Riflessioni su Nulla
di Vittorio Sechi indice articoli
Una storia semplice.
Gesù
Terza parte - Luglio 2017
Una delle polemiche più accese che nel corso dei secoli ha coinvolto la figura dell’uomo chiamato Gesù è la sua controversa appartenenza al popolo eletto. Non tanto in relazione alla sua nascita – quella non è mai stata messa in discussione. La tradizione ne attesta, senza tema di smentite (quantomeno sensate), l’appartenenza -. Bensì, è dubbia l’adesione alla dottrina ed ai dettami della religione giudaica, che in quei tempi infervorava gli animi degli abitatori di quella landa del pianeta.
Quale fu il contegno tenuto nel corso dei tre anni che la tradizione afferma fosse la durata del suo magistero? E’ possibile ricavare dai testi una risposta sensata e verosimile sufficiente a dissipare i dubbi che si addensano e fornisca una risposta ultimativa circa la sua adesione all’ebraismo? Il tema, come naturale, è delicato. Da una sua risposta positiva o negativa dipende la fondatezza delle pretese della Chiesa di Roma di essere la custode della nuova fede diffusasi nel mondo. Pur non credendo possa esistere una risposta risolutiva, è però possibile provare a porre la questione in termini critici.
Vediamo dove ci conducono queste riflessioni.
Gesù Ebreo:
E’ universalmente risaputo e riconosciuto che Gesù fosse un ebreo, almeno per nascita. Nasce e cresce in un ambiente giudaico. Tutto intorno a lui trasudava giudaismo. Non è davvero possibile contestare la sua appartenenza di sangue al popolo di Dio. Quanto fosse anche un ebreo osservante è materia di dispute accese e confronto. Non poté essere cristiano per ovvi ed evidenti motivi: non gli sarebbe stato possibile esserlo.
Ma che significato assumeva in quel tempo essere ebreo? Non si trattava di uno status civile legato esclusivamente alla nascita, poiché essere ebreo significava anche essere, ipso facto, osservante. Non dunque la sola nascita era sufficiente a certificarne l’appartenenza. Il giudaismo, allora come in buona misura ancor oggi, informava l’intera vita di quella popolazione. Ne scandiva i tempi, imponeva regole ferree di comportamento, anche alimentari e igieniche, per non parlare di quelle cultuali. Non è certo agevole confrontarsi razionalmente sulla querelle che ruota intorno al fatto se egli intendesse o meno fondare una nuova religione. Troppo difficile acquisire certezze in merito. Non credo sia possibile inferire circa la sua cristallina intenzionalità. Piuttosto, la religione – nuova, come nuovo è stato il suo insegnamento (ci torneremo dopo) – potrebbe essere stata soltanto una conseguenza diretta e immediata della predicazione e dell’agire di colui che a torto o a ragione ne è considerato il fondatore.
La disputa che ruota attorno alla figura del Gesù ebreo, nel senso sopra chiarito, è una querelle che ha coinvolto e tuttora coinvolge ed appassiona una sempre più nutrita schiera di studiosi, ed è sorta e si è sviluppata nell’ultimo scorcio del secolo scorso. Non è facile comprendere le ragioni che l’hanno alimentata, giacché non pare troppo sensato attorcigliarsi intorno ad una disputa la cui soluzione non è data alle nostre capacità d’analisi, conoscenza e intuizione.
Dai documenti storici emerge con chiarezza solo che in seguito alla comparsa sulla desolata e cruenta landa di Palestina di un personaggio particolarissimo, dal carisma non comune e che, sempre a torto o a ragione, qualcuno volle identificare come il Messia degli ebrei – uno dei tanti -, prese forma e si affermò nel mondo intero una nuova religione che aveva come proprio fulcro ed elemento qualificante l’amore per il prossimo. Un nuovo baricentro intorno al quale tutto ruota: l’amore incondizionato. Non più dunque l’ossequio al Libro, bensì l’instaurarsi di un rapporto simpatetico con un’entità sovradimensionale e con il prossimo.
Si tratta di un vero e proprio strappo rispetto al modo di vivere il culto da parte dei giudei. La centralità delle Scritture era messo in discussione da un contegno che recava scandalo ed esacerbava le coscienze dei devoti al culto di Yhwh.
