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Riflessioni su Nulla di Vittorio Sechi

Riflessioni su Nulla

di Vittorio Sechi   indice articoli

 

Abitare

Gennaio 2017

 

Troppe volte mi sono imbattuto in questo verbo. Credo abbia un significato particolare, un suono tutto suo, che va ben oltre le vocali e consonanti che lo compongono. Vuol sempre dire risiedere in un luogo, ma non necessariamente il luogo deve essere fisico, potendo ben essere anche un luogo onirico o dell’anima. Mi ha sempre incuriosito, anche se non riuscivo mai a coglierne il senso. Oggi son convinto che abitare significhi principalmente “stare nel mondo” con tutto il proprio Sé.

Mi piace il verbo abitare!

Perché significa prendere dimora, ovverosia riempire uno spazio vuoto, riducendo così la distanza che si crea fra i due capi di un filo teso che tiene discosti due o più io pensanti. Dimorare significa stare, essere in un luogo che hai scelto come casa, e sentirsi a casa propria esprime il desiderio di voler aver cura di sé, pur conservando e alimentando una disposizione verso ciò che staziona al di fuori di sé.

È un modo di essere fra tanti altri io; assume quindi il valore di comunità, che ha la medesima radice etimologica di comunicare. Abitare è, dunque, una modalità di stare nel mondo in maniera dinamica, comunicando con tanti altri io. Della comunicazione ne rappresenta l’impulso originario.

È un verbo di prossimità perché, contraendo le distanze, approssima agli altri che non son te stesso, esprimendo così il senso di tensione verso il prossimo, alla ricerca di punti di contatto. Abitare riempie lo spazio vuoto esistente fra il dito di Adamo e quello di Dio, nel magnifico affresco di Michelangelo.

È la pietra d’angolo che si posa quando si edifica la complessa struttura delle relazioni fra le persone. È una modalità di condurre sé stesso fuori dal proprio io per approcciare altri sé che costituiscono meravigliosi universi dai mille cangianti colori.

Abitare è anche esserci, soprattutto quando si è presenti a se stessi, perché è uno star davanti, presentandosi al proprio animo e comunicando con lui. Si popola lo spazio vuoto esistente fra il cuore e il pensiero, e si sosta estasiati, “in timore e tremore”, ad osservare il ribollio del magma incandescente che riscalda il cuore. Si crea una via di transito al flusso sulfureo delle emozioni e dei sentimenti, affinché coagulandosi e sedimentandosi non si depositino nel fondo dell’anima producendo miasmatiche esalazioni che alla lunga ammorbano l’essere.

Si abita una speranza quando la si vive come la possibile realizzazione di un impossibile. Allora si opera ed agisce in funzione di quanto la speranza stessa ha delineato nell’orizzonte del tempo, affinché la meta divenga un approdo e non solo un miraggio sconsolante. E le energie son poste al servizio del viaggio da compiere per conseguire la meta. Non importa se poi questa la si raggiunga o meno, quel che conta è il viaggio e l’insieme di sentimenti ed emozioni che in esso s’investe. Perché investire in un sogno o in una speranza è dar senso al percorso che si compie.

Si abita la fede quando si sente scorrere dentro le vene quell'oltre che infervora l’essere. Perché è vivere oltre l’angusto spazio delimitato dai sensi ed entrare in contatto con quel qualcosa che supera l’uomo; che non si vede ma si sente; non si comprende ma di cui si percepisce un tenue sussurro espresso in versi e musica; che rapisce restituendoti a te stesso. E non importa se si tratta di una fede vana, di un qualcosa di caduco, ciò che conta è che riempia di meraviglia e stupore ogni sguardo, che intinga di senso e significato ogni passo, ogni andare e stare.

Si abita il dolore quando non lo si cela a sé stessi, ma lo si affronta per superarlo e depositarlo così nell'antro dei ricordi che nutrono le esperienze. Lo si osserva, ci si entra in contatto e ci si misurano le forze. Solo così è possibile reperire il capo del filo da utilizzare per suturare le ferite che la vita ha inciso nell’anima. Non lo si ottunde con futili guizzi di piacere che lo avvolgono con una gelatinosa patina di gioia artefatta, perché così lo si fortifica rendendo impossibile perforarne la dura scorza. Poco importa se quel dolore non smette di emettere i suoi lamenti, quel che davvero ha valore è l’essere riusciti ad esorcizzarlo ed aver trasformato la sua fosca e minacciosa voce in un tenue nostalgico richiamo denso di malinconia, che non intristisce ma reca calore.

Si abita un amore quando lo si coltiva senza soffocarlo con ansie ed inquietudini, lasciandolo fluire libero come un flusso che ti vive dentro, che nutre l’animo senza mai ammorbarlo col vile timore di perderlo. Abitare un amore vuol dire depositare quel sentimento e le emozioni che lo accompagnano nel profondo dell’animo e reperire in questo forziere le irrazionali ragioni che riempiono l’essere di gioia, avvolgendolo di un’aura luminosa che danza insieme al creato. L’amore non è verso l’altro o l’altra, ma è deposito del cuore di chi s’innamora; quando è corrisposto, i due accumuli respirano all’unisono e s’incontrano nel cammino, riempiendo la distanza che li separa. Non importa se l’amore si spegne come un fuoco di paglia, quel che conta è il deposito di emozioni e sentimenti che riempiono di senso quel tratto di strada percorso.

Si abita la vita quando sai coglierne la meraviglia e lo stupore. Quando è rapimento e la si celebra ogni giorno con la presenza e non con la fuga. Abitare la vita significa dimorare al suo interno, occupandone gli spazi interni, rifuggendo i margini e i bordi, perché è il suo cuore il giardino più rigoglioso, impreziosito com’è di frutti succulenti che ti si offrono affinché li possa cogliere per farne dono all’anima. Vivere è rifiutare di cedere al timore che gli stessi marcendo si trasformino in patimento e dolore, avendo coscienza che la vita è infiorescenza ma anche degrado e disfacimento. Il rifiuto dell’oscurità implica anche la rinuncia al sole e all’aria aperta, poiché la vita è crepuscolo che si rigenera nell’alba, e non si può avere timore delle ombre perché si rischia di essere tentati di sfuggire la luce che le produce. Abitare la vita è prendere dimora in quegli spazi ove il sole risplende avendo coscienza che quel lucore è anche la causa delle ombre che si proiettano sui muri. Significa soggiornare negli spazi esterni all’anima, senza con ciò rinunciare a vivere e colloquiare con il proprio intimo.

Noi viviamo nel mondo ma spesso non ci rendiamo conto che abbiamo perso la capacità tipica dei bambini di abitarlo, limitandoci più che altro a stazionarci sopra, e così sopravviviamo ogni giorno a noi stessi. Per poterne veramente abitare ogni meandro e gustarne ogni sapore, dobbiamo prima di tutto dimorare nel nostro cuore, perché è in questo muscolo, proprio lì, che la vita pulsa più freneticamente.

Abitare è il verbo più ricco del vocabolario.

 

   Vittorio Sechi

 

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