Home Page Riflessioni.it
Riflessioni sul Sacro

Riflessioni sul Sacro

di Tiziana Ciavardini   indice articoli

 

Danzando ho incontrato Dio

Giugno 2012

 

La danza è stata chiamata la più antica delle arti. Per ogni cosa è necessaria e non esiste avvenimento nella vita dei popoli primitivi che non sia consacrato alla danza. Nascita, circoncisione, iniziazione delle fanciulle, nozze e morte, semina e raccolto, onoranze ai capi, caccia, guerra e banchetti, lunazioni e infermità. danza borneoPer darle una definizione plausibile, essa è “un modo istintivo d’espressione muscolare dei sentimenti”, sia nell’uomo che in altri animali, particolarmente, negli uccelli; ovvero, in senso più stretto, è il movimento ritmico di una o più parti del corpo, o dell’intero corpo, in conformità di uno schema d’azione individuale o collettiva. L’importanza della danza risale ai tempi dell’antica Grecia, la quale ci ha lasciato due lavori importanti: il primo è un lavoro di Athenaeus all’inizio del III secolo d.C. intitolato Deipnosophistai, che contiene alcune discussioni di un certo numero di persone illustri sui differenti aspetti della vita. Athenaeus si rammaricava del fatto che la danza si fosse deteriorata ed avesse perso le caratteristiche salienti, quali la modestia, la disciplina e l’attenzione per l’intero corpo che precedentemente esisteva in Grecia. L’altro lavoro, è un testo di Luciano (o Pseudo-Luciano) del II secolo d.C. in cui si assiste alla conversazione di due amici dei quali uno è a favore della danza mentre l’altro è contrario. Anche Platone rivolse le sue attenzioni alla danza, e nelle Leggi asserì che solo un tipo di danza era approvata: quella nobile. Essa doveva contenere gli elementi dell’imitazione che non dovevano essere però una copia, ma dovevano indurre lo spettatore, ad un tipo particolare d’esperienza: quella di riprodurre un’emozione.
Nella sua importanza particolare per la vita e la prosperità della tribù nelle società tradizionali, essa deve respingere tutto ciò che è approssimativo e frutto dell’improvvisazione. Le feste di danza diventano allora l’oggetto di una preparazione che dura settimane, mesi e perfino anni, finché chi la compie ha la padronanza di ogni movimento e di ogni gesto.
Originariamente il tempo si segnava battendo il piede a terra; a volte con il gomito e il ginocchio. Il suono sordo provocato battendo un piede a terra, si accompagnava al suono prodotto battendo la mano su una qualsiasi parte del corpo: avambraccio, fianchi, ventre, natiche, cosce diventano altrettanti strumenti musicali. In tutto il mondo, e in ogni tempo, oltre al dar colpi con i piedi si conserva ancora oggi solo il battere delle mani. danza borneoPer quanto vengano spesso citate nei resoconti etnografici relativi al Borneo, di avventurieri e di viaggiatori, le danze sono rimaste quasi sempre sullo sfondo dell’attenzione di etnomusicologi e di antropologi, che raramente le hanno prese in considerazione in quanto fatti culturalmente rilevanti, infatti, non esiste in realtà uno studio sistematico relativo ad esempio alle danze delle popolazioni Dayak del Borneo. Nel secolo scorso C. Hose aveva messo in evidenza l’importanza della danza all’interno della vita quotidiana delle etnie Kayan e Kenyah; dalle sue ricerche si evinse che sia i ragazzi sia le ragazze imparavano quest’arte intorno all’età della pubertà. Joan Seeler una giovane studiosa morta prematuramente aveva dedicato parte dei suoi studi alle danze delle popolazioni del Sarawak, riscontrando che le danze tradizionali presso queste popolazioni variano il loro stile e il loro significato secondo l’occasione per le quali vengono presentate. Le danze in Borneo, in particolare quelle ballate per semplice compiacimento hanno dei movimenti lenti ben controllati e sono ripetitive, quasi monotone, mentre ben diverse sono le danze di guerra. Presso gli Iban è chiamata Ngajat, la danza di guerra e ancora oggi è rappresentata; essa riproduce una scena tipica della guerra per la caccia alle teste. Il danzatore svolge un rito propiziatorio prima dell’inizio indossa il tradizionale abito da guerra e porta sulla testa alcune piume dell’uccello hornbill. C. Hose affermava che questo uccello fosse l’incarnazione del potente dio della guerra Toh Bulu. Indossare queste piume poteva avere un duplice significato: quello di onorare il dio e quello di assimilare