Pregiudizi sul Sesso
di Davide Ragozzini indice articoli
Transessuali
Agosto 2013
Questo capitolo è tra i più interessanti.
Fino a qualche anno fa, ho gestito un locale nel centro della mia città: La Spezia.
Una sera improvvisamente appare alla porta una creatura incredibile.
Una brasiliana mulatta alta, ricciola, sola e incredibilmente bella entra, saluta e chiede se c’è posto con una gentilezza e un’educazione disarmante.
Siamo rimasti tutti a bocca aperta, io, i camerieri e tutti i clienti presenti.
Le chiedo se è sola, lei annuisce e allora le indico un tavolino. Lei lo raggiunge, scosta una sedia e la usa per sistemare una serie di borse e sacchettini, il risultato del suo shopping pomeridiano, poi in un’altra, si accomoda e attende di essere servita. Tutti la guardano nella sua eleganza e nella sensualità avvolta nei jeans stretti, nella sua andatura calma e sicura su tacchi che non hanno altro scopo se non di imporre la sua femminilità.
La nostra è una cittadina di provincia, nonostante il mio locale fosse centralissimo, ogni giorno si vedono le stesse facce tranne in estate in cui qualche turista tedesco o americano, viene dirottato in città per qualche motivo, fuoriuscito dai notevoli flussi turistici che irrorano le vicine Cinque Terre o la splendida Portovenere.
Non siamo abituati a vedere molti stranieri e sopratutto creature giunte da altri luoghi o dimensioni a noi sconosciute o forse sognate, di immense spiagge bianche sotto a palme scosse da venti tropicali.
Creature che hanno nello spirito la festa, il viaggio, la musica ma anche la sofferenza che alternano alla gaiezza di un’esistenza priva di inutili aspettative e sopratutto la capacità di vivere ogni momento per quello che é.
Quella ragazza, alla quale era impossibile dare un’età, aveva la dignità della saggezza e la bellezza della gioventù. Non ho mai visto in nessun’altra persona coesistere due caratteristiche così lontane tra loro in un equilibrio straordinario. La sua energia si impadroniva di tutto, dei pensieri, dei discorsi e degli sguardi di ognuno di noi. La sua presenza bastava, senza che facesse nulla se non leggere il menù, a non farci sentire più padroni di niente, neanche delle convinzioni.
La sua irruzione cambiò gli atteggiamenti, modificò i pensieri, annullò gli argomenti che fino a quel momento i clienti potevano credere che avessero importanza, agitò il mio staff senza che sapessero esattamente se fosse gelosia per le ragazze o eccitazione per i ragazzi o magari viceversa.
A tutto questo era accompagnata una infantile reazione propria della gente di provincia. Ma la cosa più incredibile è che tutto quello che successe quella sera nel mio locale, di lì a poche settimane, si proiettò su gran parte della comunità del centro storico. Perché lei invase i negozi, la parrucchiera, i ristoranti e i bar, e tutti quanti ebbero modo di conoscerla.
Quando passava per strada non c’era ragazza, neanche tra le più belle, che potesse attrarre i sensi di tutti come lei.
Aveva qualcosa in più, forse l’eleganza, forse la consapevolezza di essere una creatura straordinaria e non era solo la sua altezza o la sua capacità di esaltare il corpo con i vestiti; imponeva la sua presenza, senza volerlo.
Di lì a poco tutti nel centro l’avevano vista e da quel giorno chiunque parlava di lei ma nessuno mai si permise di accennare a lei avanzando giudizi o commenti negativi.
La sua stessa natura aveva interdetto, semplicemente esistendo, una caratteristica propria della gente di provincia che subisce un’ignoranza immotivata che trova forma spesso nel commento e nel pregiudizio.
Era ammirata da tutti, uomini e donne e a queste non suscitava nemmeno una parvenza di gelosia. Al contrario, incontrarla, era una cosa che in fondo in fondo si sperava un po’ tutti.
Io fui fortunato, perché la vidi quasi tutti i giorni. Veniva a cenare nel mio locale quasi tutte le sere e quando non veniva, la sera dopo si scusava e mi diceva che non poteva mangiare pizza tutti i giorni anche se le piaceva tanto.
Fu così che ebbi modo di conoscerla bene.
