Prosa e Poesia Indice
L'odore del mare
Di Lucio Scognamiglio - Marzo 2011
Lucio Scognamiglio: si è laureato presso l’Università di Napoli in Giurisprudenza con tesi in diritto pubblico dell’economia. Si è perfezionato in Economia del Turismo, presso l'Università di Firenze e ha partecipato al corso di specializzazione in diritto delle Comunità europee, presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Nel 1986 è stato assunto dalla Confesercenti di Firenze dove è stato responsabile del Servizio commerciale e responsabile dell’Ufficio studi. Dal 1990, su incarico direzione nazionale, è direttore del consorzio Eurosportello Confesercenti. È stato docente presso la Scuola di Pubblica Amministrazione di Lucca, membro del Comitato Scientifico ANCOTUR (Associazione dei Comuni Turistici dell'ANCI) e autore di diverse pubblicazioni giuridiche. Ha approfondito le tematiche legate alla gestione dei flussi informativi e alla condivisione delle conoscenze. Direttore Consorzio Eurosportello Confesercenti - Enterprise Europe Network.
L'odore del mare
La Stazione di Formia sfrecciò davanti agli occhi intorpiditi di Luigi Lops. Aveva dormicchiato mentre il treno lo cullava. Si sentiva protetto dall’enorme ventre d’acciaio che lo avrebbe partorito in stazione. Chiuse di nuovo gli occhi rendendosi conto che, fra meno di un’ora, sarebbe arrivato a Napoli. Guardò la costa scorrere veloce nel finestrino. Da quanto tempo ci mancava? non lo ricordava. Sicuramente tanto, da prima che arrivasse Salemi. Tre, quattro, forse cinque anni, troppo, comunque. Certo, più della metà della sua esistenza l’aveva trascorsa lontano da Napoli. Praticamente un’altra vita. Pensò alla sua come a un grattacielo. Gli ultimi ventisei piani non avevano ormai più nulla a che fare con i primi ventitrè. Se poi considerava che, il normale maturare dell’età della coscienza, occupa i primi anni dell'esistenza di ogni uomo, tre, quattro, forse anche cinque, dei primi ventitrè piani, si trovavano addirittura sottoterra e chissà cosa custodivano.
Se avessi la memoria del computer basterebbe scegliere il file che m’interessa per ricordare tutto dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza degli amori... Episodi, date, emozioni; sarebbe tutto ben catalogato, pronto per essere pescato. E invece…
Amava seguire i suoi pensieri. Per catturarli si metteva all’ascolto. Li udiva come se stesse seguendo una radio che parlava lontano, di qualcosa che lo riguardava. Le sensazioni gli correvano dentro; scene più vicine al sogno che alla realtà. Un riflettere che non incontrava ostacoli, che non doveva articolarsi in parole scandite, incanalarsi nei tragitti obbligati delle convenzioni o delle convenienze, oppure rispettare le stringenti regole della logica. La forma del pensiero non erano le parole parlate, ma il pensiero stesso.
…il mio grattacielo non ha né scale né ascensori. Raggiungere i primi piani sarebbe ridicolo, come pretendere di vedere il colore delle fondamenta.
Spuntò l’immagine del primo giorno di scuola, era quindi al sesto piano senza saperlo? Si rivide col grembiulino blu e il colletto bianco di plastica.
Possibile che fosse di plastica il colletto?
Si passò due dita nel collo della camicia Oxford, che la moglie gli faceva cucire su misura. Un gesto che rievocava il senso di costrizione che provava ogni volta che indossava quella piccola uniforme.
Sì, era proprio plastica, allora si portavano. La mamma diceva che si pulivano meglio, così diceva… ma che fissazione la sua!
Gli apparve poi il drappello di bambini allontanarsi dall’ingresso della scuola elementare. Si trovava in mezzo ad altri piccoli sconosciuti, e non riusciva a staccare gli occhi da quelli della madre. Lo sguardo era un filo che si tendeva sempre più, fino ad assottigliarsi come un elastico teso allo stremo. La scena si svolse dinanzi agli occhi perduti nel vuoto delle due poltrone libere che aveva davanti.
Voltato l’angolo non la vidi più. Mi misi a piangere. Ero disperato nonostante cercasse di tranquillizzarmi… inutilmente però. Allora s’avvicinò la maestra Ester. Era grassoccia, aveva le lenti spesse e gli occhi sporgenti, come una rana miope. Somigliava alla nonna? Alla nonna?! No, la nonna era meglio!
