, dove chiunque può invitare altri “fedeli” per condividere un rito, un mito o celebrare una propria liturgia con un clip, un video. Sta già avvenendo sotto i nostri occhi, intere comunità di nuovi “credenti in altro” passano ore in internet davanti allo schermo, magari su Youtube a vedere singole persone o gruppi che fanno le cose più disparate e magari anche sciocchezze sesquipedali (alcuni si filmano semplicemente mentre giocano alla playstation) e ci sono poi milioni di persone che guardano questi video seguendo un particolare percorso liturgico. I nuovi sacerdoti non offrono alcun contenuto alle masse, sono aedi del nulla che si auto-celebrano, filmandosi, per poi condividere questo nulla in internet (guadagnando peraltro pure una barca di soldi). Ce ne sono migliaia di questi nuovi ministri del culto, e sono seguiti da decine di milioni di fan in tutto il mondo, ipnotizzate dai nuovi sacramenti, dai vari riti che non celebrano alcunché. È questa la vera nuova “religione” che purtroppo è sfuggita al professore laddove gli avrebbe consentito di mettere ulteriore carne al fuoco con esempi concreti senza dover scomodare la tradizione ebraica o il mistero del corpo di Cristo.
Le conclusioni a cui arriva il prof. Leone, appaiono senza dubbio interessanti e per molti aspetti condivisibili. Il dio unico ha perso sé stesso dando vita ad una nuova religione post-monoteista che potremmo definire neopoliteismo numerico e che ci riporta in qualche modo alle “statuette” (digitali stavolta) di Alessandro Severo in un pantheon praticamente infinito. Dopo due mila anni di tirannia del dio monoteista si ritornerebbe al vecchio politeismo degli antichi (in versione moderna) più politicamente corretto. La varietà degli dèi obbligava la gente in quel tempo a pensare in modo plurale e più democratico. La nuova religione digitale anche se non ripristina l’ordine nel larario (ma proprio per questo motivo) ci permetterà di connetterci al trascendente attraverso le tante “statuette” dei social network tutte ugualmente venerate. Per dirla con Giuseppe Verdi: torniamo all’antico, sarà un progresso.
Walter J. Mendizza
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