Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito
di Gianmichele Galassi
La via del peregrino dello spirito: una voce che chiama dal profondo
Di G. Galassi e L. Pianigiani
Giugno 2017
Deh! peregrini che pensosi andate,
forse di cosa che non v'è presente,
venite voi da sì lontana gente,
com'a la vista voi ne dimostrate,
che non piangete quando voi passate
per lo suo mezzo la città dolente,
come quelle persone che neente
par che 'ntendesser la sua gravitate.
Se voi restaste per volerlo audire,
certo lo cor de' sospiri mi dice
che lagrimando n'uscireste pui.
Ell'ha perduta la sua beatrice;
e le parole ch'om di lei pò dire
hanno vertù di far piangere altrui.
(Dante, Rime della Vita Nuova, XL 9-10)
Vorrei avere la memoria di quelle campagne, di quei paesini… cosa devono aver visto: principi e reali, spazzini e mendicanti, muratori ed apprendisti, vedove e reduci, peccatori e penitenti, giovani e meno giovani, affrontare il duro ed ideale cammino dello spirito senza distinzione alcuna, fianco a fianco. La condizione del pellegrino in realtà rientra in una ristrettissima cerchia di occasioni che nella vita sono assai rare: dove ti metti a nudo, cercando di eliminare ogni sovrastruttura sociale. Simbolicamente, questo è certamente accostabile alla livella della morte iniziatica utile viatico alla rinascita a nuova vita: un nuovo “initium” appunto! Chiunque decida di intraprendere questa via cerca qualcosa in se stesso che può ritrovare solamente prendendosi il tempo necessario a conoscersi meglio (secondo il delfico “nosce te ipsum”), per ascoltare - nel silenzio della solitudine - la propria voce interiore e tentare di comprendere chi sia in realtà e cosa desideri dalla propria esistenza. Deciso quindi ad affrontare la grande sfida della consapevolezza. Alla ricerca della Verità, necessaria poi a controllare o sconfiggere i vizi, le debolezze e le pulsioni ancestrali che attanagliano la nostra essenza più profonda e limitano la nostra ascesa, come accadeva al povero Sisifo con la sua inesorabile condanna legata al pesante macigno. Niente a che vedere con la durezza del cammino, i sentieri più impervi e selvaggi sono quelli della mente, dello spirito o dell’anima che dir si voglia: è là che si riduce la sfida di questa nostra breve esistenza.
Il “Camino de Santiago”
Innumerevoli pagine ed inchiostro in abbondanza, difficilmente permetteranno di aggiungere qualche novità di interesse all’argomento, ma sarebbe ancor più deplorevole saltare tale storia che solamente per sua bellezza merita almeno un accenno: il titolo dato a queste brevi considerazioni riguarda espressamente la via per Compostela. Infatti, nel XIII secolo il termine peregrino, come ci indica Dante (Vita Nuova, LX), possiede due accezioni, la prima, generale, indica coloro che non sono in patria, mentre il secondo, più specifico, indica esclusivamente coloro che si recano “verso la casa di sa’ Iacopo” ovvero verso la tomba di Santiago (San Giacomo). Proprio così, la leggenda narra che l’apostolo Giacomo, fratello dell’evangelista Giovanni, prima di tornare a Gerusalemme, dove oltre a guidare la comunità cristiana trovò la morte per decapitazione su ordine di Erode Agrippa I, avesse evangelizzato