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Ipazia: Riflessioni Filomatiche

di Alessandro Bertirotti

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Una mistica del dialogo

Di Elisabetta Polatti   Luglio 2014

 

 

Quando due saggi stanno parlando

qualcosa accade al cuore di ciascun dialogante

e qualcosa accade anche nel nucleo più interno del mondo

e il mondo trattiene il fiato cogliendo lo spirito di quella antica verità
Raimon Panikkar

 

 

Nella vita si è allievi e maestri anzitutto di se stessi e per se stessi ma quell'io non è una nomade bensì una relazione quindi un termine intermedio che tra 1 e 2 include un terzo termine condiviso, che fa da legante. L'uomo, il cui significato non si esaurisce nel soggetto, nell''individuo tout court, è, infatti, immerso come relazione, in una rete di sutra (fili) che si intrecciano a formare una ghirlanda (mala) perché la vita, anche la più compiuta, è relazione interiore. Sotto le poliedriche manifestazioni della singolarità, scorre il fiume sotterraneo della comunanza di natura, corpo, anima, comunità e pneuma. Ritrovare, scavando, come Morfeo il fiume sotterraneo che scorre in ogni essere vivente ci rende capaci di sim-patia quindi di dialogo intimo, non di chiacchiera o di semplici opinioni informazioni. L'essere religiosus, archetipo ancestrale dell'uomo, è quell'essenza mistica che si rende palese, precipuamente all'uomo occidentale contemporaneo che è il più scisso, solo quando l'io è diventato domanda a se stesso, quando il dubbio lo ha investito, quando ha avvertito l'inautenticità del mondo di relazioni in cui è stretto, quando ha preso consapevolezza del limite e dell’inefficacia del dogmatismo rassicurante, quando ha distolto gli occhi dal fuori e si è stancato di rincorrere il luccichio degli oggetti, dei sogni preconfezionati, quando il rumore della chiacchiera che copre gli orrori del mondo si fa insopportabile e non riempie più il suo vuoto e non riesce più a dormire sonni sereni, quando inizia a provare la nostalgia di quel luccicare degli occhi che ancora è rimasto impigliato in qualche brandello di memoria, di quel battere del cuore che lo rendeva capace di slanci e pazzie, di quel senso di benessere e pace che lo apriva all’ascolto della voce del mare, del frusciare delle foglie, del rintocco lontano di antiche campane, del potere contagioso della risata di suo figlio, del grido di dolore di uno sconosciuto che pure è umano. Quando, per un caso del destino, un fato, tutto ciò in cui credeva gli si è sbriciolato in mano, è allora che può scattare quell’inversione di marcia che gli fa rivolgere lo sguardo dal fuori al dentro, dalle apparenze, alla sua vera realtà interiore. E’ qui che sta celata la sorgente di quel fiume sotterraneo che racchiude il suo passato, il suo presente e il futuro. Una sorgente che una volta liberata dalle dighe e dai massi che la imprigionano, può scorrere fuori liberando un uomo nuovo. Molti, fin dalle epoche più antiche, hanno paragonato il nostro mondo interiore ad un labirinto dove l'incontro con le proprie paure, le proprie maschere, i doppi può lasciare disorientati, angosciati, ma io credo che il cercatore attraversando gli oscuri corridoi della mente, immergendosi nei meandri dell’inconscio non sia mai solo. Ma possa contare sulla guida di alcune forze divinità archetipiche, figure simboliche e mitiche in cui egli si immedesima e da cui trae forza e consiglio di fronte alle immagini contraddittorie, ai giochi degli specchi. Identificandosi in questi accompagnatori del mondo sotterraneo, è possibile superare integri il confronto con l’illusorio con immagini di sé mai viste e perturbanti, per arrivare alla soglia di un luogo sconosciuto e scoprirvi un pozzo di acqua vergine che non riflette più le nostre paure, i nostri visi deformi ma un’acqua scura in cui si rispecchia il chiarore della luna. Nel nostro scavare, nel nostro avventurarci nei corridoi labirintici della mente, abbiamo esperito ciò che l'umanità vi ha deposto come eredità, come sigillum del sé: simboli e paradigmi che ci hanno permesso di penetrarci, di separare la pula dal grano, di ricostruirci e reintegrarci nella nostra natura primigenia prima della caduta, della scissione, prima dell'oblio. Grazie al viaggio interiore si è pervenuti alla scintilla divina e quella luce che prima era fioca, quasi oscurata, ora ci investe e noi finalmente comprendiamo di essere quella; risaliamo dal buio della coscienza e in noi non c’è più dentro e fuori, dualità, ma pienezza: una condizione in cui sentiamo di essere parti vive della natura racchiusi, si in un corpo, che però non è più una gabbia ma un mezzo, per quanto limitato e caduco, che riflette la nostra anima immortale. Quest’anima cercata e ritrovata ora vibra con tutto ciò che è nell'universo in comunione intima con le altre in quanto condividono con lei la medesima fonte. Dialogare con l'anima è dialogare come mondo, come totalità. Dunque come dice R. Panikkar, vale più un dialogo silenzioso tra due anime che 1000 discorsi politici, perché solo le parole che sono sintonizzate col respiro del cosmo incidono nel cuore del mondo.

 

Se dunque concordiamo che il dialogo è una necessità del cuore, una libertà dell’anima, e vero linguaggio della vita, non possiamo non riflettere che ignorarlo, farlo tacere significa votare al suicidio l’intero ecosistema e perciò non fermarci a meditare sulle nostre grandi responsabilità.

 

   Elisabetta Polatti

 

Bibliografia
Panikkar R., 2001, L’incontro indispensabile. Dialogo delle religioni, Jaca Book Editore, Milano.

 

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