Si chiamava Roberta era una trans brasiliana, ma anche se non si sapeva tanto sul suo conto tutti sapevano benissimo cosa facesse per vivere.
Si era sparsa la voce velocemente. Roberta si prostituiva.
Lo faceva in strada, fuori città ma la cosa che è veramente incredibile, sopratutto in una città piccola, è che nonostante tutti sapessero cosa facesse, non ha cambiato di una virgola la stima e il rispetto che si era guadagnata soltanto passeggiando per le vie del centro o facendo shopping.
Parlava con tutti, sorrideva sempre ed era molto gentile e credo che la cosa che più di tutte le riuscisse naturale era quella di comunicare umanità nel modo più dignitoso che forse sia possibile e questa sua umanità riempiva tutto e non lasciava spazio al pregiudizio né sulla sua persona né sul suo lavoro.
Nessuno accennava mai a tale realtà nessuno mai disse qualcosa tipo: “ ...sì vabbè, però si prostituisce...” Se la cosa emergeva veniva detta come un’informazione qualsiasi senza essere accompagnata dalla minima inflessione che potesse tradire anche solo un minimo di disapprovazione.
Roberta era accettata da tutti così com’era e tutti l’amavano.
Guadagnava molto bene e si vedeva. Non era ostentazione da parte sua: nell’agio economico riusciva anche a essere umile; ancora una volta riusciva a conciliare due aspetti che sembrano avere nature diverse.
Lei era la regina e tutti quanti noi eravamo il suo popolo che l’adorava.
Perché lei era contemporaneamente espressione di vita e di gioia di viverla.
Non era possibile immaginarla triste, o oppressa da qualche torvo pensiero e questo la rendeva amabile e irraggiungibile come una felicità agognata in una routine quotidiana.
Lei era l’alternativa, la libertà di essere e di fare e paradossalmente la sua attività si trasformò in un concetto di libertà. La prostituzione con lei assunse significati diversi.
Conoscerla e sopratutto poterlo dire era motivo di orgoglio nella piccolezza di un’esistenza racchiusa e omologata. Lei era quello che sta al di là di tutto questo.
Dopo un po’ tutti iniziarono a chiamarla Zia Roby, non ricordo esattamente ma credo che il soprannome nacque proprio nella mia pizzeria e penso di essere stato proprio io a tirarlo fuori.
Non ne sono sicuro anche perché sembrava che quello fosse proprio il suo nome e che non potesse chiamarsi in altro modo. Chiunque l’avesse detto per la prima volta non aveva fatto altro che chiamarla con il suo vero nome.
Sicuramente non fui l’unico ma ebbi modo di conoscerla molto bene.
Mi parlò della sua famiglia dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Mi disse che guadagnava talmente tanto che con i soldi che inviava nel suo paese, sua madre aveva già comprato una casa. Ovviamente c’era anche il vantaggio che da loro una casa non costa quanto da noi, ma comunque aveva progettato di stare in Italia qualche anno, di investire molto denaro in immobili e poi avrebbe aperto un negozio nella sua città.
Aveva le idee chiare e sembrava che niente o nessuno potesse ostacolarla. Le sue relazioni in città arrivarono a dei livelli che solo in un film si possono immaginare.
Una sera ricevetti una prenotazione per quattro persone. Si presentò una famiglia di nostri clienti, padre madre e ragazzino di circa dieci anni che avevano invitato la Zia Roby a cenare con loro.
Li servii io e nonostante ormai conoscessi Zia Roby, mi stupii di vedere come non solo si era inserita nella nostra comunità, ma addirittura qualcuno la invitasse a cena.
Non credo che sia successo spesso nella nostra città che una famiglia inviti a cena e per di più in un locale pubblico una trans che si prostituisce.
Ovviamente non è merito della gente. Il merito è tutto della Zia Roby.
Qui in questo libro e in qualunque occasione mi capiti, condannerò sempre il pregiudizio.
Però ritengo anche che sia normale che una comunità abbia quanto meno delle riserve su tipologie particolari di persone perché spesso sono dei border-line.
I transessuali spesso si prostituiscono e la prostituzione è in mano quasi sempre al crimine organizzato.
