Religioni?
Il mondo di NonCredo
di Paolo Bancale indice articoli
L'eterno sogno umano di un aldilà
Di Alessandra Pedrazzini - Archeologa
Settembre 2013
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L'aldilà
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Dal nulla alla sublimazione della realtà
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Mappe, guide o fai-da-te
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La minaccia del giudizio
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Conclusioni
Una trattazione univoca e completa di un tale vasto scenario, frutto delle più disparate teologie e tradizioni, risulta essere pressoché impossibile. Ho deciso quindi di stendere uno schema dei più significativi esempi, anche culturalmente e cronologicamente distanti, al fine di illustrare i diversi modi in cui si può affrontare l'idea di una persistenza (parziale, totale, spirituale, materiale ecc.) dell'Io una volta superata la morte.
L'aldilà
Per “aldilà” si intende, innanzi tutto, una generica forma di vita (o di sopravvivenza) ultraterrena, contrapposta al concetto di “aldiqua” che va ad identificare la vita terrena in senso stretto.
È innanzi tutto fondamentale notare che tale concezione non è comune a tutte le forme religiose in quanto, per esempio nelle discipline orientali e principalmente nel buddhismo originario, alla morte susseguiva direttamente o una reincarnazione dello spirito del defunto, senza alcun “soggiorno” in un luogo ultraterreno, o il totale annullamento del “sé” nell'assimilazione dell'Io cosciente al Nirvana. È superfluo notare come anche forme di deismo illuministe o umaniste sono prive di tale concetto. Laddove invece le teologie ipotizzano l'esistenza di un reale luogo di soggiorno post mortem ci si trova davanti a un panorama vastissimo di possibilità.
Dal nulla alla sublimazione della realtà
Constatata, in senso strettamente teologico, l'esistenza di un luogo ultraterreno a cui l'uomo giunge una volta passata la soglia della morte, bisogna evidenziare come tale luogo non sia univocamente immaginato o ipotizzato. Si passa da luoghi in cui l'anima resta in una situazione di sospensione ad ambienti in cui l'uomo torna a rivivere, per meriti o demeriti, in una forma sublimata di realtà. Per dare meglio l'idea di questo divario, ho creato una sorta di “scala” che va dal luogo più evanescente a quello più caratterizzato:
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L'aldilà può essere immaginato come un luogo di passaggio verso l'annullamento totale dell'essenza umana sopravvissuta alla morte: secondo i Serer, popoli del Senegal, tale luogo si chiamerebbe Hunulu, e si caratterizzerebbe come una sorta di sospensione priva di ogni sensazione o realtà sensibile, in cui attendere la dissipazione dell'anima nel niente.
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L'aldilà può essere considerato un “non-luogo” o un luogo privo di qualsiasi cosa, sensazione, percezione o evento: è la tipica concezione greca del mondo ultraterreno, luogo di perenne penombra, privo di gioia o di dolore, in cui l'anima del defunto vaga in uno stato eterno di sospensione, conservando solo un'ombra della personalità cosciente tenuta in vita.
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Può essere un luogo dell'epurazione: simile alla concezione orientalistica, il ciclo dell'incarnazione sumera (per lo meno nelle fasi più antiche della storia di quel popolo), eterna e irrisolvibile, si interrompeva per brevi istanti nel luogo dell'aldilà, dove l'anima si epurava dai “peccati” commessi in vita per tornare poi a vivere con un altro corpo e destino. Tale epurazione non era cosciente, ma un mero passaggio privo di memoria.
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Luogo di continuità: spesso la morte rappresenta solo un passaggio verso una realtà non dissimile da quella mondana. Per i Maya tale passaggio portava in un mondo, lo Xibalbà, in cui l'uomo altro non avrebbe fatto che perpetuare in eterno lo status sociale ottenuto nella vita terrena, senza possibilità di riscatto, di rivalsa o di peggioramento delle proprie passate condizioni.