la penisola iberica. Fu così che i fedeli Teodoro ed Attanasio vollero riportare le spoglie in Galizia dandogli degna sepoltura. La trama del mistero segna poi anche il ritrovamento della tomba agli inizi dell’XI sec. ad opera del Vescovo Teodomiro avvertito dall’eremita Pelagio testimone di una visione straordinaria di una stella mai vista sul bosco, accompagnata da un canto angelico. Fu così che, sempre secondo la leggenda, nel “campus stellae” (da cui deriverebbe il toponimo Compostela(1)) rinvenirono “un monumento funerario singularisimo” con i resti di tre individui, uno dei quali - con la testa mozzata - era identificato da un’iscrizione che lo indicava come Giacomo, figlio di Zebedeo e Salomé. La “Compostela” è poi anche il documento ufficiale redatto in latino che attesta il compimento del peregrinaggio a piedi, a cavallo ed, anche, in bicicletta, rilasciato dall’Ufficio del Pellegrino della Cattedrale di Santiago. Il Cammino di Santiago sarebbe quindi caratterizzato da stelle, viene infatti detto anche “ruta de las estrellas” (rotta delle stelle) in quanto la Via Lattea, la nostra galassia, indicherebbe il cammino al pellegrino e, come si evince dalla leggenda, il luogo di sepoltura sarebbe stato a sua volta indicato da una stella. Del resto, ricordando che anche le tre cantiche dantesche terminano con la parola “stelle”, queste stanno simbolicamente ad indicare il “divino”, il luogo alto e sconfinato ove idealmente risiedono gli spiriti più elevati. E’ così che il Cammino diviene il mezzo di ascesa al cielo: l’Uomo, prima ancorato alla terra, giunge a superare le contraddizioni umane. Seguendo il percorso indicato dalle stelle giunge al luogo universale, ove potrà finalmente sollevarsi a nuova condizione, ad un livello superiore che potrà finalmente permettergli l’intuizione della Verità. Dal 1984, indicato Primo Itinerario Culturale Europeo dall’Unesco, il cammino “francese” è il moderno percorso, quello più battuto, ma in realtà un tempo non esisteva questa distinzione in quanto il peregrinaggio iniziava dalla propria casa lungo percorsi infiniti che portavano vicino alla zona della “finis terrae” ossia ad uno dei confini occidentali della terra, la Galizia.
Altri itinerari meno battuti per Santiago sono la Ruta del Ebro, passando per Zaragoza, la Vía de la Plata, partendo da Siviglia, nel sud della Spagna, il Camino Inglés, da Coruña o Ferrol, nel nord; il Camino Portugués, dal cuore del Portogallo, il Camino de Fonsagrada, la Ruta del Mar de Arousa, dove sarebbero stati portati i resti dell’apostolo, ed infine proprio il Camino de Fisterra, con arrivo all’oceano, a Finisterre(2).
1) In realtà, sebbene l’etimologia sia incerta, si ritiene più appropriato far derivare il nome Compostela da compositorum indicante “il luogo di sepoltura”. Cfr. M. Lazzari, D. Biella, Convergenze tra realtà e comunità virtuale nel pellegrinaggio a Santiago de Compostela, www.unibg.it/lazzari/santiago_de_compostela/daniele_biella /cap2_1.htm
2) Finisterre (in galego, Fisterra) dal latino Finis terrae, era cosiddetta perché ritenuta il punto più ad occidente del continente europeo. Nella realtà moderna tale primato spetta a Cabo de Roca, vicino a Sintra, in Portogallo.