Realtà queste che non si identificano certo con lo stile di vita di famiglie che crescono i loro figli cercando di trasmetter loro dei valori sani. Anche se tra i valori sani dovrebbe esserci anche quello di non avere pregiudizi per capire che proprio questi, spesso, determinano le condizioni che maggiormente li spingono a prostituirsi.
In questa storia Zia Roby, semplicemente esistendo, è riuscita a invertire una tendenza largamente diffusa.
É stata la sua profonda consapevolezza dell’ “essere” della sua persona, la sua assoluta accettazione di ciò che è e soprattutto il modo di viversi fuori da schemi interni ad una “normalità” spesso ipocrita, le creava una dignità che inibiva, nella gente, anche solamente la nascita di qualsiasi pensiero che avrebbe potuto portare a giudizi negativi.
Tutto questo l’ha portata ad essere non solo accettata ma addirittura quasi “venerata”.
Questa storia credo che sia molto importante per capire quanto il pregiudizio trovi terreno fertile in una scarsa energia di auto-approvazione nel soggetto che lo subisce.
Zia Roby ci ha dimostrato con incredibile forza proprio il contrario, con il suo stato di trans e “anche” con la sua attività, e l’ha dimostrato ad una città piccola anche di vedute.
È una storia umana di enorme significato, accaduta proprio nella mia piccola città e di cui io ne sono stato, fortunatamente, uno degli spettatori in prima fila.
Improvvisamente, come è apparsa, è scomparsa.
Nessuno ne ha più saputo niente. Spero che sia ritornata dalla sua famiglia e che l’esperienza nella nostra città possa averle dato la consapevolezza che l’accettazione da parte degli altri non si verificherà mai se non nasce e cresce prima dentro di sé, ma non perché sia lei a doverlo imparare, assolutamente no, ma perché se riconosce dentro di sé questa sua naturale caratteristica, può trasmetterla agli altri; a persone che per qualche ragione non ricalcano i modelli di “normalità” basati sull’ignoranza e imposti dalla società.
Può insegnarlo a persone che altrimenti, naturalmente, non saranno mai al suo livello.
Lei è il paradosso, è la differenza che diventa normalità, è l’energia che combatte il pregiudizio ma senza guerra, senza armi, senza lotta, solo esistendo nella sua massima accettazione.
È l’energia maschile e femminile unita in un unico corpo nella più profonda armonia che ha il potere di unire tutto quanto intorno a lei.
Con il passare del tempo, il suo ricordo mi sta diventando quasi onirico, come se non fosse esistita davvero, come se fosse un’allegoria delle virtù più alte. Un angelo nero, una dea apparsa per dimostrare qualcosa che ha lasciato più di quanto ha portato, in una città dove la gente non crede di avere molti motivi per sorridere ma quando parlavano di lei, gli occhi di tutti si illuminavano.
Credo e spero che ognuno di noi, che abbiamo avuto la fortuna di conoscerla, anche se in modo diverso, senta dentro il valore di questa storia e se non sono stati in tanti a coglierne fino in fondo il vero significato e sopratutto ad esserne consapevoli, spero che leggendo questo libro capiscano cosa è accaduto proprio sotto il loro naso.
Ora, dopo questa meravigliosa storia, devo continuare il mio libro.
Siamo nel capitolo dedicato ai transessuali. Ma chi sono? Cosa sono? Ora lo vediamo.
Il termine "transessuale" viene coniato nel 1949 dal dottor David Cauldwell, ma diventa di uso comune dopo la pubblicazione del libro “The transsexual phenomenon” (Il fenomeno transessuale) del dott. Harry Benjamin, edito nel 1966, che diventa ben presto un testo di studio universitario.
La persona transessuale, per la scienza medica odierna, soffre di "Disturbo dell'Identità di Genere" o "Disforia di Genere".
A differenza dell’omosessuale che sa perfettamente a che sesso appartiene.
Infatti l’omosessualità, come abbiamo già visto, è stata tolta dal DSM IV edizione, ovvero il Manuale di Classificazione dei Disturbi Mentali, ma ciò non è accaduto con il fenomeno transessuale.
Io credo che questo non sia corretto, perché se gli omosessuali sanno perfettamente a che sesso appartengono, i transessuali sanno benissimo, invece, a che sesso vorrebbero appartenere.