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Luogo di opposizione: caso ben più particolare e raro è quello della teologia secondo cui l'aldilà si trasforma in una realtà perfettamente speculare, ma ontologicamente opposta, a quella terrena. Presso i Kisi, popoli della Guinea, nel mondo ultraterreno la donna sarebbe rinata uomo, il giovane sarebbe rinato come vecchio, l'anziano come infante; la destra sarebbe diventata la sinistra e così via dicendo. Non sarebbero invece mutate le inclinazioni personali, etiche ed emotive (il giusto tale sarebbe rimasto, il malvagio avrebbe continuato a perpetrare le sue crudeltà).
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Più simile alla concezione occidentale, l'aldilà può essere un luogo di punizione o premio morale: è un posto, più o meno caratterizzato da attributi concreti, dove si distribuiscono premi o punizioni all'anima del defunto; possono essere sia momentanee epurazioni per giungere poi al premio finale, oppure uno stato eterno e immutabile. Se il luogo di punizione è universalmente riconosciuto come spettante al cattivo fedele, che male aderì alle regole religiose e sociali imposte e che quindi finisce solitamente in un luogo sotterraneo, tormentato da spiriti malvagi o demoni, diversa è la concezione di premio. Per la teologia cattolica più pura, tale premio consiste nella contemplazione eterna del dio, della cui sfolgorante essenza l'anima si colma e gioisce, libera dai desideri e dai piaceri umani quali amore, fame, desiderio carnale, ecc. Un premio ben più pratico risulta essere quello spettante ai musulmani, che Allah ripaga della loro giusta fede con giardini in fiore (Ganna) e perennemente verdi, con fontane di acqua purissima, liquori limpidissimi e dolcissimi e fanciulle purissime, con grandi occhi nocciola, lunghissimi capelli neri e pelle color perla; ogni cosa è dorata o d'avorio, ogni abito di seta o broccato, e ogni desiderio umano è sublimato.
Mappe, guide o fai-da-te
Appurata l'esistenza di un aldilà più o meno connotato da raggiungere, il fedele deve comprendere in che modo accedervi; anche qui si può andare da uno stato di ontologico merito a un'ineluttabile sorte comune a tutti:
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L'aldilà può essere connaturale: semplice constatazione che ogni uomo, una volta morto, giungerà nello stesso posto indipendentemente da qualsiasi cosa abbia mai fatto in vita (tipica concezione dei primi popoli germanici, che successivamente si diversificò).
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Necessità di una guida: prospettiva propria delle spiritualità che comprendono uno sciamano come collegamento tra questo e l'altro mondo. Per i Moso dello Yunnan (regione a sud-ovest della Cina) lo sciamano raggiungeva, attraverso la trance, lo spirito appena trapassato del defunto, a cui portava una mappa su cui era segnato il percorso migliore e più sicuro per giungere al primo dei sette ponti che conducevano alle sette porte della città dei demoni, superata la quale si giungeva nel luogo dei morti.
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Necessità di affrontare prove di valore: per gli Altaj (popolo della Siberia meridionale, al confine con la Mongolia) lo spirito, per giungere all'aldilà, doveva attraversare un lunghissimo cammino comprendente deserti, montagne, un oceano e delle steppe, poi sette porte della città infernale, sette ostacoli posti da sette demoni e infine un ponte, strettissimo, alla fine del quale aspettava Erlik Khan, il re degli inferi.
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L'adesione al modello comunitario come via all'aldilà: in molte popolazioni, soprattutto quelle basate su piccole comunità isolate o abitanti luoghi ostili, è il tipo di vita vissuto in funzione della comunità che decreta il raggiungimento o meno dell'aldilà. Tra i celti Oisiri, la comunità intera ottiene una forma di vita dopo la morte solo ed esclusivamente se ha ottenuto il successo in vita: le comunità che hanno prosperato ottengono un'altra vita, le comunità che hanno vissuto di stenti sono invece condannate a finire in un luogo neutrale, senza attività o coscienza. I meriti o demeriti dei singoli individui non contano quindi quanto la loro compartecipazione alla sorte della comunità. Destino diverso tocca a chi non ha fatto parte del gruppo perché da questo scacciato: durante il viaggio che lo dovrebbe condurre nel regno dei morti soccomberà alle prove perché privo del sostegno del gruppo.
