Riflessioni Sociologiche
di Ercole Giap Parini
Soggetti e nuove tecnologie tra dimensione sistemica e nuove socialità
Di Paolo Fedele. Gennaio 2009
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Paolo Fedele affronta, con questo articolo, la questione, stringente quanto attuale, della ridefinizione del sociale in un’epoca densa di infrastrutture dell’informazione, in particolare di tipo digitale. Partendo da una classica (per le scienze sociali) definizione della coincidenza tra il sociale e la comunicazione, Paolo mette l’accento sul carattere coevolutivo del sociale e dei contesti e infrastrutture della comunicazione. Dalla fase orale a quella della carta stampata e a quella dei mass-media si è assistito ad un processo di reciproca trasformazione dei due ambiti che ha condotto alla ridefinizione continua delle modalità e delle condizioni concrete in cui si dà il sociale. Con la più recente fase, che vede l’ingresso massiccio delle infrastrutture digitali e delle reti telematiche, Paolo intravede una trasformazione sostanziale nel distacco dei soggetti dalla comunicazione (che diviene sempre più appannaggio di reti sociotecniche) e, quindi, del sociale dall’individuale.
Paolo Fedele (Cosenza) è Dottore di Ricerca in “Scienza Tecnologia e Società”, titolo conseguito all’Università della Calabria. I suoi interessi spaziano dalla sociologia dei processi comunicativi alla teoria sociologica, con particolare riferimento alla teoria dei sistemi. Tra le sue pubblicazioni, Il computer di casa. Processi di informatizzazione nell’ambiente domestico fra adattamento e creatività (Pellegrini 2007).
Ercole Giap Parini
Soggetti e nuove tecnologie tra dimensione sistemica e nuove socialità
Nell’ambito degli studi sociologici è ormai diffusa l’opinione che la società sia sempre più caratterizzata da una crescente penetrazione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Si tratta di un processo di “informatizzazione” della società che investe molti ambiti: dall’economia alla politica, dall’educazione agli angoli più intimi e privati della nostra vita quotidiana.
Già a partire dagli anni settanta, sociologi come Bell (Bell, 1974) e Touraine (Touraine, 1970) indicavano con il nome di “società postindustriale” la nuova società fondata sulla conoscenza teorica e sull’informazione.
La questione dell’informazione quale risorsa indispensabile e centrale della società postindustriale (o dell’informazione) è riproposta da Lyotard (Lyotard, 1981). Secondo Lyotard, con la diffusione delle nuove tecnologie e con la possibilità di tradurre il sapere in linguaggi-macchina si trasforma la “natura” del sapere nella società. L’incidenza di questa trasformazione sembra destinata ad essere considerevole soprattutto per quanto riguarda la ricerca scientifica e la trasmissione delle conoscenze.
Ma la questione dell’informatizzazione del sociale non riguarda semplicemente l’applicazione delle tecnologie nella sfera produttiva o la trasformazione del sapere in linguaggi-macchina, ma più in generale riguarda le nuove modalità di raccordo fra i vari sistemi sociali e fra i sistemi sociali e i soggetti. Si tratta in questo caso di evidenziare l’emergere di una nuova struttura sociale caratterizzata dalla mediazione tecnologica della comunicazione, cioè dall’emergere, in una società fortemente contrassegnata dalla presenza delle nuove tecnologie, di legami sociali mediatizzati.
Tale mediazione tecnologica della comunicazione è riscontrabile sia nelle relazioni fra macro e macro, ossia i rapporti fra sistemi sociali con altri sistemi sociali (come ad esempio gli scambi informativi e comunicativi di flussi finanziari tra banche o borse valori), sia nelle relazioni tra macro e micro, ossia i rapporti fra sistemi sociali complessi (organizzazioni, istituzioni ecc.) e soggetti (come ad esempio l’uso del bancomat o le diverse esperienze di usi telematici nei rapporti tra pubbliche amministrazioni e servizi di welfare pubblico, da un lato, e i singoli cittadini-utenti, dall’altro).
In definitiva, le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione informano il sociale, cioè le nuove tecnologie danno forma a nuove modalità comunicative. Non si tratta di privilegiare interpretazioni della società di tipo deterministico: la tecnologia non determina la società, ma la incarna (Castells, 1996). Tutto questo vuol dire che la società è soprattutto comunicazione (Luhmann-De Giorgi, 1992) e in quanto comunicazione non è possibile comprenderla o interpretarla senza i suoi strumenti tecnologici.