parte dei poteri e del coraggio che il dio rappresentava. Il danzatore, munito di spada (mandau) e di scudo, si muoveva lentamente intorno ad un altro danzatore che imitava il nemico cercando di colpirlo con una ferita mortale. Dopo averlo ucciso, prendeva la testa trofeo e danzava con essa in mano. Diversamente dagli altri tipi di danza del sud-east asiatico in particolare quelle di origine Indù, il movimento delle mani delle danze dei Dayak del Borneo non sembra avere dei significati speciali. Un altro tipo di danza che viene spesso eseguita è quella di guarigione, spesso il danzatore ha ricevuto in sogno o attraverso dei messaggi sovrannaturali l’ordine di danzare. I movimenti iniziano come fosse una marcia, spesso intorno al malato e poi proseguono in una corsa in cui il danzatore spesso raggiunge la perdita di coscienza. E’ stato più volte osservato in queste danze l’imitazione dell’uccello hornbill o degli altri uccelli augurali che vengono chiamati prima dell’inizio del raccolto. Chi cercava di danzare imitando l’animale era spesso preso da uno stato d’ebbrezza. Come afferma Sachs questo stato di “estasi, fa nascere in lui la forza degli spiriti il potere di entrare in relazione con il sovrumano e di agire avvenimenti della vita quotidiana”. Essere invasato, trasfigurarsi, valicare i confini dell'umano trasformandosi in bestie o in Dio, è possibile all’uomo solo quando si trova in uno stato di ebbrezza. Soltanto nell’ebbrezza si sciolgono i legami con la vita quotidiana allorché una forte emozione, gioia o tristezza, amore e collera o paura, prenda il sopravvento, sicché la volontà e il pensiero si spengono e il corpo, sfuggendo al loro dominio, esagera i movimenti abituali o li ordina nel ritmo della danza.
Presso gli antichi Germani, l’estasi sopravveniva nel momento in cui il danzatore indossava una pelle d’animale, la pelle era sufficiente ad annullare l’io, la personalità del danzatore, fino a infondere in lui lo spirito dell’animale.
La danza imitativa è legata al corpo. Essa parte dal concetto che l’imitazione di gesti e atteggiamenti siano sufficienti a captare una forza e a servirsene, mentre quella non imitativa è liberatoria; i suoi movimenti servono a elevare l’individuo al di sopra della consueta materialità, finché con la scomparsa dell’attività sensoriale, il subconscio diventa libero; essi esaltano le forze spirituali nell’estasi. Chi esegue una danza imitativa è posseduto dal suo ruolo: l’individuo, l’animale, lo spirito, il dio che rappresenta, s’impadronisce del suo corpo: il danzatore diventa animale, spirito, dio e deve agire come agirebbe l'essere che è divenuto, deve operare, dare, benedire.
La danza come culto, o come spettacolo, rappresenta in ogni caso un’uscita da sé afferma A. Di Nola come occasionale ripudio della normalità esistenziale e della routine ordinaria della vita, e come acquisizione di una dimensione di essere diversa. Il danzatore si sente di volta in volta animale cacciato e cacciatore, dio ed eroe mitico, essere carico di eccezionali energie sessuali, astro, luna sole ecc. Tale uscita da sé non è tuttavia una finzione, ma una realtà storica e psicologica nel senso che i partecipanti alla danza non avvertono il reale distacco scenico o mimetico fra il personaggio rappresentato e chi lo rappresenta. Il danzatore è, in altre parole, il portatore di un’energia che può apparire magica per le conseguenze efficaci positivamente o negativamente che promana.

 

Tiziana Ciavardini

 

Altri articoli sul Sacro di Tiziana Ciavardini


BIBLIOGRAFIA

Sachs, C., Storia della danza, Norton, New York, 1963

Di Nola, A., Enciclopedia delle religioni, Vellecchi Editore, Firenze 197

Hose, C., Natural Man, Oxford University Press, Singapore, 1990

Seeler, J., “Some notes on Traditional Dances of Sarawak”, in The Sarawak Musuem Journal, vol. XVII, Kuching, 1969

Agamennone, M., Facci, S., Giannattasio, F., Giuriati, G., Grammatica della musica etnica, Bulzoni Editore, Roma, 1991


I contenuti pubblicati su www.riflessioni.it sono soggetti a "Riproduzione Riservata", per maggiori informazioni NOTE LEGALI

Riflessioni.it - ideato, realizzato e gestito da Ivo Nardi - copyright©2000-2024

Privacy e Cookies - Informazioni sito e Contatti - Feed - Rss
RIFLESSIONI.IT - Dove il Web Riflette! - Per Comprendere quell'Universo che avvolge ogni Essere che contiene un Universo