Le sensazioni, i paesaggi, la sfida con sé stessi e con il dolore del corpo esausto…
Affrontare un cammino lungo poco meno di 1000km, con un pesante zaino sulle spalle, arrangiandosi con il cibo ed il sonno, non è certo una passeggiata di salute: è proprio questo che rende speciale questa che possiamo definire l’«impresa» della vita per noi occidentali moderni. Se in un tempo ormai lontano, era sempre la spinta religiosa a muovere i pellegrini, ora pare che sia perlopiù di stampo culturale: numerosi non credenti compiono il viaggio alla ricerca della propria spiritualità, altri seguono semplicemente la moda per poter dire “io c’ero” o meglio “io l’ho fatto”, infine qualcuno semplicemente rispetta un voto fatto per ottenere un favore divino. Attraversare diverse situazioni climatiche assi distanti fra loro, da +28°C a -5°C, la neve sui Pirenei, la pioggia in Galizia, il paesaggio quasi desertico dell’altopiano della Meseta, confrontarsi con le vesciche ai piedi, le articolazioni e i tendini infiammati, le insolazioni, la febbre, fa parte dell’aspetto fisico di tale impresa, ma non dobbiamo sottovalutare assolutamente l’aspetto mentale e spirituale… la distanza con la quotidianità, i mezzi di comunicazione, il lavoro, il solito tran tran, le amicizie, conducono ben presto ad uno stato di quiete, di serenità dove la ferrea volontà di proseguire diviene l’unica forza necessaria al nuovo stato psicologico che la privazione dei mezzi agevola. Riflessione e silenzio divengono gli usuali compagni di viaggio: i pensieri fioriscono numerosi, coscienza e spirito - o anima che dir si voglia - cominciano a far risentire la propria voce. In realtà, entrambe non hanno mai cessato la loro attività di consiglieri intimi, siamo solo noi stessi ad aver dimenticato come ascoltarle con maggior frequenza. Come accade per ogni altro progresso, sono necessari impegno e volizione, senza di ciò – come detto poc’anzi – il pellegrinaggio si riduce a moda: mi verrebbe da aggiungere, tanta fatica per nulla! Chi lo ha compiuto con saggezza e vigore, al proprio ritorno, sembra sentire un vuoto colmabile solo continuando a camminare: lunghe passeggiate nelle vie cittadine appaiono però un triste surrogato dell’avventura della vita appena giunta al termine. Bellezza, silenzio e solitudine già sembrano ricordi lontani di un’altra vita: quella del peregrino dello spirito!
La testimonianza di chi ha compiuto l’impresa
Ripensando al cammino mi vengono in mente gli ampi spazi illuminati dalla fioca luce del sole all’alba, l’assenza di ogni altro rumore che non siano i passi dei viandanti e quello della conchiglia che sbatte sullo zaino: si tutti quei pellegrini che camminano, sparsi per la via, ognuno con il suo zaino, immersi nei propri pensieri, nei propri dolori o forse ancora storditi dalle scomode notti in ostello, speranzosi nella giornata che li attende. Camminando si imparano molte cose… intanto che parti solo, credi di camminare solo ma SOLO non lo sei mai: l’espressione “Nunca caminaras solo” (“Mai camminerai solo”) racchiude l’essenza del Cammino stesso. Non si è mai assaliti dalla solitudine, sebbene intorno non si veda nessuno, c’è sempre qualcosa a farti compagnia: la natura, gli animali e soprattutto l’amica “freccia” che, indicandoti la via da seguire, ti guida e ti conforta. Sovente è capitato di sentirmi persa attraversando boschi e campi desolati, paesini apparentemente dimenticati da Dio, invero per non smarrirsi era sufficiente fermarsi e guardarsi attorno, tutto un tratto, inspiegabilmente dai posti meno probabili (un sasso, un albero) spuntava la freccia che ad una prima occhiata non avevi visto, ma stava là ad indicarti la giusta via e a rassicurarti che stavi andando nella giusta direzione. Insieme alle frecce, frasi di ogni tipo scritte ovunque da centinaia di pellegrini prima di te… Fidarsi ed affidarsi, questo il “segreto”: il cammino ti fa incontrare tante persone, sempre che tu sia aperto e disposto a conoscerle. Ogni giorno vedi passarti accanto tanti pellegrini, di tutte le età, ognuno con una storia differente da raccontare, ciascuno mosso da motivi