Riflessioni Sociologiche
di Ercole Giap Parini
Scienza, tecnica e democrazia.
I dilemmi delle società conoscitivamente dense.
Aprile 2008
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Vivere in società scientificamente e tecnicamente dense;
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Libertà di ricerca e partecipazione pubblica;
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Quale diffusione delle conoscenze per una scelta responsabile?
Governare la complessità è il destino delle società sviluppate. Queste, infatti, sono caratterizzate dall’esistenza di interessi, bisogni e sistemi etici differenziati, frequentemente in contraddizione tra di loro. Le moderne liberaldemocrazie devono mostrare la capacità di trovare un punto di equilibrio tra opzioni opposte, e questo rappresenta per loro un momento critico, ma anche la loro possibilità di riproduzione valoriale. Infatti, da un lato devono costantemente impegnarsi nel governare contraddizioni e dilemmi emergenti, nel tentativo di tutelare i diritti e le aspettative dei propri cittadini. Quando ciò non avviene, o avviene in maniera problematica, in discussione è la loro legittimità. Dall’altro lato, proprio questa attitudine a trovare di volta in volta dei punti di equilibrio distingue le liberaldemocrazie dai sistemi autoritari o totalitari, dato che è tipica di questi ultimi la tendenza ad annullare le contraddizioni, secondo dinamiche di riduzione ideologica.
E’ mia convinzione che proprio nel nesso tra sapere scientifico e società si nascondano alcuni dei dilemmi che le democrazie devono governare. Non saperlo fare può portare a situazioni di sperequazione tra individui e tra contesti relazionali differenti, lasciando pezzi consistenti di società esclusi da processi decisionali di rilevanza cruciale.
Vivere in società scientificamente e tecnicamente dense
Il livello di sviluppo delle nostre società è sostenuto da una densa base di conoscenze tecniche e scientifiche. Proprio per questo è possibile parlare di società della tecnoscienza.
La nostra vita quotidiana, e senza che neanche vi prestiamo la dovuta attenzione, è caratterizzata da oggetti (artefatti in gergo tecnico) ad elevata densità di sapere scientifico e tecnico, in essi incorporato. Il telefonino e i computer, per esempio, devono la loro essenza non tanto ai materiali di cui sono fatti, e neanche, per certi aspetti, alla loro forma, quanto alle conoscenze che vi sono incorporate in forma di progetto.
Anche esempi di complessi sistemi dai quali dipende la nostra vita, quali la rete elettrica, hanno senso e funzionano proprio in virtù delle competenze scientifiche e tecniche che vi sono incorporate. Quello che salta immediatamente alla mente, quando si considerano oggetti e sistemi che dominano la nostra vita quotidiana, è il fatto che essi richiedono da noi soltanto pochissime conoscenze, sufficienti a farli funzionare (magari a loro volta concepite da tecnici e ingegneri secondo criteri friendly). Non serve avere competenze specialistiche per fruirne. In questo senso è possibile dire che essi richiedono da parte nostra un certo affidamento: del loro funzionamento non dobbiamo chiederci il meccanismo intrinseco. Quello che c’è dentro, il progetto concepito da esperti, deve essere custodito come in uno scrigno di certezze che non possono essere messe in discussione.
Se le cose che ho appena menzionato si caratterizzano per il contributo che danno alla nostra vita, rendendola più comoda e performante (per cui l’affidamento non rappresenta, almeno entro certi limiti, un problema), diversa è la situazione quando le conoscenze specialistiche incorporate riguardano dimensioni regolative della nostra esistenza, incidendo sui diritti delle persone e sulla capacità di dare un senso alla vita. Vi sono ambiti della ricerca scientifica che hanno un’importanza fondamentale, per esempio, in termini di morale e di etica pubblica. Si pensi alla ricerca orientata a scoprire e a mappare le basi genetiche sulle quali è fondata la vita biologica degli esseri umani, e a tutte le applicazioni possibili che pongono la questione della modificabilità dei caratteri umani, oppure all’applicazione delle cellule staminali a scopi terapeutici.