Gli venne in mente il suo volto ovale, i capelli grigi raccolti dietro la nuca, con la crocchia, lo stesso sorriso tenero della nonna Maria. La maestra lo accarezzò con dolcezza, mentre col palmo della mano lo strinse al petto. Com’era morbido! Si sentii di nuovo protetto. Divenne presto la sua vice mamma! Peccato, durò poco! Invece il maestro che arrivò in terza era un tanghero pelato, che avrebbe fatto meglio il caporale in qualche caserma.
Ma che porco! In classe sfogliava riviste porno col bidello e ci menava pure! La bacchetta... era una lunga riga di legno, però non aveva le tacche dei centimetri. Che tortura! Dovevamo tenere il palmo fermo per ricevere la bacchettata. Immobili dinanzi al plotone d’esecuzione! Quando toccava a me… piegavo la mano a barchetta e ritiravo il braccio. Ero terrorizzato. Tieni la mano tesa, gridava quello stronzo, altrimenti senti più male… Ma non li vedeva i nostri occhi? Poi arrivava la punizione. Più che dolore sentivo bruciare, era come stringere un ferro rovente… Come ci chiamava? Con nomi di verdure: puparuolo, broccolo... se ci distraevamo arrivava la carocchia, il nocchino in testa oppure, se era seduto in cattedra, partiva il cassino, un proiettile sparato con precisione millimetrica a quattro cinque metri di distanza. Normalmente ci risparmiava la faccia, colpiva al petto come i condannati a morte! Quando ci riprendevamo, il grembiule portava l'impronta bianca del gesso, come una coccarda al demerito.
Dopo vennero a galla alcune sequenze della licenza elementare. Ci furono due giorni di esami, di questo era certo. Delle medie ricordava solo l’edificio prefabbricato e nessun professore, neanche un nome. In un baleno aveva montato altri tre piani senza trovare nulla. Se in quel preciso istante gli avessero chiesto di raccontare la prima parte della sua vita, si sarebbe trovato non poco in imbarazzo. Conservava solo dei flash, pochi momenti, qualche istantanea e basta. Sbiadite testimonianze di situazioni rimaste impresse chissà perché, forse non erano neanche le più importanti. Sforzandosi avrebbe riempito un rullino fotografico da dodici pose. Raggelò.
La mia esistenza è tutta qui? E quando sarò al cospetto del buon Padreterno cosa gli racconto? I was born in Naples. Parlerà in inglese Dio?
Poi immaginò il suo misero consuntivo:
A Napoli… ho frequentato le scuole dell’obbligo, poi il liceo e l’università. Dopo la laurea mi sono trasferito a Bologna dove ho sposato una donna, bella però, Dio mio (con rispetto parlando), incontentabile e rompiballe. Ho avuto due figlie, somigliano ad aliene, anche se affettuose, soprattutto nel periodo dei saldi. Ho lavorato nel ramo delle assicurazioni ed ho fatto sempre l’interesse della compagnia. E poi? Non ho grandi passioni oltre il lavoro e Roberta… Signore vi ringrazio, l’avete creata con i fiocchi! Poi cos’altro c’è da dire? È possibile che in un quarto d'ora finisca la presentazione della mia vita? Per illustrare le strategie annuali della Life ci metto di più... Possibile che il mio grattacielo si riduca a un monolocale? E tutto il resto che fine fa? Che fine fanno emozioni, eventi, ansie, tristezze, dolori, preoccupazioni, gioie, attese, progetti, decisioni, arrabbiature, incontri, amori, allegrie, vacanze, amici, colleghi, conoscenti, idee, discussioni. Che fine fa tutto questo? È esistito solo quello che si ricorda? Chi non ha buona memoria allora è fregato? Il Padreterno avrà di certo tutti gli elementi per giudicarmi! ma io – il diretto interessato - ce li ho?
Sentì un brivido lungo la schiena; a cinquant’anni è tempo di bilanci e lui c’era assai vicino. Sarebbero arrivati inesorabili - proprio come la Stazione di Napoli centrale - di lì a poco. Sapeva che ogni tanto bisogna fare il punto della situazione, ma non è un'operazione semplice...
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