Lo strappo fu una conseguenza diretta ed immediata del magistero di Gesù.
Osservando il contegno tenuto in svariate circostanze in quei tre anni di predicazione a riguardo di molteplici questioni, appare subito evidente quanto risulti difficile collocare il suo insegnamento nel solco della tradizione, se non operando un’evidente e non giustificabile forzatura. Seppure si possa con buone ragioni inferire che non vi fosse alcuna intenzionalità da parte di Gesù, tale ‘insegnamento’, in buona misura, non può che essere inquadrato al di fuori del canone ebraico, andando ad istituire così una nuova forma di culto, non più incentrato sulla letteralità del verbo mosaico.
Per meglio comprendere questo passaggio, onde evitare l’usuale aggroviglio intorno a dimostrazioni irrelate, prive di fondamento e per certi versi preconcette, è opportuno far ricorso ed attingere all’unica fonte documentale in nostro possesso: la letteratura testamentaria, canonica, soprattutto, e non, non disdegnando qualche spigolatura fra le pagine dell’opera di Benedetto XVI. Nessuno si meravigli o scandalizzi. Credo che l’ex Pontefice abbia saputo offrire un’opera altamente meritoria dal punto di vista della critica teologica, fra l’altro una delle poche in ambito cattolico.
Gesù rivoluzionario:
La figura di Gesù ha dato adito ad un’innumerevole quantità di definizioni, interpretazioni e letture diverse. Non è agevole oggi, a quasi 2000 anni da quella che la tradizione vuole sia stata la sua infamante morte in croce, individuare ciò che è o potrebbe plausibilmente essere realtà e testimonianza veritiera, e quanto, invece, è assai più plausibilmente parto della devozione del tempo coevo e di quello successivo. Non è, infatti, facile selezionare, dal coacervo di documentazione pervenutaci in due millenni, quel che è genuino e autentico da quel che ha il sapore dell’apologetica.
Fra le tante, una delle rappresentazioni più romantiche che certa autorevole esegetica ci ha tramandato è quella dell’eroe rivoluzionario, senza con ciò voler togliere nulla alle qualificazioni divine attribuite, a torto o a ragione, a Gesù.
Pur con alcune riserve, inevitabili quando il discorso si sviluppa intorno ad una figura emblematica e complessa come quella di Gesù, allineandomi alla maggior parte degli studiosi, ritengo che quanto tramandatoci dalla tradizione più verosimile ben si attagli alla personalità del rivoluzionario. Con un avvertimento, però: a patto che al termine ‘rivoluzionario’ si annetta il significato suo proprio, cioè quello di sovvertitore dell’ordine costituito.
Tale convinzione prende le mosse dalla caratterizzazione del personaggio e dalle notizie – tutte inevitabilmente d’origine evangelica – riguardanti la sua missione e il suo insegnamento.
La rigidità del costume ebraico del tempo non contemplava la possibilità di uno sconvolgimento dei canoni religiosi, inclusi nella Legge mosaica, sedimentatisi nel corso di secoli e derivati direttamente dalla Parola di Dio. Postulare un sovvertimento della legge mosaica, presumeva, infatti, che il sovvertitore attingesse la sua autorità a ben diversa e superiore fonte rispetto a Mosè. Deriva da questo stravolgimento il concetto di “compimento dell’antica alleanza”. La prudenza dovette aver suggerito di evitare di propagare il concetto di una nuova legge che si contrapponeva, sovvertendola, a quella vecchia.
La legge mosaica è diretta emanazione di Dio (il Dio del Roveto). Solo Dio poteva rimodulare, riformulare e sovvertire se stesso. Insinuare che Gesù avesse sovvertito la vecchia legge comportava l’accusa di blasfemia, con le conseguenze che lo colpirono. È proprio l’intera vicenda che ruota attorno alla figura storica di Cristo a deporre a favore non di una semplice rimodulazione dell’antica legge, bensì a vantaggio di una sua riscrittura ex novo, quindi di un suo sovvertimento. Lo stesso Gesù, probabilmente per prudenza, evita di avvalorare questa interpretazione. Eppure il suo contegno fu quello di un nuovo legislatore che non si pone nel solco tracciato dai predecessori.
Vittorio Sechi
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