diversi, ma tutti sempre pronti ad incoraggiarti, augurandoti “buen Camino”, chiedendoti come stai?. Ho visto e vissuto tanta umanità, quella che a volte manca nella quotidianità. E’ incredibile quanto rispetto per l’altro sorga spontaneo fra pellegrini… è come se esistesse un galateo del Cammino costituito da regole tacite di buon senso (togliere gli scarponi, non accendere la luce dopo le 22:00, preparare lo zaino la sera, lasciare pulito il bagno etc.). Così si impara ad avere cura delle persone che abbiamo accanto, di quelli che ci hanno preceduto e di quelli che verranno, anche se sconosciuti, si impara a sopportare, ad adeguarsi a regole non scritte, sebbene si sia stanchi e svogliati, lo si fa con tanta naturalezza e spontaneità che ben presto diventa abitudine. Nessuna tappa è obbligatoria, ognuno può strutturare il cammino come meglio ritiene. Rimane costante la gran voglia di superare i propri limiti: so che posso fermarmi ma perché farlo? Il dolore fa parte del gioco, ogni passo è una conquista, ogni tappa una vittoria. Ciascuno segue il proprio ritmo ed il proprio cuore. Le persone si dividono, si salutano ma alla fine si rincontrano sempre in qualche albergue, in qualche piazza o bar: il Cammino riserva tante sorprese. Dopo il classico rituale della giornata, dalla sveglia mattutina fino al prossimo ostello, avendo camminato per 20 e più Km, doccia e medicamenti del caso la sera, ed ecco un altro momento magico per ritrovarsi tutti insieme, dimenticare le dure fatiche, brindando alla tappa conseguita. Persone da tutto il mondo allo stesso tavolo, il linguaggio è universale, la voglia è quella di rilassarsi, stare assieme e raccontarsi: STRINGERE LEGAMI, condividendo un momento irripetibile. Si passano quindi serate memorabili, seduti a tavola in compagnia di sconosciuti giunti da ogni angolo del pianeta: è indescrivibile, dopo aver camminato duramente tutto il giorno, si trova ancora l’energia per ridere, parlare, condividere e divertirsi assieme, mentre già sai che il giorno dopo e quello dopo ancora, ti attende la sveglia alle 7 per poi camminare ancora e ancora, magari sotto la pioggia… Spesso mi è capitato di camminare, piangendo dalla felicità per quello che stavo vivendo, per le tante emozioni provate ogni giorno anche per cose apparentemente banali: cosa ha di speciale un’alba? o un abbraccio di una persona? o la pioggia? o il vuoto? una città? Le emozioni sono quindi amplificate dalla particolare condizione psico-fisica vissuta durante il Cammino. Quel Cammino che sembra farti sentire vivo e libero come mai in precedenza: puoi scegliere se camminare, anche con forti dolori, dove e con chi andare e tutto ciò che serve lo porti con te, sulle tue spalle. È un’esperienza unica perché vivi veramente in un mondo parallelo dove devi pensare solo a poche cose, è un lusso che pochi possono concedersi... lasciare tutto e partire. Ti permette di staccare la spina, lasciare la quotidianità agli altri: in 34 giorni di cammino, tanto mi ci è voluto, non ho mai riflettuto sulla mia vita né sulle mie scelte né tantomeno su ciò che avrei dovuto fare al mio ritorno, vivevo una sospensione surreale dall’esistenza che fino a quel momento avevo condotto, dedicandomi anima e corpo solo a quello che stavo facendo. Adesso, al ritorno, ti rendi conto che sentirsi sé stessi ed essere apprezzati da estranei che ti hanno visto a nudo nelle avversità, non ha prezzo. Insomma, in questa esperienza ho ritrovato tanta energia, calore umano, positività, fiducia, fede e, soprattutto, un afflato amicale non comune, il tutto condito da una rinnovata stima per me stessa. Ho conosciuto persone con le quali ho stretto un legame profondo e genuino, con cui ho condiviso un percorso intimo, un successo interiore: sembra incredibile che al giorno d’oggi possano esistere ancora rapporti puri, non condizionati da altri fini. Dicono che non sei tu a scegliere il Cammino, ma è il cammino che ti chiama: non mi ero allenata ma sono riuscita a rispettare le tappe programmate, senza mai prendermi un giorno di riposo: ho visto paesaggi diversi con stagioni diverse, ho