Riflessioni sulla Psicosintesi
di Fabio Guidi indice articoli
Gurdjieff e la Psicosintesi
Settembre 2011
L’esoterismo di Georges Ivanovitch Gurdjieff si sposa felicemente con la pratica della psicosintesi a orientamento transpersonale. Si sa che il termine ‘psicosintesi’, prima di essere stato adottato e diffuso da Roberto Assagioli, è stato coniato da Carl Gustav Jung. Ebbene, lo psichiatra svizzero, anch’esso considerato da molti un maestro, pare abbia intrattenuto almeno in un’occasione – secondo H.J. Sharp - una conversazione privata con Gurdjieff, anche se non esistono testimonianze letterarie riguardo al rapporto tra i due. Ad ogni modo, sono evidenti relazioni strette, nell’Inghilterra all’inizio degli anni Venti, tra il maestro armeno e il “mondo della psicosintesi” – così come viene definito da James Moore nel suo ottimo, ma purtroppo mal tradotto, Gurdjieff, anatomia di un mito. Soprattutto è da segnalare la figura dello psichiatra Maurice Nicoll, che era stato prima intimo amico, collaboratore e probabile successore di Jung, ma in seguito si era trasferito presso l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo di Gurdjieff, nei pressi di Parigi, diventandone allievo per un intero anno (1922-1923).
Gurdjieff è stato senza dubbio un maestro autentico, portatore di un’antica conoscenza, ormai perduta nel mondo occidentale, ma che poteva essere trasmessa nuovamente all’uomo in grado di recepirla. Il suo insegnamento, da lui stesso definito «quarta via», è strettamente legato alla tradizione del sufismo. Uno dei maggiori maestri sufi contemporanei, Idries Shah, che ha avuto il grande merito di tradurre l’insegnamento sufi nel linguaggio laico dell’Occidente contemporaneo, pare intimamente vicino all’opera di Gurdjieff: al punto che – a quanto dice Joel Friedlander - lo stesso Shah, intorno al 1966, sembrava un possibile successore nella leadership della Fondazione Gurdjieff in Inghilterra. Rimane il fatto, tuttavia, che Shah non abbia mai incontrato Gurdjieff direttamente.
Tuttavia, lo stesso Gurdjieff dichiarò di inserire la sua opera nell’alveo della tradizione religiosa nella quale era nato.
«per coloro che sanno, dirò, se volete, che questo è cristianesimo esoterico».
Del resto, il maestro armeno, nato nella russa Alexandropol da padre greco e da madre armena, arrivò a prendere in considerazione l’idea stessa del sacerdozio, tanto fu educato all’interno del cristianesimo ortodosso. Le cose, come si sa, andarono diversamente: la missione della sua vita fu invece quella di trasmettere l’essenza della Grande Conoscenza all’Occidente moderno ed intellettualmente spregiudicato.
L’esoterismo di Gurdjieff si mostrò del tutto laico, pragmatico ed esperienziale:
«Io sono uno scettico. Il primo comandamento scritto sui muri dell’Istituto è: Non credete a me, e nemmeno in voi stessi. Io credo soltanto se ho una prova statistica o, per dirla altrimenti, se ho ripetutamente ottenuto lo stesso risultato. Io studio e lavoro per trovare la Via, e non perché credo.»
Eppure, anche il suo insegnamento, da lui definito «Quarta Via», dovette inevitabilmente rivestire i panni di una dottrina filosofica, di una ‘metafisica’, se vogliamo, delineata mirabilmente da Ouspensky nel suo In search of the miraculous. In questa vasta teoria troviamo idee sull’universo e sul raggio di creazione, così come la descrizione delle grandi leggi cosmiche, quella del Tre, la Legge dell’Ottava, e così via.
Personalmente, mi sono fatto l’idea che Gurdjieff non fosse particolarmente legato a queste formulazioni teoriche, utilizzate soprattutto per ‘incontrare’ la mentalità intellettualistica e metafisica dei suoi potenziali allievi. È come se avesse voluto impressionare i suoi interlocutori, in modo da attrarli nel Lavoro, ma che in realtà fosse interessato ad un insegnamento molto più pratico ed esistenziale, così come emerge da tutte le testimonianze di coloro che hanno avuto modo di frequentarlo e lavorare sotto la sua direzione. Ad esempio, Solange Claustres riferisce che “Gurdjieff denunciava ogni tentativo che mirava ad appropriarsi, in un modo o in un altro, del suo insegnamento, dandogli una determinata struttura”.
In questa mia convinzione – o acquisizione – sono confortato anche da Assagioli, il quale in una lettera del 1967, inedita, inviata a tutti i centri di Psicosintesi sparsi nel mondo, così si esprimeva riguardo alla sua teoria:
«Non esiste ortodossia in Psicosintesi e nessuno, a partire da me stesso, può proclamarsene il vero o autentico rappresentante, capo o leader. Ognuno dei suoi esponenti cerca di esprimerla e applicarla come meglio è in grado di fare e chiunque ne legga o ascolti il messaggio, o riceva beneficio dall'uso dei metodi della Psicosintesi, potrà stabilire con quanto successo ciascun esponente ne ha espresso o ne esprimerà lo ‘spirito’.»
Niente male, no? L’unica cosa che conta è lo spirito, la Verità, non la lettera, la ‘forma’. E, nello spirito, la Psicosintesi mostra una quantità di punti di contatto con l’Insegnamento gurdjieffiano: la constatazione della fondamentale molteplicità dell’essere umano (le subpersonalità di Assagioli); la dichiarazione dell’assenza di volontà nell’uomo prima della costituzione di un ‘Io’ stabile (il gurdjieffiano «centro di gravità permanente»); la necessità di iniziare il cammino di realizzazione di sé attraverso il “conosci te stesso”; la suddivisione dell’uomo nei livelli fisico, emotivo, mentale e spirituale (vedi l’analogia della carrozza in Gurdjieff); l’importanza dell’utilizzo delle leggi psicologiche (come, ad esempio, l’«agire come se» o l’influenza degli atteggiamenti corporei per lo psichismo), e così via…
È davvero curioso tutto questo…
Fabio Guidi
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