Ipazia: Riflessioni Filomatiche
di Alessandro Bertirotti
Momenti e prospettive delle pratiche filosofiche
Di Mario Guarna Gennaio 2015
Premessa
L’obbiettivo primario di questa esposizione non sarà quello di fornire un’ introduzione generica e generale delle pratiche filosofiche, quanto piuttosto la ricerca di un’ evidenza davvero essenziale, che consenta di mostrarne la peculiarità e l’attuazione, avendo come punto di riferimento costante e privilegiato il valore del confilosofare.
Introduzione
Le pratiche filosofiche sono la coerenza della filosofia, perché mettono in pratica quello che predicano. La loro finalità principale, non è data dalla produzione di “sapere” (conoscenza codificata attinenti per la quale si creano delle comunità di studiosi e specialisti in alcune materie filosofiche), ma dalla consapevolezza di “saper essere” (capacità di produrre una consapevolezza del proprio sé e l’apertura verso l’altro da sé). Quest’attitudine avviene attraverso l’attività con-dialogica e la domanda filosofica, che collocano le pratiche filosofiche in un tempo e in uno spazio dedicato al confilosofare. La filosofia, in questo contesto, è intesa soprattutto come un “filosofare in comune”: attività e non dottrina, prassi comunitaria al di là della ristretta specialistica del settore. La dimensione del pensiero del vivere, come carattere originario della filosofia, viene esplicato nelle pratiche filosofiche come uguaglianza di possibilità per tutti i “soggetti esperenti” di partecipare e comprendere la riflessione su se stessi e su quello che li circonda; Questo processo indirizza il soggetto all’acquisizione di un “saper(ci) fare” nella propria esistenza, come saggezza mondana.
Le pratiche filosofiche come prassi socioculturale
Le pratiche filosofiche nella società contemporanea, come in quella antica, operano nelle attività del vivere quotidiano (educazione, lavoro, formazione, sfera privata e tempo libero). In questi fenomeni socio-culturali, le pratiche filosofiche si propongono di produrre effetti di trasformazione e di comprensione tramite il ricorso al “confilosofare”, dove si metterà in atto uno spazio – tempo nel quale le consuetudini, presupposti impliciti e pregiudizi sono sospesi, per essere indagati criticamente ed eventualmente modificati, in questo atto riflessivo di indagine, il confilosofare diviene una condizione di possibilità, dove la spiegazione universale cede il passo alla “risposta locativa” collocata nel “qui ed ora”. Rispetto alla comunità autoritaria, le pratiche filosofiche non impiegano i tratti del dialogo unidirezionale (che prende in considerazione solo una delle parti dell’ intero), ma quello del confilosofare, dove un gruppo di persone riflettono in modo reciproco sul quando, dove e come vivere e comprendere la propria esistenza. Nella comunità filosofica l’uditorio non è più un soggetto passivo che riceve delle nozioni prestabilite dall’esterno, ma l’attore che partecipa attivamente a un percorso filosofico, attraverso un dialogo diretto, tra soggetti esperenti all’interno della comunità.
La comunità filosofica come luogo del confilosofare
La comunità filosofica è lo spazio dove le pratiche filosofiche mettono in atto il confilosofare. Il suo stato è quello di essere in divenire, dove il “soggetto esperente” non sta semplicemente vicino ad un altro “soggetto esperente”, ma insieme fanno un esperienza reciproca per comprendere, esprimere e partecipare alla coesistenza, tutto questo avviene grazie all’attività con-dialogica del filosofare.
Il “soggetto esperente” evidenzia l’individuo come agente, che all’interno del confilosofare si ritrova ad essere desideroso di comprendere, esigente e interessato, di pensieri altri, oltre a quelli in cui esperisce come condizione incompleta. Il soggetto esperente è un essere che sa carpire stimoli, indicazioni, che sa ancora stupirsi ed impressionarsi, che non resta legato al suo pensiero elitario. Questo processo rimanda al riprodursi delle esperienze filosofiche, ma non al loro consumo, rimanda al moltiplicarsi delle narrazioni e dei contenuti, ma non all’esclusività. Un percorso intriso di eventi quotidiani che possono apparire banali, di significati compresi, dispersi e nuovamente ghermiti e poi orditi dentro le contraddizioni della coesistenza con i suoi momenti a volte eloquenti e a volte insulsi.