Vi sono, poi, tutti quei settori di produzione di conoscenza tecnica e scientifica in ambito energetico e in ambito di produzione di cibo (per esempio, la ricerca e la diffusione di organismi geneticamente modificati, OGM) che pongono dilemmi, tutt’altro che prevedibili e controllabili, di impatto sulla salute pubblica e sui livelli di sicurezza della nostra esistenza.
E’ legittimo che emergano questioni concernenti i limiti da porre quando si conducono simili attività, anche quando orientate alla pura ricerca. Tuttavia, (e questo è il punto cruciale) quando lo si fa, ci si imbatte nell’elevato livello di competenze specialistiche che caratterizzano tali ambiti. A differenza che in quelli messi in evidenza prima, in questi ultimi ambiti non è possibile quell’affidamento acritico a cui ho accennato.
Si tratta, allora, di pensare a forme di partecipazione ai meccanismi decisionali che riguardano la ricerca scientifica. Se in linea di principio la cosa pone pochi problemi, ad una più approfondita analisi emergono alcuni dilemmi cruciali per garantire un sufficiente livello di vitalità democratica.
Libertà di ricerca e partecipazione pubblica
Un dilemma emerge tra la libertà di ricerca degli scienziati e la necessità di regolazione pubblica della ricerca scientifica.
La libertà di ricerca fa parte del bagaglio etico e normativo della comunità degli scienziati (ed è peraltro sottolineata dall’Art. 33 della nostra Costituzione). E questo anche indipendentemente dalla capacità sostanziale di aderirvi. Rappresenta, quindi, una sorta di modello ideale al quale la pratica scientifica dovrebbe ispirarsi, fondato sulla convinzione che rispondere alla propria curiosità intellettuale permetta allo scienziato di condurre la sua attività nel modo più disinteressato possibile. Una scienza orientata da motivazioni che non provengano da quella curiosità renderebbe lo scienziato troppo ansioso di risolvere problemi e interessato a sostenere quelle linee di ricerca che hanno, per esempio, una ricaduta utile più facilmente misurabile. Questo vale anche di fronte a richieste di utilità sociale particolarmente rilevanti.
A contrastare l’orientamento ad una scienza libera da condizionamenti, nel corso del tempo è aumentata la tendenza ad orientare pubblicamente il lavoro degli scienziati e dei tecnici, anche in conseguenza della presa di coscienza della cogenza delle questioni scientifiche per la vita quotidiana. Nel mondo occidentale non solo è aumentata l’attenzione verso quello che gli scienziati fanno, ma sono proliferate iniziative e gruppi di pressione (per esempio promossi da gente comune, utenti, pazienti o loro familiari) che pretendono di intervenire in maniera efficace nell’orientare la ricerca verso la soluzione dei problemi che li riguardano (al riguardo, si consideri il testo curato da Gustavo Guizzardi La scienza negoziata. Scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002). Fanno questo, attraverso strumenti vari, che vanno dal finanziamento di specifiche linee di ricerca, alla pressione a che quelle stesse linee vengano finanziate attraverso denaro pubblico.
Ad un livello più generale, le questioni che hanno un contenuto scientifico rilevante vengono sottoposte al vaglio di gruppi organizzati o di semplici cittadini che pretendono (legittimamente) di dire la loro quando sono in gioco questioni morali o valori diffusi. Posizioni che i rappresentanti politici fanno proprie promovendo iniziative di legge, o sostenendo iniziative referendarie, che vanno ad incidere proprio sull’attività degli scienziati.
Non si può, poi, non sottolineare come le istituzioni politiche di vario livello tendano a raccogliere interessi diffusi nella società al fine di sensibilizzare e orientare l’attività di ricerca, attraverso programmi di finanziamento mirati a risolvere questioni di elevata rilevanza sociale.
