Riflessioni sul Sufismo
di Aldo Strisciullo indice articoli
Il cibo spirituale
Aprile 2008
Ogni essere umano, appena nato, possiede pulsioni naturali che gli sono necessarie alla sopravvivenza biologica: respirare, mangiare, muoversi. Queste pulsioni riguardano il corpo fisico. Oltre a queste, ne possiede in sé altre necessarie per la sopravvivenza della specie, le pulsioni sessuali, e altre necessarie per la sopravvivenza della psiche: arte, fede e civismo. Tutte queste pulsioni si strutturano nell’ambiente. Ogni essere umano è soggetto al tipo di influenza che l’ambiente intorno esercita su di lui, oltre ad una componente genetica dei caratteri psichici. Quindi, venendo al mondo e crescendo ogni bambino si adatterà e “prenderà forma”, secondo ciò che i genitori sono, secondo la realtà sociale, le tradizioni, lo stile di vita.
Allo stesso modo, per ciò che concerne la religione, ogni individuo apprenderà i riti, la dottrina, i comportamenti, le consuetudini che gli saranno tramandate. Così, l’atteggiamento e il modo di pensare la realtà saranno differenti rispetto alle abitudini, alle conoscenze e alle pratiche di altri individui. Ogni popolo, senza alcuna distinzione, ha da sempre effettivamente organizzato la propria visione della realtà fenomenica e invisibile, sistematizzando il rapporto con la vita e la morte, e la ricerca di un equilibrio etico e spirituale.
Soffermiamo la nostra attenzione sul corpo e sullo spirito, considerando che la fede concerne la pulsione alla ricerca del divino, peraltro oggi confermata anche dalla fisiologia attraverso le scansioni sull’attività del cervello rilevate durante la preghiera. Sia la necessità del cibo che quella della fede sono sostenute da pulsioni connaturate all’uomo. L’una alimenta il corpo, l’altra la vita psichica. La necessità del mangiare è legata al sostentamento del corpo, alla parte materiale dell’essere, mentre la fede è una pulsione necessaria a guidare l'uomo all’anima, la parte invisibile dell’essere. Un uomo si può dire completo quando non trascura né la materia e né lo spirito.
Se consideriamo le variabili culturali del cibo e del concetto di nutrimento, e le loro valenze sia nella quotidianità che nell’ambito del sacro possiamo immaginare una analogia, non solo simbolica. L’insieme degli alimenti di una tradizione, di una cucina distinguono i popoli. Mangiando un cibo spesso si comprende un popolo. In ogni luogo sono nate tradizioni alimentari, in base alla disponibilità del cibo, alla natura dell’ambiente circostante, in base alle credenze, alle idee, e alle esperienze. Ogni popolo attraverso gli scambi culturali ha sviluppato nel tempo conoscenze, regole, direttive, usi e costumi, atteggiamenti sociali e simbolici. Gli uomini si incontrano e, spesso, la convivialità assume forme e atteggiamenti caratteristici. Le religioni sono anch’esse sorte in tempi e modi particolari, spesso integrando ciò che già esisteva sul territorio, spesso rinnovando, modificando le culture e le norme esistenti adattandole, tramite i profeti, alla consapevolezza divina. Anch’esse hanno ritualizzato aspetti del quotidiano e regolato la convivialità tra i fedeli, istituito pratiche, riti e festività. Ancora, per riprendere l’analogia, la messa cristiana, ad esempio, ha come oggetto il “cibo”.
Ora, così come i cibi sono preparati, con i vari ingredienti, e poi assunti durante la giornata per il sostentamento del corpo, altrettanto le varie religioni, che regolano la fede, sono costituite da più aspetti che guidano alla ricerca del Sé e di Dio. La preghiera, soprattutto nell’Islâm, scandisce i momenti della giornata. E così, come nel momento del pasto il cibo è il nutrimento del corpo, così nel momento della preghiera lo stato di raccoglimento è il nutrimento dello spirito.
Cibi diversi, religioni diverse. E’ scritto nel Corano (5ª, 53): «Se Dio avesse voluto, certo avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma vuole provarvi con ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle buone opere. Tutti ritornerete a Dio, che allora vi informerà su ciò su cui divergete».
La diversità religiosa per l’Islam è fonte del cammino umano. Se ciò che accomuna gli uomini è la ricerca del “nutrimento”, perché, dunque, non gustare i diversi sapori dei cibi? Perché non riconoscere il valore delle differenti religioni come preambolo all’unicità, senso supremo dell’essere? Ogni religione o credo sono il “cibo” particolare la cui funzione è quella di nutrire. Nel vangelo, in Matteo, 25, 45, Gesù esorta a dare da bere agli assetati e dar da mangiare agli affamati, col passo evangelico che termina: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose (dar da bere, da mangiare) a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me». Ciò indica la circolarità dello spirito tra gli uomini e Dio, il cibo condiviso. Allora, l’incontro tra uomini, al di là delle religioni e delle tradizioni, sapendo usare le conoscenze di cui ognuno dispone, può avere come fine la trascendenza. Così, ora, possiamo tornare al passo coranico citato prima: «Tutti ritornerete a Dio, che allora vi informerà su ciò su cui divergete».
Qual è la natura dell’alimento? La natura dell’alimento è l’universo tutto – l’universo essendo Dio – e la consistenza specifica di ogni alimento la qualità in cui questo si manifesta nell’universo stesso, in tanto che emanazione del creato. In Corano 21ª 8, si legge: «Noi non ne abbiamo fatto corpi che non consumavano cibo, né che erano eterni». In questo versetto è suggerita la differenza tra la materialità del corpo è lo spirito e la natura del nutrimento che spetta ad entrambi. La consistenza del corpo fisico e il suo destino, mentre invece l’anima torna a Dio. Per cui possiamo considerare l’esistenza di differenti tipi di cibo da più materiale a meno materiale e da meno materiale a più spirituale. Per ciò che concerne l’uomo, l’evoluzione dipende da ciò di cui si nutre e dalla capacità di assumere determinati ingredienti, di assimilarli e di riutilizzarli: dare ciò che si riceve; tutta l’esistenza è un dare e avere a gradi diversi.
In Corano 20ª 132, si legge: «Noi non ti chiediamo cibo, tocca a Noi cibarti; il fine è la devozione». Dio offre il cibo materiale, ma anche quello spirituale. Ogni testo sacro è considerato un nutrimento. All’uomo il fine dell’adorazione (con la pratica del dhikr, il ricordo di Dio) e della devozione: si è veramente liberi, nella Via, nel trovare il ritorno in Dio, quando nella preghiera non entra nient’altro che Dio e nulla di “nostro”.
Aldo Strisciullo
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