Il loro problema, o forse è meglio definirlo condizione, è di non riconoscersi appartenenti al proprio sesso biologico e/o riconoscersi e desiderare di appartenere all’altro sesso.
Ciò che differenzia la persona transessuale dagli omosessuali è il desiderio profondo ed incoercibile di modificare alcune caratteristiche corporee e di cambiare i propri dati anagrafici (nome proprio e sesso anagrafico alla nascita) adeguandoli al genere cui sente di appartenere in modo definitivo.
Io non credo che ci siano le condizioni per definirla una malattia o un disturbo psichiatrico, non quanto non ci siano state per l’omosessualità.
È importante avere un’idea chiara delle differenze tra omosessualità, bisessualità, travestitismo e transessualismo.
Le prime due le abbiamo già viste.
Il travestitismo è un comportamento nel quale non vi è alcun serio tentativo di acquisire identità o comportamento del sesso opposto, ma solo il piacere di apparire come persona dell’altro sesso.
Al contrario del transessualismo, che è un’esigenza biologica e psicologica, il travestitismo può celare un certo comportamento ossessivo.
L’idea o il bisogno di cambiare sesso, può portare a disagi anche psicologici nelle prime fasi, sopratutto con il confronto di questa spinta oltre che con se stessi, con la famiglia e l’ambiente in genere.
Questo però non significa che di base sia un disturbo mentale, solo perché è disagevole il percorso a una piena consapevolezza della propria condizione di transessuale. Infatti ciò che spesso accomuna i soggetti è un iter di sofferenza psichica, emarginazione e di estenuanti attese burocratiche.
In Italia oggi si contano circa 2.000 transessuali, cioè uomini e donne infelici di appartenere al sesso donatogli geneticamente, ossia circa 1 uomo su 40.000 e 1 donna su 50.000.
Si tratta di persone del tutto normali sotto il profilo biologico ed anatomico, ma che vivono con la certezza di appartenere al sesso opposto. In genere, si definiscono “prigionieri in un corpo sbagliato”.
La legge italiana stabilisce un iter per arrivare agli obbiettivi sentiti dai soggetti (vedremo che ci sono livelli diversi) e questo è importante per aiutarli ad affrontare il percorso e valutare insieme a medici e psicologi i vari passaggi.
Anche qui trovo un’incongruenza: come si può definirla una malattia mentale o disturbo di identità se è addirittura la legge che aiuta, attraverso la medicina, i soggetti nel loro percorso?
Perché il percorso da un sesso all’altro non è una terapia, cambiare sesso non può essere visto come una terapia.
Aiutarli a cambiare sesso è un atto che va incontro ad una loro esigenza importantissima.
I transessuali probabilmente penseranno: “definitela come volete ma aiutatemi ad essere felice.”
Da un punto di vista psicologico questi soggetti dicono di prendere coscienza del disagio durante l’adolescenza, e con la presa di coscienza, in genere, iniziano anche i conflitti interiori, aumentati anche dalla difficoltà di accettazione da parte dei genitori, ancor prima che dal mondo esterno, trovandosi di fronte alla drammatica certezza della differenza tra identità somatica e quella psicologica.
Siamo tutti pronti a discriminare ma qualcuno si mette nei panni di queste persone?
Loro hanno la naturale tendenza ad assumere atteggiamenti diversi da quello della propria appartenenza sessuale anagrafica, si identificano nell’altro sesso con azioni o abbigliamento propri dell’altro sesso, provocando spesso alterazioni dello sviluppo della personalità e generando vissuti di auto-svalutazione, ansia ed infine depressione.
Al di là di ogni classificazione la “disforia di genere” comunque non si presenta in modo unitario per tutti, ma relativamente alla propria storia di vita, al proprio contesto familiare ed al proprio vissuto.
Qui di seguito inserisco il link per la parte riguardante la legislazione e i dettagli medico-chirurgici tratti dalla pagina web:
www.benessere.com/sessuologia/arg00/cambiamento_sesso.htm
Se siete interessati a questa lettura potete cliccare qui:
http://davideragozzini.blogspot.it/p/il-cambiamento-di-sesso-la-legislazione.html
Dovete sapere comunque che oggi grazie ad adeguati trattamenti ormonali, mirate psicoterapie e delicati interventi chirurgici, è possibile un soddisfacente passaggio da un sesso all'altro.
