Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
Dal buon selvaggio al rilancio della ricerca
Gennaio 2013
Il mito del buon selvaggio si basava sulla convinzione che l'uomo in origine fosse un animale buono e pacifico, e che solo successivamente fosse stato corrotto dalla società e dal progresso. Le fondamenta di questa idea risalgono ai primi anni del Settecento mentre l'espressione "buon selvaggio" comparve addirittura nell’opera teatrale “La conquista di Granada” di John Dryden (1672), dove vi figura la rappresentazione idealizzata di un "gentiluomo della natura". Da quel momento in poi tale convincimento si radicò in molti cuori e fu un aspetto caratteristico del Sentimentalismo del secolo successivo che diede luogo a sognatori idealisti e visionari. Il concetto di "buon selvaggio" si collega con la filosofia romantica di Jean_Jacques Rousseau che si rifà a un'idea di umanità sgombra dalla civiltà: la normale essenza di uomo senza impedimenti.
La convinzione che senza la civilizzazione gli uomini siano essenzialmente buoni è molto consolidata anche ai giorni nostri. L’idea di una umanità sgombra dalla civiltà fa che molti vivano nel mito del buon selvaggio fantasticando un mondo popolato da onesti e probi primitivi, naturalmente pacifici; attorniati da dolci pecorelle brucanti e arcadici pastori in armonia con gli elementi di una Natura sempre materna e benigna. Una idea che va contro il più elementare buon senso giacché in realtà sappiamo che la Natura è un luogo ricolmo di negatività e in essa regna una impassibile indifferenza alla sorte umana. Chi vive in questi miti detesta ciò che è innaturale mentre ama incondizionatamente tutto ciò che è naturale; dimenticando che secondo “natura” ci sono le pestilenze, le malattie, i terremoti, le disuguaglianze sociali, i deformati, gli handicappati.
Ed è proprio la natura carica di negatività il motivo per cui gli uomini hanno sempre cercato di "dominarla", per togliere dalla sofferenza i propri simili, i nostri cari, le persone più deboli, gli anziani, i bambini. Per dominare la natura gli uomini si sono prima dati il linguaggio, successivamente hanno inventato la cultura e infine la forma più elevata di cultura che esista: la Scienza e l'applicazione della Scienza, cioè la Tecnica. Tutto questo però ci ha portato ad avere un mondo sempre più complesso. L’apprendimento che è naturale nell’uomo è diventato studio e acquisizione forzata di conoscenze e questo provoca un rifiuto spontaneo verso la scuola quando si è giovani e, da adulti, una società narcotizzata, pronta ad essere manipolata, come del resto si può tranquillamente vedere tutti i giorni.
La manipolazione delle masse si è drammaticamente consolidata, tanto che oggi si pratica regolarmente dappertutto: nell’economia, nella politica, nell’informazione, nella pubblicità, ecc. Quante volte entriamo in un supermercato per acquistare un prodotto specifico che non ci serve realmente? Il bisogno è stato indotto dalla pubblicità; se analizzassimo onestamente i carrelli della spesa, verificheremmo quanti sono i prodotti che effettivamente sono utili alla nutrizione e quanti invece spazzatura pregna di una chimica dannosa per il corpo, ancorché ampiamente reclamizzata nei media! La manipolazione di cui siamo oggetto è un tema molto importante e in qualche modo è anche un tema inerente Tecnosophia, quindi ne faremo oggetto di un prossimo articolo.
Così, siamo riusciti ad entrare in un'epoca in cui la velocità del progresso tecnologico è di gran lunga superiore al tasso di adattamento dell'individuo e della sua capacità di apprendimento. Questo crea grossi problemi perché fa bramare il frastuono narcotizzante, la seduzione dell’obnubilamento e, in definitiva, il rifiuto della complessità con la conseguente tentazione di abbracciare il mito del buon selvaggio. Per evitare che l’umanità getti la spugna accogliendo a braccia aperte coloro che vagheggiano un mondo primitivo come fosse la panacea per tutti i mali, dobbiamo sostenere il miglioramento della condizione umana attraverso le nuove tecnologie, in particolare quelle nate per potenziare le capacità intellettuali, fisiche o psicologiche dell’uomo.