Come è facile arguire, si tratta di due posizioni assolutamente legittime ma che, nelle società dense di conoscenze tecniche e scientifiche, vanno amministrate e mantenute in equilibrio, pur nella consapevolezza che si tratta di opzioni spesso in contraddizione tra di loro.
Credere nell’esistenza di una perfetta omogeneità tra le ragioni della democrazia e quelle della scienza può rivelarsi, infatti, fuorviante. Piuttosto, si tratta di mettere con chiarezza in evidenza i possibili momenti di attrito al fine di meglio attuare politiche che favoriscano processi virtuosi di incontro tra le ragioni della scienza e quelle della società (al riguardo, si consiglia la lettura del libro di Massimiano Bucchi, Scegliere il mondo che vogliamo. Cittadini, politica, tecnoscienza, il Mulino, Bologna 2006).
D’altra parte, un più efficace governo dell’incontro tra cittadini e scienza permette di rendere visibili i condizionamenti più o meno occulti che la scienza già è costretta a subire.
Poco prima della sua morte, il sociologo francese Pierre Bourdieu (Il mestiere di scienziato, Feltrinelli, Milano 2003) ha sentito la necessità di stigmatizzare il fatto che, nel corso del tempo, la scienza ha perso la propria autonomia, in quanto il campo che aveva costruito è stato invaso da interessi esterni, quali quelli dell’economia e della politica. Entro certi limiti, è possibile dire che la figura dello scienziato libero di intraprendere la propria attività di ricerca sia definitivamente terminata con il Progetto Manhattan, vale a dire il programma di ricerca che permise agli Stati Uniti di costruire la bomba atomica e che, parallelamente, ha trasformato la scienza in una vera e propria industria. D’altra parte, una scienza sempre più ambiziosa, e capace di immaginare traguardi sempre più elevati, è anche una scienza che necessita di finanziamenti sempre più cospicui e di organizzazione manageriale delle competenze, nonché di una ferrea divisione del lavoro di ricerca. Tuttavia, una ricerca dipendente da una simile infrastruttura è chiamata a produrre risultati certi, capaci di sostenere e di giustificare l’onere dell’imponente dispiegamento di risorse.
Quando poi entriamo nei campi di ricerca dove il peso degli interessi economici è particolarmente elevato, allora vediamo che sono proprio quegli interessi a condizionare pesantemente la ricerca scientifica, finanziando alcuni filoni da cui si attende la maggior remuneratività e inducendo all’abbandono di altri che le ragioni economiche relegano come trascurabili.
In questi termini, in una democrazia in grado di valorizzare la partecipazione, e che non voglia precipitare in quella che il costituzionalista Augusto Cerri definisce ‘oscura ignoranza’, piuttosto che parlare astrattamente di libertà di ricerca, è necessario renderne visibili i processi di eterodirezione per poi regolarli.
Quale diffusione delle conoscenze per una scelta responsabile?
Un ulteriore momento di potenziale antitesi tra le ragioni della partecipazione democratica e quelle della scienza può riguardare la crescente complessificazione del sapere scientifico (si consideri, al riguardo, il mio Sapere scientifico e modernità, Carocci, Roma 2006).
Nel corso degli anni, la scienza e le sue modalità di operare diventano via via più complesse; da discipline proliferano nuove specializzazioni e, da ognuna di queste, tante altre ancora. I linguaggi utilizzati per produrre conoscenza scientifica diventano sempre più sofisticati e formalizzati. Si tratta di processi che a volte spiazzano gli stessi scienziati. (Da alcune interviste che sto conducendo con la collega Giuseppina pellegrino, nell’ambito di una ricerca sui cambiamenti della pratica quotidiana degli scienziati, emerge come essi facciano spesso fatica a seguire quanto accade negli altri laboratori, o ad avere contezza di quanto viene prodotto anche in un ambito relativamente ristretto di ricerca attiguo al loro). Questi fenomeni pongono la questione di come sia possibile coinvolgere i non scienziati quando sono in gioco le questioni di cui ho scritto sopra; come è possibile ai decisori pubblici e ai semplici cittadini esercitare responsabilmente la propria capacità di indirizzo, quando sono in gioco questioni dall’elevato contenuto scientifico e tecnico non immediatamente fruibili?