camminato da sola con il mio ritmo ed in compagnia... non sono dipesa da nessuno ma ho condiviso tanto. A lungo ho contato i giorni ed i km che mi separavano da Santiago, vivendo intensamente ogni momento e quando sono giunta a 5 km dalla meta, non mi pareva neppure vero, l’emozione da palpabile diveniva incontenibile, ma quando ho pensato che quella era l’ultima notte sul Cammino, è giunta ad avvolgermi d’un tratto una ventata di tristezza: ma come, è già finita? L’arrivo, come quasi tutti i traguardi della vita, forse anche per le troppe aspettative, è stato deludente, ma credo sia giusto così perché con ogni probabilità la vera meta non è Santiago, ma è stato arrivarci, come dicono gli inglesi “the way is the goal”. Infine, devo constatare che ho avvertito la vera spiritualità più nelle piccole chiese di paese che a Santiago, dove i rituali appaiono sotto una luce assai più materialistica, a volte mercificata; così dopo un giorno di riposo, le gambe (oramai prive di dolore) già scalpitano per proseguire verso il mare e toccare l’ultimo lembo di terra, quasi come esse stesse non volessero accettare la realtà della fine del Cammino. Concludo con una massima assai diffusa fra i pellegrini: il vero cammino inizia quando ritorni a casa, il difficile è trasferire ciò che hai appena imparato e vissuto, nella vita di tutti i giorni, con l’irreprimibile spinta a compiere una nuova “impresa”.
Conclusioni
La succitata breve nota dantesca è sufficiente ad esprimere la rilevanza attribuita a questo percorso, utile ieri come oggi ad avvicinarsi all’Amore, Verità e Luce assoluti, come dimostra la bella testimonianza diretta. L’unica delle tre “peregrinationes maiores” medievali che si è mantenuta tale sino ai giorni nostri, forse proprio per la caratteristica che è il cammino di tutti, delle persone comuni; non rende coloro che lo compiono membri di una schiera di eletti nel senso comune del termine, sebbene un tempo la “veste” di pellegrino fosse, almeno idealmente, assimilata da alcuni all’investitura cavalleresca. Molti magari si chiederanno il motivo che li ha condotti sin là, durante tutto il viaggio, perdendo un’occasione importante per progredire, conoscere e sviluppare la propria consapevolezza; altri, invece, si concentreranno con grande entusiasmo sul lavoro interiore che li attende, avvicinandosi così – sebbene inconsapevolmente – all’Amore che apre le Porte Celesti. Non con vesti, medaglie e corone, ma solo nel modo più intimo si giunge a far parte della schiera degli “eletti” ovvero di coloro che incrementano la propria consapevolezza e si elevano al di sopra delle bassezze materiali. Il Cammino, in ultima analisi, è quindi essenzialmente un momento di soluzione di continuità netta tra la vita trascorsa e la realizzazione futura del vero te stesso: una seconda occasione in vita per scoprire chi siamo e cosa vogliamo, prima che sia troppo tardi.
Per concludere voglio riportare il bel testo del cantautore contemporaneo panamense Rubén Blades, intitolato Il viaggio:
Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita
senza mai scalfire la superficie dei luoghi
ne imparare nulla dalle genti appena sfiorate.
Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare
chiunque abbia una storia da raccontare.
Camminando si apprende la vita
camminando si conoscono le cose
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
Cammina guardando una stella
ascoltando una voce
seguendo le orme di altri passi.
Cammina cercando la vita
curando le ferite lasciate dai dolori.
Niente può cancellare il ricordo del cammino percorso.
Gianmichele Galassi, Luna Pianigiani
Tratto da: Hiram n° 01/2017, grandeoriente.it
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Bibliografia
Paolo Caucci von Saucken (a cura di), La Guida del pellegrino di Santiago. Libro quinto del Codex Calixtinus, secolo XII, Jaca Book, Milano 1989.
M. Lazzari, D. Biella, Convergenze tra realtà e comunità virtuale nel pellegrinaggio a Santiago de Compostela, http://www.unibg.it/ lazzari/santiago_de_compostela/daniele_biella/cap2_1.htm
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