Inoltre, dobbiamo fare in modo che i ricercatori e gli sviluppatori di tecnologia coltivino un essere umano centrato sul paradigma tecnosofico. E’ necessario creare una tecnologia con cui le persone possano interagire naturalmente con robot e computer come se stessero interagendo naturalmente con altre persone. Bisogna preparare un salto di qualità tecnologico, un mondo cibernetico (cioè che favorisce i collegamenti nervosi tra persone o tra persone e sistemi elettronici) ma assolutamente human-oriented, allo scopo di evitare che ci sia un rifiuto della tecnologia. Così la tecnica sarà completamente sostenuta dalla conoscenza della fisiologia e psicologia cognitiva comportamentale ma con una interfaccia “umana”, orientata alle persone.
Uno dei prossimi salti qualitativi della tecnosofia sarà la tele-esistenza, vale a dire che ci saranno macchine che consentiranno ad un essere umano di avere in tempo reale la sensazione di essere in un luogo diverso da quello in cui egli sta e pur tuttavia essere in grado di interagire con l'ambiente remoto, che può essere reale, virtuale o una combinazione di entrambi. I moderni robot che permettono di effettuare operazioni chirurgiche con un margine di errore infinitesimale, è tecnologia militare che poi venne acquistata dai privati. C’era bisogno di operare i soldati quando venivano feriti sul fronte e il chirurgo doveva “vedere” ed essere in grado di intervenire a distanza in un ambiente remoto. La tele-esistenza consentirà l'uomo di essere praticamente onnipresente. Già ora ci sono surrogati di robot antropomorfi (Telesar) che permettono una tele-esistenza comunicativa e addirittura tattile; oppure ci sono stereoscopi che permettono una tele-esistenza grandangolare ad immersione (Twister) che ha un display a colori con un campo visivo di 360 gradi e una visualizzazione 3D senza necessità di indossare gli occhiali 3D.
Questi salti tecnologici ci porteranno definitivamente dentro il terzo millennio, ma per poter effettuarli bisogna dedicare alla ricerca maggiori percentuali di PIL; occorre che il numero di ricercatori rispetto alla popolazione sia maggiore di quello attuale. La popolazione dei ricercatori italiani si sta assottigliando a causa del blocco parziale del turn over che ha impedito un ricambio adeguato. Inoltre, l’attuale crisi economica provoca un rallentamento tecnologico nel medio periodo, anche se la crisi ha origini finanziarie e può essere causa, non effetto, del rallentamento tecnologico. A questo bisogna sommare l’effetto paradossale dell’epoca che viviamo: io sono nato nei primi anni ’50 e i valori dominanti nella società di quegli anni facevano desiderare ai bambini di diventare scienziati o astronauti o inventori. I valori dominanti della società attuale fanno sì che i (pochi) bambini che ci sono in giro desiderino diventare banchieri o “tecnici” (sigh!) e questo si riflette sulla ricerca e sul fatto che la società non produce ricchezza reale e innovazione e che la ricchezza disponibile (o quanto ne resta) non sia utilizzata per produrre progresso.
Dobbiamo attirare i vincitori di progetti europei in Italia garantendo loro spazio e una certa autonomia. Dobbiamo rinnovare le università, promuovendo la mobilità geografica e sociale dei nostri giovani. Dobbiamo trasferire le competenze dal mondo della ricerca a quello dell'impresa. L'investimento privato è, per definizione, sempre rischioso, ma è quello che scommette sulla valorizzazione della ricerca perché da questo rischio si creano nuove fonti di ricchezza, nuova occupazione e competitività per il Paese. Sostenere l'imprenditorialità significa semplificare la nascita o lo sviluppo delle start-up, e affiancarle nel loro percorso di crescita, da inquadrare in un contesto coerente con la politica industriale del Paese. Oggi il sistema di valutazione dei progetti di ricerca industriale impiega anni e alla fine fa prevalere la valutazione amministrativa e burocratica rispetto alla sostanza e qualità del progetto. Questo è il contrario di una prospettiva tecnosofica, perché la valutazione burocratica non produce avanzamenti della conoscenza, non fa crescere il Paese, non genera nuova ricchezza, non diventa innovazione sociale.
Walter J. Mendizza
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