Da questo punto di osservazione, il sociale è in primo luogo un piano emergente che nasce dall’interazione comunicativa tra soggetti. E’ la comunicazione che rende possibile la formazione e l’autopoiesi del sociale. La comunicazione è infatti l’unica operazione genuinamente sociale in quanto presuppone il concorso di almeno due sistemi di coscienza (basti pensare alla semplice interazione tra Ego e Alter, caso particolare di sistema sociale), ma essa non riguarda né Ego né Alter, piuttosto è una “realtà emergente” che si stacca sia da Ego sia da Alter. In questo senso, la comunicazione è sociale in quanto presuppone la coscienza, senza coscienza la comunicazione è impossibile. Ma la coscienza non è né il soggetto della comunicazione né il sostrato della comunicazione. La comunicazione è appunto una “realtà emergente” perché è qualcosa in più dei singoli che comunicano e nello stesso tempo qualcosa in meno. La comunicazione è qualcosa in meno in quanto non tutti i pensieri sono comunicati e comunicabili; è qualcosa in più perché ogni comunicazione si apre alla dimensione ermeneutica, cioè ogni comunicazione è esposta all’interpretazione e quindi anche al fraintendimento (anche senza accordo la comunicazione funziona) e, inoltre, attiva nuova comunicazione, cioè ogni comunicazione è esposta a nuova comunicazione (ricorsività della comunicazione). Dire quindi che il sociale (la comunicazione) è un piano emergente vuol dire soprattutto che il sociale (la comunicazione) è un’esperienza situata oltre la singolarità e che si costituisce come vita d’insieme, relazionale, a doppia contingenza. In un certo senso, il sociale è incessante superamento della singolarità.
Ma la comunicazione oggi va intesa e interpretata a partire dall’evoluzione dei media, cioè la comunicazione (il sociale) può essere osservata solo nella prospettiva evolutiva dei media. Il sociale così inteso appare quindi come un prodotto co-evolutivo di comunicazione e media, in cui la comunicazione acquista spazi sempre maggiori in virtù di un processo evolutivo dei media (oralità, scrittura, stampa, mass-media, computer, reti telematiche, realtà virtuale, ecc.).
Un tempo (fase dell’oralità), la comunicazione avveniva tra soggetti che condividevano una stessa dimensione spazio-temporale, cioè i soggetti erano calati in un ambiente sociale condiviso sia fisicamente che cognitivamente (psicologicamente). La comunicazione era, a sua volta, inserita in una dimensione simbolica condivisa dai soggetti (Ong, 1986). Infatti, non tutto era possibile comunicare: la comunicazione era sottoposta ai vincoli della religione e del segreto, che ne limitavano la circolazione. L’accesso avveniva solo attraverso riti di iniziazione. Possiamo dire che la comunicazione era soprattutto relazione tra due soggetti, o meglio che la comunicazione (il sociale) dipendeva dai soggetti. E’ questo il mondo tribale descritto da McLuhan (McLuhan, 1962; McLuhan, 1986).
Con la nascita della scrittura prima (soprattutto quella alfabetica) e con l’invenzione e la diffusione della stampa poi, la comunicazione subisce una prima trasformazione. Alla condivisione della dimensione spazio-temporale, grazie alla stampa è ora possibile comunicare a distanza; non solo comunicare a distanza, ma anche comunicare con il non contemporaneo. Si possono leggere libri di autori morti da molto tempo e attualizzarli. Paradossalmente con la stampa da un lato aumentano le distanze fra i soggetti, dall’altro aumentano le possibilità di combinazioni della comunicazione: la comunicazione non avviene più tra soggetti inseriti in una dimensione spazio-temporale condivisa, ma avviene tra soggetti situati in luoghi e tempi diversi. Tra chi scrive (atto del comunicare) e chi legge (atto del comprendere) non c’è più condivisione, scambio, turno di parola, ma distanza: i due momenti sono separati. Ma appunto se da un lato la comunicazione perde qualcosa, almeno dal punto di vista della presenza degli interlocutori, dall’altro la comunicazione acquista spazi sempre maggiori, cioè la comunicazione si apre alla dimensione ermeneutica, il che vuol dire che la comunicazione oltre a “giocarsi” in tempi e luoghi diversi, può essere interpretata e quindi essere esposta alla correttezza dell’interpretazione, all’incomprensione e all’inconoscibilità dell’altro della comunicazione.
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