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Riflessioni Iniziatiche

Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito

di Gianmichele Galassi

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Ghino di Tacco della Fratta.
La mistificazione di un eroe ghibellino

Marzo 2011

 

«Quiv’era l’Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte»
(Dante, Purgatorio VI, vv. 13-14)

 

Ghino di Tacco della Fratta Falco di RadicofaniParlando di questo personaggio storico ai più affiorerà immediato il ricordo di un noto politico che amava firmarsi così, ma nella realtà, la figura storica di Ghino di Tacco ha lasciato un segno indelebile nei territori della bassa provincia di Siena, ove è possibile trovare ancor oggi numerosi suoi difensori ed estimatori.

 

Gli studi che interessano il «Falco di Radicofani» sono limitatissimi, per cui volendo comprendere meglio personalità e gesta di questo insolito «eroe» conviene senza meno rifarsi alle fonti originarie circoscritte ad una breve citazione dantesca, alla novella boccaccesca ed infine ad alcune biccherne (1- Le tavolette di Biccherna sono, o per lo meno erano all’inizio della loro storia multisecolare, le copertine dei registri di amministrazione della più importante ed antica magistratura finanziaria del Comune di Siena, chiamata la Biccherna appunto (v. G. Galassi. L’Archivio di Stato di Siena: 150 anni di storia. Il Laboratorio vol.80:10-12, Turri Editore, Firenze, 2008, ISSN 1128-3599).) senesi.
Partendo dalla concisa citazione dantesca, possiamo immediatamente mettere in evidenza la «fierezza» dell’uomo Ghino di Tacco, qualità questa che può assumere diverse accezioni: quelle negative, ciò «che è crudele per natura, spietato, disumano» spesso riferito a fenomeni che si manifestano con violenza, ovvero «ferocemente», e quelle maggiormente positive quali l’essere «ardito» finanche «coraggioso».
Certamente si può presumere che la freddezza di Dante riguardo a Ghino derivasse vuoi dalla diversa militanza politica - il primo apparteneva alla fazione Guelfa, mentre il secondo era un ghibellino convinto - vuoi alla presunta amicizia che lo legava al giudice Benincasa da Laterina, ovvero all’Aretin cui Ghino strappò la vita.
Dalla breve citazione dantesca, siamo giunti al Boccaccio che, nel Decameron, ne fa il protagonista di un’intera novella (X giornata, 2ª novella del Decameron), riportando un curioso episodio di vita: il titolo stesso, ovvero «Ghino di Tacco piglia l’abate di Clignì e mèdicalo del male dello stomaco, e poi il lascia; il quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa, e fallo friere dello Spedale.», è già un’ottima sintesi dell’intera novella.
Al di là dell’episodio in sé, il Boccaccio dipinge Ghino di Tacco come un eccellente gentiluomo, un fine stratega, un gentile padrone di casa, un uomo saggio e buono costretto dal destino a vivere una vita di compromesso fra la necessità di combattere per la propria sopravvivenza e per quegli ideali in cui più volte ha dimostrato di credere fermamente. Insomma, un «uomo» vero e proprio, di quelli che si incontrano raramente nella vita e che sono capaci con il proprio agire di segnare tutti coloro che vi vengano in contatto: indistintamente, siano essi amici che nemici, Ghino sa come conquistarne il rispetto a discapito di militanze politiche o idee religiose.
Da non dimenticare, poi, un altro aspetto della personalità di Ghino che traspare dalla vicenda dell’Abate di Cluny, una caratteristica anch’essa rara negli uomini: la capacità di modificare le proprie convinzioni, riuscendo a liberarsi dal pregiudizio, giudicando gli uomini per ciò che sono e non per la loro appartenenza politica o convinzione religiosa. Questo insegna l’episodio descritto così dettagliatamente dal Boccaccio: un combattente ghibellino, oppositore convinto dello Stato Pontificio, riuscì ad essere addirittura nominato Cavaliere di S.Giovanni e Friere dell’ospedale di Santo Spirito da Papa Bonifacio VIII.
Infine, per capire chi fosse in realtà Ghino di Tacco è bene rifarsi ai documenti storici del periodo, ovvero ai documenti ufficiali del Comune di Siena, conservati ancor oggi presso l’Archivio di Stato della città. A tal proposito conviene citare quanto fedelmente riportato da F.M. Magrini (Ferruccio M. Magrini, La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il suo castellano, Bruno Ghigi Ed., Rimini, 1987, tratto dalle pagg.104 e 105. Fra l’altro in questo ottimo volume sono riportati i testi di tutte le Biccherne che citano gli episodi riferibili a Ghino.): «la propensione verso i sequestri di persona e il susseguente parziale taglieggiamento dei beni altrui, che Ghino considerava il male minore e che costituirono in sostanza una specie di autofinanziamento a danno soprattutto dei ricchi mercanti appartenenti alla borghesia cittadina, e quindi in definitiva alla categoria dei suoi principali nemici politici.