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Spesso, più che il modo in cui si è vissuto, è il tipo di morte a decretare il raggiungimento o meno del luogo di riposo dell'anima, o il tipo di rito funerario messo in atto dai parenti o dai sacerdoti. Gli Aztechi crearono un complessissimo modello da seguire per l'attribuzione dei vari aldilà: chi moriva in battaglia otteneva la vita nella Regione del Sol Levante; chi di parto finiva nella Regione del Sol Ponente; i bambini che non poterono decidere del loro destino, ottenevano una vita eterna in un giardino ricco di alberi a forma di mammelle da cui nutrirsi; chi era morto invece annegato o fulminato avrebbe passato l'eternità in un universo di refrigerio e fecondità.
La minaccia del giudizio
Presentiamo ora le ultime due possibilità che, per la prima volta, introducono la divinità come forza attiva nella sorte del defunto: il divino diventa giudice e non mero spettatore delle dinamiche umane, sia vitali sia post mortem; premia e punisce, giudica e decreta, nonostante avesse già stabilito leggi, comandamenti o condotte che il fedele era tenuto a rispettare per ottenere la garanzia di una vita ultraterrena.
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Ovviamente, il dio può giudicare l'uomo direttamente durante la sua vita. È un concetto che si ritrova sia tra i Babilonesi sia tra i Protestanti, per quanto siano separati da quattromila anni di storia: l'uomo che ottiene successo e ricchezza in vita è già stato premiato dalla divinità; chi in vita soffre lo fa perché è già stato votato dal dio a tale punizione; una volta morti, non vedranno modificata la propria sorte, ma solo avranno conferma della ricchezza o povertà ottenute in vita.
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Il dio si erge a giudice, dopo la morte, dell'anima e non più dell'uomo. Notissimo è il caso egizio, in cui l'anima del defunto giunge davanti a Osiride, il re degli inferi, a cui deve giustificare manchevolezze e peccati; gli veniva in aiuto il Libro dei Morti, testo sacro che mostrava al fedele cosa il dio volesse sentire per dare un giudizio favorevole e garantire la vita eterna: «Non ho mai defraudato gli uomini. Non ho vessato la vedova, né ho mentito in tribunale. Non so cosa sia la cattiva fede. Non ho mai imposto a un capomastro di fare più lavoro di quanto dovesse in un giorno. Non sono stato negligente. Non sono stato senza far niente. Non ho commesso sacrilegio. Non ho messo in cattiva luce uno schiavo presso il suo padrone, non ho affamato nessuno. Non ho fatto piangere. Non ho ucciso. Non ho rubato le bende funerarie, né le offerte ai morti. Non ho usurpato terre. Non ho tolto il latte di bocca ai lattanti. Non ho interrotto i canali».
Conclusioni
Ad ogni fede e credenza religiosa corrisponde una specifica teologia che illustra ciò che attende il fedele dopo la morte e come ottenerne il meglio. È forse questa la promessa ultima che ogni religione fa ai propri seguaci: una sorta di salvezza, di beatitudine o di persistenza dopo il limite ultimo della vita; ed è anche questa la minaccia suprema che si rivolge a chi non aderisce alla fede, quale che essa sia: la dannazione eterna, la fine definitiva, il giudizio inesorabile di un dio iracondo. La sorte dell'ateo, dell'agnostico o dell'apostata, laddove si ipotizzi l'esistenza di un luogo concreto di permanenza dopo la morte, è sempre l'esclusione da esso, fino a giungere alle peggiori punizioni e condizioni; la stessa sorte tocca a chi appartiene a fedi diverse e rifiuta la conversione. Il diverso, chi si distacca dalla società o dalla maggioranza, non può, e spesso non deve, trovare un posto nell'aldilà, in modo da perpetuare la propria condizione di outsider in eterno.
Alessandra Pedrazzini
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