Religioni?
Il mondo di NonCredo
di Paolo Bancale indice articoli
Religioni e religiosità
Luglio 2012
Tutte le religioni si basano su un voluminoso corpus dottrinario, involucro superprotetto di antiche scritture e narrazioni mitiche, eventi magici e poteri teurgici, fumose teologie dogmatiche e scolastiche, ma ove non c’è traccia del sentire e dell’interiorità degli individui a cui vengono imposte; laddove, invece, l’esperienza di vita ci manifesta quale sostanziale divario intercorre tra le “dottrine” codificate e ciò che è la “religiosità”, termine che ingloba spiritualità e mistero, mistica ancestrale della vita e della morte, timori e speranze, lacrime e gioie dei recessi più intimi e oscuri dell’animo. Una testimonianza sul campo viene dagli sviluppi di tanti colonialismi compiuti da religioni avide di proseliti sulla punta delle loro spade. Mi è capitato di osservare che ove la religione dei padri e dell’etnia è profonda, spiritualizzata e antica, i missionari colonizzatori, nonostante coazioni e persecuzioni, non sono andati oltre una imposizione di simboli e culti, apparenti sincretismi ma mai interiorizzati nel vero humus spirituale dell’animo collettivo locale.
Qualche esperienza antropologica? In campo islamico la fulminante avanzata, che in pochi anni ha convertito Asia, Africa e Europa dalla Mecca a Poitier, nulla poté con la profonda visione cosmologica dei Dogon del Mali, costrettisi a vivere nelle inaccessibili grotte delle falesie per sopravvivere alla dilagante omogeneizzazione dottrinaria coranica.
Ancora? Quando i portoghesi occuparono le coste del Malabar, oggi Kerala, nel sud ovest dell’India, portando il loro fanatismo religioso e l’immancabile Inquisizione, nulla poterono in due secoli di dominazione sulla mistica e totalizzante spiritualità della mite anima indiana che rimase disarmantemente hindù. (Né lo poterono sulla patriarcale comunità che a Cochi fa capo alla romantica “strada dei giudei”) Ancora? Quando gli spagnoli giunsero in Bolivia con spirito predatorio e furia di conversioni verso le genti andine, nonostante le frotte di frati al seguito, ne fecero stragi nelle grandi miniere di argento usato per tappezzare le loro chiese (lo stile plateresco), e nella sola miniera di Potosì a quattromila metri di altezza vi fecero morire di lavoro disumano ben sei milioni di indios e due milioni di schiavi africani (otto milioni, Auschwitz?). Eppure Inquisizioni e frusta non fecero mai introiettare riti, simboli e catechismi negli indios costretti a subirli, sincretizzandoli con animismo e sciamanesimo del loro atavico patrimonio spirituale. Infatti, nei chilometri di gallerie della miniera, a celebrazione, anche apotropaica, dei martiri dei massacri ivi subiti, non si trovano né croci, né crocifissi o madonne ma solo gli equivalenti “spiriti” e “daimon” della loro religione naturale e ancestrale in cui si riconoscono, amano e pregano.
Dovrebbero per caso barattarla con la bizzarra transustanziazione o con la prova di Anselmo e la Summa di Tommaso?
Paolo Bancale
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