Riflessioni sul Sufismo
di Aldo Strisciullo indice articoli
L'importanza della pace
Settembre 2008
Il Profeta Muhammad consigliò di concludere ogni preghiera supererogatoria con questa formula particolare: «Âllahumma! Signore. Tu sei la pace, da Te viene la pace, a Te ritorna la pace. Mantienici nella pace e facci entrare nella dimora della pace. Tu sia benedetto, Signore, e Tu sia magnificato, o Tu in cui sussistono la maestà e la nobiltà». [1]
Quale è il senso della nostra quotidianità, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri, siamo certi di conoscere il mondo per come ci appare?
Se consideriamo l’esperienza umana nel suo insieme, ci rendiamo conto che essa non è né progressiva né cumulativa, ma che ogni gruppo umano principia ed esaurisce delle forze a disposizione, non disponibili per un nuovo gruppo umano. Ad un certo momento, “un’azione” si interrompe e ne inizia un’altra, e, in questo alternarsi di “momenti”, di grandezze diverse, le energie, i pensieri, le emozioni si rifondono continuamente, senza alcuna linearità e causalità.
I periodi umani assomigliano a contenitori in cui ogni gruppo esprime credenze proprie che regolano la vita, i processi sociali, il sapere, il quotidiano. Così anche la nostra quotidianità è basata su credenze circoscritte al nostro modo di vedere che acquisiscono senso e funzione all’interno del sistema di valori morali, sociali, etici che noi elaboriamo e condividiamo.
Alla base dell’esperienza, tuttavia, restano le medesime pulsioni, individuali e collettive, che caratterizzano l’uomo, così che si può affermare che sul piano psichico, in ogni momento e in ogni epoca siano sempre presenti tutti gli archetipi antichi dell’uomo, mascherati da uno stile di vita solo apparentemente differente.
Non ci rendiamo conto di questo e di quanto siano relative le nostre esperienze e le nostre conoscenze perché la frammentarietà della nostra stessa esperienza fa sì che attribuiamo alle singole azioni umane un senso di continuità che oscura l’insieme. La frammentazione interiore si rispecchia nell’avvicendarsi delle manifestazioni esteriori dell’individuo a cui assegniamo un valore di realtà, di unità - cioè immaginiamo l’unità psichica dell’individuo - che invece non possiede.
In una scala più grande, se vogliamo, l’espressione specifica di una certa tendenza umana, si sublima in un valore che, ad un certo momento, prende il sopravvento e caratterizza appunto un’epoca, un periodo storico, come lo sono stati, ad esempio, l’illuminismo, il romanticismo, ecc. E ciò dipende soltanto da circostanze, tutto sommato, fortuite.
Nella nostra società attuale, un esempio, è la nostra tendenza inconscia a delegare alla tecnologia - materialismo e tecnica - le domande e le risposte del senso del divenire umano, fino a quando però un nuovo “valore” non prenderà il sopravvento, trasformando ancora valori e concezioni che sublimano il bisogno umano di essere.
Esiste, allora, un senso della verità che ci permette di andare oltre questi campi ristretti dell’esperienza e del sapere? Per rispondere a questa domanda è necessaria una premessa. Quanto siamo disposti a cedere in termini di strutture, abitudini, meccanismi psichici che ci fanno vivere, ma che in verità ci vivono? Un bellissimo aforisma, che ho letto di recente, pregno di significato in questo senso, è questo: «Come l’immagine di un oggetto in uno specchio non è l’oggetto, così l’immagine delle cose nell’Universo è illusione. Fino ad oggi ti sei visto nello specchio, volgiti a guardare te stesso» [2].
Nel nostro quotidiano, siamo abituati a guardare al mondo attraverso forme impersonali, a essere guidati da strutture e da modelli di pensiero che per quanto ci diano l’impressione di aprire la nostra mente a nuove conoscenze, per la stessa natura di cui son fatti, limitano, allo stesso tempo, la comprensione estesa della realtà.
Questo, ad esempio, è vero della scienza odierna. La scienza è frammentata come lo sono gli individui, per cui, al momento, essa non ci aiuta a trovare quell’unità che ci permetterà di cogliere la natura nella sua interezza.
Il vero progresso umano, individuale e collettivo, sta nella realizzazione dell’unità, prima psichica e poi mentale, che ci permette di superare ogni significato apparente del mondo. Infatti, all’invisibile frammentazione dell’essere che si rifrange nel quotidiano, e che nominiamo esistenza, attribuiamo un senso di continuità, che è proprio quello che crea in noi l’illusione di un mondo e di un vissuto psicologico.
Vi è, allora, un altro aspetto delle cose che principia quando lo specchio del mondo è rovesciato e ogni fenomeno cessa di essere singolo e isolato ai nostri occhi e acquista un valore più ampio, più disteso e profondo. Vi è un senso dell’essere che viene dall’essere e non da formulazioni concettuali, né da surrogati, e a cui le parole, le attribuzioni della realtà non sono sovrapponibili.
Se il mondo ci appare in misura di come sappiamo guardarlo, allora dobbiamo imparare a considerarlo nel modo corretto, trovando la radice di questo equilibrio. La continuità non è reale e noi siamo discontinui e soggetti all’incostanza del mondo fenomenico.
In ultima istanza, anziché restare intrappolati nella gabbia delle forme, pensiamo al nostro tempo come se dovessimo cominciare da zero, senza appoggiarci passivamente a nulla, come se ogni “significato” dovesse essere ricostruito tutte le volte.
Ciò che dobbiamo augurarci è che qualche occasione ci faccia capire che, spesso, proviamo desideri di cui non conosciamo l’origine, e che seguiamo le aberrazioni delle nostre istanze come fossero dotate di senso, giustificando il nostro vissuto. Dovremmo augurarci, allora, di capire che dobbiamo capire e che qualcosa nella nostra esistenza, una forza, la vita stessa, si attivi e ci conduca verso ciò che, senza riuscire a esprimere pienamente, sentiamo di essere.
Aldo Strisciullo
- Articolo apparso sulla rivista Sufismo, n°3/2008
NOTE
[1] da Gabriele Mandel, Islam, Mondadori, Milano, 2005
[2] sufi Gibrail Khan
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