Nonostante, sia la legge che la medicina, interagiscano a tal fine, la situazione esistenziale dei transessuali è ancora difficile per i pregiudizi sociali, tra cui una profonda emarginazione dal mondo del lavoro. Sono spesso costretti a prostituirsi ma incontrando una domanda altissima tra i maschi etero, arrivano a guadagnare fino a dieci volte di più di un normale lavoro tanto che essere costretti a prostituirsi è una realtà che si trasforma in una condizione molto ben accettata e dalla quale difficilmente sperano o cercano di uscire.
Ho trovato molto interessante venire a conoscenza che nell’adeguamento Femmina-Maschio (FtM) l’obiettivo può essere ottenuto con l’uso del solo ormone mascolinizzante (testosterone), mentre nell’adeguamento Maschio-Femmina (MtF) è quasi sempre necessario unire agli estrogeni femminilizzanti almeno un farmaco antiandroginico.
Questo è significativo: sembra che sia più facile diventare uomo per una femmina, e che per diventare donna, un maschio, debba destrutturare la sua mascolinità.
La femmina per diventare uomo, deve solo aggiungere qualcosa, l’uomo deve anche togliere qualcosa.
Sembra quindi che la femminilità sia la base, l’origine e che la mascolinità sia qualcosa di aggiunto dopo.
In questa chiave di lettura si potrebbe rivedere la Bibbia che afferma che Dio creò tutto quanto compreso l’uomo (maschio) entro il sesto giorno e il settimo si riposò. La donna la creò l’ottavo o il nono giorno.
Forse bisognerebbe capovolgere l’ordine perché sembra che il maschio sia qualcosa di aggiunto dopo su una femminilità preesistente.
Ce lo dicono anche i cromosomi X e Y: nel concepimento la donna porta una X e l’uomo porta una Y, se si determinerà una XX sarà femmina se si determinerà una XY sarà maschio. In questa equazione la femminilità è pura, la mascolinità è una Y che si aggiunge ad una base che c’è sempre e comunque.
Coincidenze?
È vero anche che il maschio contiene sia la X cha la Y, quindi non è puro ma completo.
Qui forse può avere ragione la Bibbia che comunque dice che la donna è stata creata da una costola dell’uomo, quindi da una sua parte anatomica.
Se è così, quello che la Bibbia chiama “una costola”, in realtà era la componente femminile già donata all’uomo, che viene utilizzata, parzialmente, per creare la donna.
La donna viene così a ritrovarsi costituita solamente di quest’ultima, perché nella sua “costruzione” è stato utilizzato quell’elemento che in origine era destinato interamente all’uomo che era già stato considerato “completo”.
Sarà un caso che il cuore sia proprio sotto le costole?
Ad ogni modo Dio non l’ha creata dal nulla.
E Dio non ha diviso a metà l’uomo, gli ha tolto solo una piccola parte del suo corpo per creargli la compagna. È come se avesse tolto da lui l’essenza della femminilità ma senza comunque privarlo del tutto.
Abbiamo già detto che le origini della Bibbia sono dubbie ma i miti e le leggende ci offrono quanto meno la possibilità di riflettere.
Infatti tra i due sessi non c‘è una vera e propria simmetria; ci sarebbe se l’unione dei cromosomi desse XY per un maschio e YX per una femmina e ancora ci sarebbe simmetria se fossero entrambi i sessi ad avere la caratteristica di poter essere fecondati, la femmina partorendo ad esempio una femmina e il maschio un altro maschio oppure il contrario.
Questa sarebbe davvero simmetria.
Mi sto spingendo in questa folle fantasia continuando a ragionare in termini biblici per dire che anche la donna deve avere, nel suo “essere”, anche la memoria di una parte maschile, perché se la sua essenza è femminilità pura, è comunque stata “estrapolata” dall’uomo.
E dell’uomo rappresenta la sua parte femminile più pura, quindi non siamo le due metà di una mela come sosteneva Platone ma siamo uno la mela e l’altra il nocciolo dove è custodita l’essenza dell’intero essere.
Dio ha separato quella sua prima creatura, da una sua parte, lasciandogli comunque un residuo, che se vogliamo può essere solo un ricordo, ma tale da generare in lui il bisogno di riportarla verso di sé.