All’interno della comunità filosofica le norme, le regole che i dogmi filosofici impongono non hanno più validità, una locazione non esclusiva dove il confilosofare diventa un atto riflessivo e condiviso di indagine sulle condizioni di possibilità. Il dialogo filosofico non viene fornito da precettori che si tratta di subire e far trasmettere, ma deve essere aperto e esperito da tutti i partecipanti, al fine di creare un tempo di riflessione, di con-senso e con-vivenza a partire dalla condivisione del pensiero e dalla ricerca di consapevolezza.
Il confilosofare deriva dalla ri-conoscenza reciproca, che ha sua volta richiede partecipazione e quindi che si realizzi il “filosofare in comune”, e richiede, non ultimo, anche l’uguaglianza di possibilità. La comunità filosofica deve ri-conoscere l’unicità del pensiero individuale e valorizzare la sua partecipazione alla realizzazione di se stessa.
Un altro fattore molto importante per partecipare ad una comunità filosofica, è quello della spontaneità. Il soggetto esperente che vive, dialoga e pensa all’interno della comunità filosofica, deve vivere tutte queste attitudini, senza pensare di perdere qualcosa, ma nemmeno con l’idea di conquistare qualcosa d’altro.
Il confilosofare come animazione delle pratiche filosofiche
C’è confilosofare là dove degli “esseri esperenti” escono dall’isolamento e progressivamente accettano di far parte di un “filosofare in comune”, in cui riescono ad accettare un forma d’interpendenza gli uni con gli altri, all’interno di un percorso comune accettato con consapevolezza e perseguito con passione. Ovviamente il confilosofare non è un’ evento stabilizzato, ma piuttosto un processo di trasformazione graduale, fatto di confronti e di prospettive. Non c’è d’altra parte confilosofare se non là dove ci s’immerge nel “pensare reciprocamente”, in un dialogo che si fa “incontro”, deciso insieme e insieme orchestrato a partire da una prima elaborazione della domanda filosofica per poi continuare con degli stimoli che allargano la frequenza delle riflessioni plausibili. Il confilosofare fa sua l’idea del comprendere praticando. Ogni filosofare comunitario comporta sempre un uscire da se stessi, un protendersi verso: verso altre narrazioni, verso altre accezioni e punti di vista sulla realtà, verso ciò che chiede comprensione e lo chiede in modo gratuito. Da questo punto di vista il confilosofare è un esperire indistintamente, se per esperire indistintamente s’intende uscire dalle regole dominanti e da verità incontrastabili a cui si fa riferimento dal proprio mondo di vita, per inoltrarsi in spazi inesplorati, mettere in discussione principi stabiliti, trovando il coraggio di non fermarsi alla prima difficoltà.
Nel confilosofare, il dialogo non deve essere attuato attraverso un “eloquenza luttuosa” o trascrizioni del pensiero di filosofi del passato, ma deve essere fatto di “parole vive”, che indicano direttamente la riflessione di ciascun essere esperente e che devono avere una rilevanza immediata nel percorso verso la comprensione di sé stessi e dell’altro da sé stessi. In tal senso, il dialogo filosofico potrebbe essere visto come un tipo di dialogo performativo, il cui significato deriva non tanto dalla sua intelligibilità, quanto dalla sua capacità di stimolare la riflessione, ovvero dalla sua qualità performativa. Quindi il dialogo filosofico non deve essere più visto come un mezzo che conduce ad un fine, ma come mezzo che incarna il fine.
La funzione del confilosofare è duplice, in quanto da una parte, costituisce dei criteri in base ai quali viene giudicata l’autenticità della comprensione, dall’altra, rappresenta degli espedienti grazie ai quali quei criteri possono essere raggiunti e realizzati.
Le pratiche filosofiche come metodo pratico esistenziale
Le pratiche filosofiche prendono forma attraverso lo strutturarsi di una “narrazione esistenziale”. Non c’è pratica filosofica dove non c’è incontro. Questa relazione si costruisce e si mantiene attraverso determinati processi.
In primo luogo la “coesistenza” (filosofia del vivere). Le pratiche filosofiche si collocano all’interno della la situazione, la “vivono” senza con-fondersi con essa.
Il filosofo si applica effettivamente all’ occasione, partecipandovi con apertura e aderendo spontaneamente al momento, ciò non toglie che il suo “io”, chiuso nella sua interiorità, non vi deve essere implicato. Il filosofo non investe la situazione del suo “ego”, in quanto individualità.
