Scrittura e vita, simbiosi perfetta
di Matilde Perriera
Giacomo Leopardi, strumento ottico di vitale contraddizione
Novembre 2017
Giacomo Leopardi, con il suo pessimismo cosmico, sembra dar voce al cuore dei giovani delusi nel loro bisogno di autonomia e di esperienze personali, sempre altalenanti tra nervosismo e depressione, impotenti di fronte a un paese per il quale la meritocrazia è una chimera. Tante le interpretazioni critiche sulla complessità di questo “petit comte”(1) che, pur implacabilmente disfattista e sempre intento a crogiolarsi nella sua voluptas dolendi, ha maggiormente stimolato l'interesse degli uomini di cultura e la varietà di opinioni ne è, appunto, un indice particolarmente rappresentativo. All’evoluzione di giudizi ha contribuito la pubblicazione postuma di scritti che, pur non possedendo un valore artistico e speculativo autonomo, costituiscono un documento essenziale per ricostruire la storia della sua attività. “Le sombre amant de la mort”(2), il pallido amante della morte, a lungo, aveva vagheggiato di scrivere un’opera interamente autobiografica intitolata “Storia di un’anima, Vita di Silvio Sarno, un’analisi interiore di pensieri e affetti”; il progetto, apparentemente svanito, ha trovato un’implicita realizzazione nello “Zibaldone”, canto dello spirito, “operosa officina”(3), avventura mistica di un uomo rimasto vivo nell’animo di ogni lettore di tutti i tempi, scintigrafia della “spasmodica attesa di una felicità razionalmente impossibile ma salutata con affetto a ogni sua momentanea apparizione, da un lato, e la frustrazione della ricerca, dall’altro”(4).
La vicenda discontinua di attese e di delusioni fa riflettere. Nessuno, certamente, può mettere in dubbio la triste efficacia che hanno esercitato le sofferenze personali sul suo modo di concepire la vita e il mondo, ma il Grande recanatese, “poète de tous les hommes qui sentent”(5), ha protestato contro le “meschine volgarità”(6) di quegli avversari che ne presentavano il pessimismo come il riflesso di una condizione patologica. Che le prime ipotesi, generate dal livore clericale di Niccolò Tommaseo, siano da respingere, non c’è dubbio. “Il modo migliore, però, non consiste nel negare ogni incidenza della malattia e della conformità fisica nella genesi della visione del mondo di Giacomo Leopardi, ma “nel sottolineare la coscienza precocemente acuta che la deformità e l’infermità gli hanno dato del pesante condizionamento esercitato dalla natura sull’uomo”(7). Tale intuizione, peraltro, non si è affatto congelata in “un motivo di lamento individuale e nemmeno in un puro tema di poesia, ma è divenuto un formidabile strumento conoscitivo capace di dargli il LA per una rappresentazione del rapporto uomo-natura che esclude ogni scorciatoia religiosa e che, per il fatto di essere personalmente sofferta e artisticamente trasfigurata, non perde nulla della sua scientificità”(8).
Per la sua natura tanto complessa, la biografia del figlio del conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici attanagliato dal “mal du siècle”(9), condannato ante litteram dalla formula crociana della “vita strozzata”(10), ha un peso fondamentale, anche se non determinante, per lo studio delle sue opere. L’artista, infatti, cresciuto nell’orizzonte angusto di una cultura e di un costume arretrati e reazionari, ha reagito con estrema violenza all’egoismo e alla grettezza che lo circondavano isolandosi nella scelta esclusiva di un lirismo soggettivo, in cui prevale la trepida auscultazione del proprio cuore. Egli, disapprovando l’etica dominante nella sua età, “ha recato a perfezione l’esigenza romantica del patetico e del sentimentale, approdando inizialmente alla disperata lucidità del suo pessimismo cosmico”(11). Il De Sanctis, comunque, ha creduto di cogliere la positività del sentimento di vita leopardiano nel “generoso dissidio tra cuore e ragione”(12), in quel negare quelle stesse illusioni che, poi, tanto più dolorosamente alimenta in ogni soffio vitale, “producendo l’effetto contrario a quello che si era proposto perché è scettico e spinge a credere, odia il progresso e lo fa desiderare, odia la libertà e la fa amare, chiama illusioni la gioia, l’amore, la gloria e ne accende in petto un desiderio inesausto; mentre non crede possibile un avvenire men tristo per la patria comune, desta in seno un vivo amore per quella”(13) e, con la sua sofferta partecipazione alle battaglie ideologiche del suo tempo, infiamma l’animo di “intrepidi campion”(14) … Nel “Vincitore nel pallone”(15), con il suo “attendi, attendi” dalla funzione conativa e fàtica, per esempio, supera il vittimismo originato dal sole che con i suoi raggi infuocati affligge gli uomini per lasciare il posto all’egotismo attraverso cui dimostra l’impellenza di sotterrare l’indifferenza funesta verso i bisogni del proprio Paese. Giacomo Leopardi, in tal modo, fa percepire che, “se il destino gli avesse prolungata la vita, si sarebbe trovato, confortatore e combattitore, dietro le barricate del quarantotto e che, mentre chiama larva ed errore la vita, non si sa come, stringe più saldamente a quanto è nobile”(16), titanicamente proteso alla decisa volontà di non rassegnarsi al buio che circonda la propria vita.
