Riflessioni sul Senso della Vita
di Ivo Nardi
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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Giuseppe Pulina
Maggio 2011
Giuseppe Pulina (Sassari, 1963) insegna filosofia in un liceo della Gallura e Antropologia filosofica e Filosofia delle relazioni internazionali presso l’Istituto Euromediterraneo – ISSR di Tempio Pausania, di cui dirige la rivista “Mneme Ammentos”. Ha all’attivo studi e pubblicazioni su Carlo Michelstaedter, al quale ha dedicato la monografia L’imperfetto pessimista. Saggio sul pensiero di Michelstaedter (Lalli, 1996), Capitini, Bernanos, Maritain, Jabès, oltre che diversi saggi sul rapporto tra etologia e filosofia, tra i quali: Minima Animalia – Piccolo bestiario filosofico (Mediando, 2005), Animali e filosofi (Giunti, 2008) e, in collaborazione con Francesca Rigotti, Asini e filosofi (Interlinea, 2010). La ricerca degli ultimi anni è caratterizzata dall’interesse per il personalismo e la filosofia cristiana. In questa direzione va la pubblicazione de L’angelo di Husserl. Introduzione a Edith Stein (Zona, 2008). Musica, filosofia e tematiche personalistiche confluiscono nell’ultimo scritto intitolato La cura. Anche tu sei un essere speciale (Zona, 2010), in cui l’autore indaga il background filosofico e la fitta trama di suggestioni filosofiche di una delle più note canzoni del panorama musicale italiano.
1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?
Quando si è felici, verrebbe da dire, non c’è domanda tanto urgente e grave da pretendere una risposta rapida, nemmeno se dovesse trattarsi di una questione di vita o di morte. Tutto può attendere, e la felicità sembra sospensione del tempo che comunque scorre. Ma se così fosse, la felicità sarebbe solo uno “scacciapensieri”, un poco efficace antidoto contro l’uggia dell’esistenza. Sospeso tra il Kant della Critica della ragione pratica e il meno commestibile Cioran, percepisco che la felicità può essere per me un’aspirazione di cui non sempre sento di essere degno.
2) Professore Pulina cos’è per lei l’amore?
Ho dedicato uno dei miei ultimi lavori alla possibile risposta da dare a questa eterna e capitale domanda. Il libro in questione s’intitola La cura. Anche tu sei un essere speciale e, come viene facile intuire anche dalla sua collocazione in una collana che parla di musica (“Le canzoni della nostra vita” dell’editore toscano Zona), ha a che fare con la nota canzone di Franco Battiato in cui si parla di amore senza mai pronunciare esplicitamente la parola “amore”. Ecco, ciò che vorrei è che l’amore ci dispensasse dall’usare sempre le solite parole.
3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
In questo le religioni possono osare molto di più delle filosofie. La filosofia che si misura con l’arduo tema del male cade inevitabilmente in una forma di teodicea. E se questo esito non è stato di proposito deliberato, quella che la filosofia in questione esperimenta è una deriva bell’e buona. Sono un credente, ma non riesco a fare mia la teoria che la caduta possa spiegare né, tanto meno, giustificare il male. Del male è impossibile farsi una ragione, e questa è, tutto sommato, la ragion sufficiente del mio credere.
4) Cos’è per lei la morte?
La morte è l’impensabile, l’assurdo che tiene in scacco il preteso senso dell’esistenza. Se non ci fosse la morte, non prospererebbero le religioni e non si darebbero le filosofie.
5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?
Potrei vivere come un buon credente, ma, sapendo di non meritare la patente di buon cattolico, mi accontenterei di essere un buon padre, un buon insegnante e un buon marito. Una volta dissi ai miei studenti che un buon padre non dovrebbe avere figli, non dovrebbe metterli al mondo, perché un buon padre dovrebbe amare i figli degli altri non meno dei propri. Mi osservarono sconcertati, pensando, forse non a torto, che il loro insegnante tutto poteva essere fuorché un buon padre.
6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?
Se così fosse, ci troveremmo tutti in una sorta di kantiano regno dei fini calato nella dimensione della mondanità. Ma è proprio così che spero che le cose siano. Tra le tante teorie sul senso delle cose spero proprio (come vede, “spero”, e non posso, perciò, dirmene assolutamente convinto) che a spuntarla sia alla fine qualcosa che somigli molto a questa teleologia non fatalistica che sento molto prossima alle mie convinzioni.
7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?
Che l’evoluzione della specie è quanto di più inversamente proporzionale ci sia con la nostra elevazione spirituale. Viviamo in tempi bui che nessuna luce artificiale saprà rischiarare.
8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Penso, come Fassbinder, che la paura sia capace di divorare l’anima. Il male è allora l’erosione dell’anima. Beati, perciò, quanti vi credono, perché sentiranno di avere un bene da proteggere, una missione da compiere.
9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?
Religione e filosofia, sant’Agostino e Michelstaedter, Edith Stein e Nietzsche, Maria Zambrano e Jacques Derrida, estremi relazionabili, tutto secondo una combinazione non brevettabile, passionale e cerebrale. E, malgrado questo, non credo che troverò mai soddisfacente una religione della ragione.
10) Qual è per lei il senso della vita?
Viviamo in un tempo in cui alla ricerca del senso si è sostituita la ricerca del senso del senso. Vorrei allora saper resistere all’artificiosità dei nostri stili di vita, ai cattivi maestri e alle insicurezze che con il passare degli anni, di sicuro, aumenteranno. L’ho detto: sono tempi bui e io mi sento, per citare lo zio Friedrich, sempre più simile all’uomo di oggi, di cui, ahimé, sono funestamente contemporaneo.
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