La coesistenza delle pratiche filosofiche è così strettamente legato all’ “ospitalità”. Le pratiche filosofiche si sostengono sull’ accoglienza degli esseri esperenti e della loro capacità di essere vitali (pensare - esprimere - partecipare), un’ospitalità incondizionata, denominata filosofia della possibilità.
Il coesistere e l’ospitare chiedono di essere coniugati con un'altra operazione quella di “creare possibilità”. Le pratiche filosofiche possono realizzarsi efficacemente quando la trama dei rapporti si colora di apertura, quando la possibilità comincia a circolare tra i soggetti in questione.
Creare possibilità richiama un’altra operazione: il confilosofare. Le pratiche filosofiche esprimono se stesse dentro un pensare comune.
A queste operazioni ne va aggiunta un'altra, che si colloca in una posizione trasversale. E’ lo “stimolare” - la provocazione è il cercare di creare un rapporto tra soggetti e il significato chiede di essere elaborato, espresso, attuato. L’incentivare non è solo una esecuzione, ma una “significazione”. Il filosofo è colui che “stimola” – “chiama fuori”, “invita verso”.
Il filosofo, che all’interno della comunità filosofica diviene “provocatore itinerante”, non sceglie la filosofia “per mestiere”, ovvero sulla base di motivazioni di tipo scientifico – tecnico, ma per “dar da pensare”, le sue parole non devono istruire, sarà l’”essere esperente” a dover pensare e attuare la sua trasformazione. Gli enunciati del “provocatore itinerante” hanno una duplice caratteristica, indottivi e indicativi al tempo stesso: indottivi, nella misura in cui non istruiscono, non mirano a dar lezioni, ma tendono a stimolare il pensiero del destinatario; indicativi, perché si limitano a suggerire e si accontentano di evocare senza significare.
Questi enunciati indottivi e indicativi non forzano il pensiero, essi vi s’infiltrano e annacquandosi in esso, lo “irrorano” e lo seminano. E di conseguenza, un getto si espande continuamente, lievissimamente , gradualmente. Il pensiero si spande in modo discreto, porta continuamente a scorgere altre prospettive, non ancora esplorate.
Conclusione
Come si è evidenziato nella dissertazione, le pratiche filosofiche incontrano l’”essere esperente” nel suo essere incompiuto e sollecitato da un insaziabile bisogno di evidenza e con-senso. Durante la sua partecipazione all’interno della comunità filosofica egli esce dal mondo delle verità prestabilite e intraprende un percorso interrogando se stesso e la realtà che lo circonda alla ricerca della congruenza esistenziale.
Per e con questo soggetto cercante le pratiche filosofiche dispongono un percorso di realizzazione (prendere coscienza di ciò che si vive, di ciò che si sa), giocato sulla forza propulsiva della vita. La tensione del processo vitale, essenza di fondo del “saper essere”, suggerisce alle pratiche filosofiche di prestare attenzione alla comprensione da suscitare, promuovere e far esprimere in ciascun soggetto esperente. L’intervento delle pratiche filosofiche agisce nella direzione della riscoperta della comprensione soggettiva, sulla quale un organico piano di realizzazione a vantaggio della persona.
Dalla sollecitazione della comprensione e dell’apertura nei confronti della coesistenza, l’essere cercante coltiva il desiderio del confilosofare e si apre all’intreccio delle relazioni.
In questa prospettiva, le pratiche filosofiche fanno proprio il principio del con-fronto del soggetto cercante, in virtù del quale lo scambio di riflessioni reciproche condotto nel rispetto delle diversità e della liberta dei soggetti favorisce la realizzazione autentica. Nell’intervento della comunità filosofica il presupposto della concordanza diviene così obiettivo da perseguire attraverso l’attività con-dialogica. Nel confilosofare il soggetto cercante articola e precisa il suo essere mancante e, al tempo stesso, condivide e arricchisce il quadro delle riflessioni della comunità filosofica.
In questa medesima condotta, le pratiche filosofiche promuovono la scoperta del pensare in comune. Confilosofare è l’animazione filosofica che permette di realizzarsi, è prendere coscienza di ciò che ci circonda, è vivere spontaneamente il corso del mondo e il corso della condotta.
Mario Guarna
Mario Guarna bio-bibliografia completa: www.confilosofare.com/Guarna.Mario.html
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