Ciò che caratterizza la personalità leopardiana è “un impegno appassionato”(17), una inesausta passione per la collettività, “una protesta e una contestazione attiva contro tutto ciò che depaupera e avvilisce le forze del prossimo; i suoi veri avversari non sono gli uomini, ma le loro immagini degradate dalla viltà, dalle menzogne interessate o sciocche, dalle ideologie spiritualistiche, religiose, reazionarie”(18). Fertile conseguenza di tale bisogno di societas è lo sviluppo di un profondo senso democratico da cui nasce il suo rispetto per gli umili, gli uomini di tutti i giorni, modesti, antiretorici, che diventano i protagonisti del suo mondo interiore. Ecco il “fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù”(19), la Silvia(20) identificata erroneamente, forse, con Teresa Fattorini, più semplicemente pura immagine capace di “rendere vivo al poeta il ricordo della giovinezza e delle speranze dell’adolescenza”(21). Si sottintende, è vero, l’amarezza per una situazione precaria, ma, a fine lettura, difficilmente si ricorda il “pria che l’erbe inaridisse il verno”, prolessi della morte della ragazza, o “la faticosa tela”, che prelude a un inutile corredo, o “la mano”, che mostra “una tomba ignuda”; al lettore rimane nell’animo solo la suggestiva interpretazione della giovanile letizia affidata alle sensazioni positive di un quadro naturale armonico che, puntellato dal “maggio odoroso”, dal “cielo sereno”, dalle “vie dorate”, dalle “quiete stanze”, trasmette l’entusiasmo della fanciulla dagli “occhi ridenti” pronta ad assaporare un domani felice … Ecco la “donzelletta”(22) , che “vien dalla campagna” e apre lo sguardo su un microcosmo in cui nessuno passa inosservato; questo delizioso bozzetto rustico lascia scorrere spunti paesaggistici esemplari e fotogrammi intensissimi con le molteplici azioni dei compaesani che sottolineano, da un lato, l’ansia di ciascuno di finir presto il lavoro per godersi la tanto attesa vacanza e, dall’altro, la delusione delle aspettative. Se il pessimismo sembra la nota di sottofondo in questa grande sinfonia e tutto è pretesto per affermare che il sabato, allietato da speranza e gioia, somiglia all’età fiorita del “garzoncello scherzoso”, mentre la domenica sarà turbata dal pensiero del lavoro da riprendere, pur con l’apparente conclusione amara, è impossibile captare note negative intrappolate tra “mazzolin di rose e di viole”, il “lieto romore” dei fanciulli”, campane che echeggiano “al biancheggiar della recente luna”, animazione, serenità ... Ecco “Nerina”(23) … Incarna la Maria Belardinelli morta ventisettenne a Recanati? Forse … La Teresa Fattorini solitamente affiancata a Silvia? Forse … O, più genericamente, il mito di una fanciulla che “iva danzando”, ma “gita”, andata, fuggita prematuramente, lasciando la “rimembranza acerba” di una finestra, ora deserta, “ond'era usata” di parlare a Giacomo? Anche in questo Canto di magistrale levatura poetica, però, nessuna sofferenza o angoscia potrà mai cancellare l’incanto dell’atmosfera paesana vivificata dalle “scintillanti stelle dell’Orsa”, dalla bellezza degli “odorati colli”, dal sussurrare del vento tra i “viali” profumati, o far ignorare i “monti azzurri”, i primi moti d'amore che fanno "scolorire il viso", elementi tutti che sintetizzano la miracolosa armonia tra vita sognata e vita vissuta, stupendo paradigma sul valore dell'esistenza umana. Vittimismo, egotismo e titanismo si organizzano insieme persino nel Passero solitario(24), in un intrecciarsi continuo di riflessione amara ed esaltazione della vita in tutte le sue sfaccettature. Giacomo Leopardi è solo con i suoi problemi gnoseologici, incapace di unirsi alla gioia dei coetanei e quel canto di passero, che “erra per la valle finchè non more il giorno, è una cosa sola con il solitario e musicale rimpianto del poeta”(25). Natura matrigna? Assolutamente no, se questo animo vibrante e appassionato compie la magia di eternare il suo borgo alla vigilia della festa, la primavera nel suo pieno rigoglio, le campagne piene di messi, i cuori inteneriti, il cielo sereno, il belato del gregge, il muggire degli armenti, il din don di campane, i fuochi pirotecnici, e infonde la forza di invitare i lettori di tutti i tempi a reagire al destino. Tali riflessioni dimostrano che "diversi sono i modelli narrativi delle creazioni del poeta marchigiano, ma in tutti si ritrova un unico soggetto che è un cuore sempre in fibrillazione"(26), una forza propulsiva che lo ha guidato nel