La questione richiama la necessità di fornire le basi conoscitive per una partecipazione consapevole dei cittadini, nei loro differenti ruoli, e, quindi, per una scelta responsabile. Si pone, allora, il problema di una qualche forma di diffusione delle conoscenze scientifiche.
Il modello maggiormente diffuso di divulgazione scientifica è stato, nel mondo occidentale e fino ad oggi, quello top down che considera i non scienziati dei vasi da riempire di nozioni scientifiche poste in maniera semplificata e, per certi aspetti, edulcorata. In particolare, questo modello divulgativo ha sempre dovuto proiettare un’immagine della scienza come corpo monolitico e sostanzialmente coerente, non facendo emergere le problematiche interne al suo campo, le contese tra scienziati e il carattere precario e incerto di molta parte delle cosiddette verità scientifiche.
Per questi motivi, tale approccio non è in grado di fornire sostanziali contributi all’assunzione di responsabilità quando si tratta di fare scelte di rilevanza pubblica: il discorso scientifico è presentato sotto l’aura di una certezza non compatibile con l’imprevedibilità e con la multilinearità di gran parte di questi processi, e non rende conto della perdita delle alternative tecnoscientifiche praticabili, quando si imbocca un percorso specifico.
D’altra parte, il modello divulgativo classico mostra tutta la sua inconsistenza di fronte alla progressiva specializzazione e complessificazione della scienza (processo che mette in difficoltà gli stessi scienziati), e ciò rende il percorso di semplificazione poco praticabile.
Conseguentemente a quanto affermato, bisogna tentare di cambiare i termini del discorso e abbandonare una visione che pretende illusoriamente di rendere tutti, almeno un poco, scienziati. Una strada percorribile, ma non priva di difficoltà e di contraddizioni, è quella di considerare una diffusione qualitativa e mirata di certi ambiti di conoscenza possibile (al riguardo rimando al libro di Paola Borgna, Immagini pubbliche della scienza, gli italiani e la ricerca scientifica e tecnologica, Comunità, Torino 2001, che affronta la questione del public understanding of science). La domanda guida dovrebbe essere: cosa serve sapere al cittadino perché responsabilmente assuma le sue scelte? E cosa all’amministratore? Al legislatore? Al politico? Si tratta, quindi, di partire dalla consapevolezza che la società della conoscenza è una realtà e che i fatti scientifici sono determinati non da scienziati isolati, nel chiuso dei loro laboratori, bensì all’interno di una rete di relazioni particolarmente articolata, i cui nodi sono rappresentati da attori di differente ruolo e competenza (oltre agli scienziati, appunto i cittadini, i politici, gli amministratori e così di seguito).
Scopo di questo percorso dovrebbe essere quello di rendere governabile e agevolare la partecipazione consapevole a percorsi decisionali che solitamente avvengono nella sostanziale inconsapevolezza di gran parte dei soggetti/attori coinvolti.
egp
Altre Riflessioni Sociologiche
Libri citati:
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Borgna Paola, Immagini pubbliche della scienza, gli italiani e la ricerca scientifica e tecnologica, Comunità, Torino 2001
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Bourdieu Pierre, Il mestiere di scienziato. Corso al college de France 2000-2001, Feltrinelli, Milano 2003
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Bucchi Massimiano, Scegliere il mondo che vogliamo. Cittadini, politica, tecnoscienza, il Mulino, Bologna 2006
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Guizzardi Gustavo (a cura di), La scienza negoziata. Scienze biomediche nello spazio pubblico, il Mulino, Bologna 2002
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Parini Ercole Giap, Sapere scientifico e modernità, Carocci, Roma 2006
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