Del resto, nella legislazione in vigore a Siena, i furti e i sequestri erano considerati reati comuni e venivano puniti con procedura amministrativa mediante multe proporzionate all’entità del danno arrecato.
Ma l’accertamento che suscita maggiore sorpresa e interesse, in quanto capace di rimettere in discussione e di confutare una inveterata e persistente accusa, proviene proprio dall’esame analitico delle condanne pronunziate dai giudici senesi, dalle quali risulta in maniera inequivocabile la mancanza assoluta nei documenti di Archivio non soltanto di una esplicita sentenza, ma neppure di un minimo accenno al preteso “Bando” che, stando alle affermazioni degli storici posteriori, sarebbe stato comminato contro il figlio di Tacco.
[…] Subito dopo il 1285, che segnò la tragica fine di Tacco Cacciaconti e la sua conseguente scomparsa dalla scena politica, i documenti di Archivio cominciano a interessarsi del figlio Ghino, ma con atteggiamento diverso. La lotta ingaggiata quindici anni prima dal Governo popolare per venire a capo della resistenza ghibellina continua con immutata energia e decisione; però, da un complesso di circostanze, si avverte nettamente un cambiamento nei rapporti tra le due parti contendenti.
I Senesi usano verso Ghino di Tacco un maggior rispetto, nella consapevolezza di avere a che fare con un personaggio di grande levatura che li obbliga a rivedere i modi e i mezzi usati nel passato, operando un salto di qualità nella conduzione del reciproco confronto che pur rimane fortemente competitivo. Il nuovo avversario non è più presentato con l’altezzoso disprezzo verso il signorotto di provincia che, per aver osato opporsi alle pretese del Governo guelfo, era stato espulso con pubblico bando fuori dal territorio della Repubblica. Al contrario, Ghino è considerato a tutti gli effetti come il capo riconosciuto del Partito ghibellino, contro il quale, dal punto di vista giuridico, non poteva essere emessa la sentenza di bando in quanto rappresentante di una forza politica che operava in tutta Italia, e quindi al di fuori e al di sopra della giurisdizione senese. Ma vi è di più: nel verbale del 4 dicembre 1297, in occasione del dibattito tenutosi nel Consiglio generale e che portò alla demolizione della fortezza
iniziata in Valdichiana, Ghino è designato addirittura col titolo onorifico di “Signore”, a testimoniare il grande prestigio di cui egli godeva anche nel campo avverso dei suoi stessi nemici (Cum ad audientiam dominorum Novem Gubernatorum et Defensorum Comunis et populi senesi relatu pervenerit plurimo rum exploratorum quod per dominum Ghinum Tacchi inter Asinamlongam et Guardavallem construebatur quedam fortellitia sive castrum...).”
Da ciò è ben evidente come, ai danni di Ghino, sia stata perpetrata dagli storici senesi delle epoche successive una vera e propria campagna diffamatoria.
Sotto tali condizioni, la figura di Ghino è ben più aderente a quella narrata e rappresentata dal Boccaccio: un eroe ghibellino che ha tentato di resistere al sodalizio guelfo, mantenendo - però - sempre un nobile e giusto atteggiamento che, come testimoniato, gli valse la stima delle proprie vittime.
Con questo, non voglio certo avallare il machiavellico adagio de «il fine giustifica i mezzi», ma in tutta sincerità, almeno dalle testimonianze raccolte, mi sembra che Ghino non meritasse affatto un marchio tanto svilente come quello di «bandito violento e feroce»; tutt’altro, credo che l’apprezzamento dimostratogli da avversari difficili come il Vaticano sia inconfutabile prova del suo valore umano.
La verità sulla fine di Ghino è ancora velata di mistero, molte sono le versioni a tal riguardo, ma quella che reputo più accreditata dipinge la morte di Ghino, ad Asinalonga (l’odierna Sinalunga), per mano di Mannino di Busgiardro del Pecora che così vendicò il padre, tornando al contempo ad essere il padrone di Torrita, piccolo centro nella provincia senese caduto
precedentemente sotto il dominio di Ghino.

 

Gianmichele Galassi
Da Secreta Magazine n.7 - 2010


Testi Consigliati
F. Cenni, Il Falco di Radicofani. Storia e leggenda di Ghino di Tacco. PaciniEditore, 2008.
F.M. Magrini, La verità storica su Ghino di Tacco.
Radicofani difende e riabilita il suo castellano. Bruno Chigi Ed., Rimini, 1987.

 

Link consigliati
Biografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Ghino_di_Tacco
Giovanni Boccaccio, X giornata, 2ª novella del Decameron: http://it.wikisource.org/wiki/Decameron/10a_giornata/Novella_Seconda


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