rifiuto di limitare le sue percezioni a quanto gli è stato trasmesso dagli occhi e dalle orecchie, un vigoroso richiamo interiore in grado di fargli capire come “spendere la vita per il dolore sia indegno dell'uomo. Per non soccombere alla disperazione e alla malinconia, ci si deve immergere profondamente in esso, come in un pozzo, viverlo completamente per ricavarne, poi, a colpi di scalpello, una scala di marmo che conduce al tempio della gioia"(27). Il cantore della “doglia umana”(28), tra endecasillabi e settenari alternati liberamente in strofe di lunghezza variabile dettate dal fluire del sentimento e dell’ispirazione poetica, interroga, si interroga, nasconde nel rimpianto una segreta dolcezza e sembra ribadire la coscienza che “esistere significa lottare per la sopravvivenza perché, per lui, vivere è sentire, anche se l’oggetto del sentire è il dolore”(29).
L’unicum della sua poesia, dunque, è, apparentemente, sempre lui stesso, che scruta la propria anima, spera o dispera, si accende o ripiega nella delusione, s’immerge nella contemplazione della bellezza, conscio della sua caducità, eppure, “appena si aprono i Canti, ci si accorge che l’oggetto della poesia trascende costantemente i limiti della sua personalità e mette a fuoco l’uomo, magari assalito nelle sue stolte ideologie e nelle sue tentazioni di cedimenti e di rinunzia, ma sostanzialmente e disperatamente amato”(30).
Ogni sua lirica, dunque, proiezione della dolente anima del poeta, “pare pianto, ma è un pianto raddolcito dalla speranza, dal desiderio d’amore”(31) e dal bisogno innato di attingere a piene mani in quel meraviglioso e terribile enigma che è la vita. L’UOMO, insomma, sa che “è funesto a chi nasce il di’ natale”(32) e che, di fronte alle vane speranze eternamente deluse degli uomini, s’innalza il demistificante “non so se il riso o la pietà prevale”(33); il POETA del “Canto notturno di un pastore errante(34), però, vince il misantropo perché il suo pessimismo si manifesta come rivendicazione vigorosa del diritto alla felicità e sollecitano il coraggio di verità e di resistenza ribelle”(35). Non vi sono dunque due Leopardi, “l’oscuro amante della morte”(36) e il vate eroico e titanico, ma la persona riservata che, dibattendosi tra il generoso slancio verso l’illusione e l’esplorazione coraggiosa del vero, in una lotta continua tra “pessimismo e progressismo”(37), pur navigando sull’onda della sua delusione storica e toccando i margini dei nichilismo più disperato”(38), segue sempre una linea attiva che culmina nella prospettiva di solidarietà combattiva dell’autodiegetica “ginestra odorata”, titanica interlocutrice gemella che, con il suo “dolcissimo odor”, consola il “deserto”, vivifica le campagne e si mostra pronta a sfidare il “torrente” dell’ “ignea bocca”. Resta davanti al lettore, perciò, un Leopardi nuovo, un “presago interprete di una renovatio materiale e morale”(39) che compie un generoso sforzo per fondare, sulla base del suo pessimismo, un’idea non illusoria di progresso e di felicità tesa a generosa utopia volta a cancellare l’infelicità addizionale “e tende a spegnere quell’odio che i suoi simili, a causa del male ricevuto, provano per altri uomini”(40)
Giacomo Leopardi inesorabilmente pessimista? NO perché egli ha creduto nella poesia e nella “sua minor sorella che è l'arte della parola”(41) … E gli adolescenti? Sapranno introiettare “la peculiarissima continuità fra ragione e sentimento in cui è riposta la caratteristica intrinseca dell’espressione lirica leopardiana”(42)? Riusciranno a cogliere la fortissima carica vitalistica che promana dai suoi versi e ne capteranno l’invito a ricordare che “niente viene edificato sopra la pietra, tutto sopra la sabbia, ma che ognuno ha il dovere di edificare come se pietra fosse la sabbia”(43)? E l’imperativo morale contro l’inerzia e la noia? E il fermo proclamare, pur nella sconfitta, la propria dignità di uomo? A una prima lettura, forse, sentiranno anch’essi che il loro “cor per poco non si spaura”(44), ma, poi, guidati dal grandioso effetto perentorio del “s’avessi io l’ale”(45), concentrandosi maggiormente su ogni sfumatura psicologica stenografata dall’esegesi e ritrovandovi dipinti quei valori che rischiarano come rari bagliori la loro vita, lasceranno scorrere per sempre i testi del “più romantico dei Romantici”(46) nella cineteca della memoria, accarezzandone la luce di speranza in una vita più alta che, brillando tra i versi, riscatta dalla violenza brutale della storia.
Matilde Perriera
NOTE
1) N.Tommaseo, Lettre de Tommaseo à Alessandro Poerio, 13 octobre 1836
2) Alfred Louis Charles de Musset-Pathay, Poètes modernes de l’Italie – Leopardi, 1844
3) Giosuè Carducci, Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Postumo, 1898 / 1900
4) Pazzaglia, La letteratura, Vol. 3°, 1993
5) Charles Lebreton, Epistolario – Lettera a Leopardi, 8 marzo 1836
6) Leopardi, Lettera a1 De Sinner, 1832
7) Sebastiano Timpanaro, La lucida coscienza dell’infelicità umana, 1965
8) Sebastiano Timpanaro, Ibidem
9) Umberto Bosco, Il titanismo leopardiano, 1957
10) Benedetto Croce, Poesia e non Poesia, 1923
11) Mario Fubini, Romanticismo italiano: saggi di storia della critica e della letteratura, 1953
12) Francesco De Sanctis, Dissidio cuore- ragione in Leopardi, 1883
13) Francesco De Sanctis, Dissidio … , Ibidem
14) Giacomo Leopardi, A un vincitore nel pallone, 1821
15) Giacomo Leopardi, A un vincitore …, Ibidem
16) Francesco De Sanctis, Dissidio … , Ibidem
17) Walter Binni, Un impegno appassionato, 1969
18) Walter Binni, Un impegno appassionato, 1969
19) Giacomo Leopardi, Zibaldone, 30/6/1828
20) Giacomo Leopardi, A Silvia, 1828
21) Giuseppe De Robertis, in G. Leopardi, Canti, Mondadori, 1978
22) Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio, 1829
23) Giacomo Leopardi, Le ricordanze, 1829
24) Giacomo Leopardi, Il passero solitario, 1819-20
25) Attilio Momigliano, Dettagli … Ibidem
26) Mario Fubini, Romanticismo italiano: saggi di storia della critica e della letteratura, 1953
27) Zenta Maurina Randive, Poesie , 1965
28) Giosuè Carducci, Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi, 1898
29) Walter Binni, Un impegno appassionato, 1969
30) Umberto Bosco, Il titanismo leopardiano, 1957
31) Umberto Panozzo, Belle lettere antologia letteratura italiana Vol., 2., 1969
32) Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, 1829/1830
33) Giacomo Leopardi, La Ginestra, 1836
34) Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, 1829/1830
35) Walter Binni, Un impegno …, Ibidem
36) Alfred Louis Charles de Musset-Pathay, Ibidem
37) Sebastiano Timpanaro, Classicismo e Illuminismo nell’Ottocento italiano, 1965
38) Walter Binni, Un impegno …, Ibidem
39) Giovanni Pascoli, Il presago interprete di una renovatio materiale e morale – Giacomo Leopardi, in giornale.regione.marche.it
40) Giacomo Leopardi, Lo Zibaldone, 2/1/1829
41) Francesco Flora Storia della parola leopardiana, 1940
42) Cesare Luporini, Leopardi e la delusione storica, 1947
43) Jorge Luis Borges, il libro di sabbia, 1975
44) Giacomo Leopardi, L’infinito, 1819
45) Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, 1829/1830
46) Attilio Momigliano, Dettagli … Ibidem
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
|