Egli riconosce dentro di sé quella parte perché ancora ce ne sta una piccola porzione e il suo obbiettivo terrestre è quello di una riconciliazione che passa dal contatto fisico con la donna, che contiene la sua parte femminile, fino ad arrivare alla completa unione spirituale.
Dio ha creato tutto nei primi sette giorni compreso il riposo che è il giorno che chiude il ciclo lavorativo.
La femminilità l’aveva già creata, era dentro ad un unico essere che non aveva genere sessuale. Ha estratto da questo essere una parte consistente difemminilità al fine di fargli sperimentare la separazione con lo scopo di comprendere fino in fondo cosa significa vivere senza quella sua parte che riconoscerà, accetterà, e ricercherà nella donna, in lei e solo in lei che la contiene dentro di sé.
La Bibbia dice che Dio gli ha dato una compagna perché l‘uomo gli disse che si sentiva solo.
Se fosse stata una richiesta “lecita” avrebbe creato la donna dal nulla, come tutto il resto.
Ma la Sua opera era già completa alla fine del sesto giorno.
Quell’essere era già perfetto ma la perfezione non esiste se non è consapevole di se stessa e per sapere di essere perfetto, l’uomo, doveva sperimentare l’imperfezione.
Questa separazione ha generato i due sessi e inevitabilmente anche la difficoltà a vivere in armonia, anche perché non siamo consapevoli del vero significato che dovrebbe avere la nostra tensione nella ricerca del partner.
Infatti, rimanendo a livello istintivo, e non comprendendo, invece, che l’obiettivo reale di quella tensione dovrebbe essere quello di ripristinare l’unità originale, continuano a formarsi coppie che questo non sono.
L’odio, l’intolleranza, la discriminazione, il potere e la guerra, sono di genere maschile o generati da un essere che non ha in armonia la sua parte maschile e femminile.
La comprensione, l’accettazione, l’apertura e l’energia creatrice sono di genere femminile.
I primi nascono dall’illusione di questa separazione. I secondi sono la strada da cercare e da percorrere.
Sono solo “folli” idee fantasiose che somigliano a teorie vere, ma vi chiedo: quanto vi risuonano dentro? Quanto sono rappresentative della realtà?
L’essenza di queste mie fantasie andrebbe comunque valutata fuori dalle allegorie della Bibbia che nell’insieme presenta molte incongruenze ma che è anche il testo più misterioso che esista, anche per la sua incredibile mole.
Sono ignoti gli autori ma comunque è un documento che ci perviene dal passato e che sicuramente contiene delle basi di verità o dei messaggi positivi.
Questo stesso mio trattato, a cui mi sono accinto per il piacere di provare a conciliare la scienza con teorie esoteriche o come in questo caso con la Bibbia, non ha assolutamente la pretesa di affermare delle verità ma nel suo percorso offre spunti per riflettere e spinge comunque verso una positività.
Forse quest’ultima parte avrei dovuta inserirla in un altro capitolo, oppure crearne uno apposta. Ma se la natura non ha schemi precisi perché dovrei averli io?
In sostanza sembra di capire, anche attraverso questa possibilità di passare da un sesso all’altro, che siamo maschi o femmine ad un livello diverso degli oggettivi limiti biologici.
Abbiamo un involucro che inizialmente non ha sessualità o ce l’ha entrambe ma poi per qualche motivo, biologicamente tende verso un genere preciso. Ma questo involucro di per sé non conosce differenza tra maschio e femmina.
L’origine del transessualismo non è ancora stato definito con chiarezza, benché siano state fatte e saranno fatte molte ricerche scientifiche al riguardo.
Ciò che è certo è che considerare oggi il transessualismo un disturbo psichiatrico originato esclusivamente da un’educazione sbagliata dei genitori, come è stato troppo spesso fatto in passato, è errato e dannoso. Alle cause psicologiche, ambientali e familiari, concorrono infatti cause biologiche non più confutabili.
Studi sul cervello umano in questi soggetti hanno già dimostrato che presentano strutture cerebrali più simili a quelle del genere psichico di appartenenza che a quello fisico.
Concludendo, il problema del transessualismo, deve innanzi tutto smettere di essere un problema. La società deve avere le informazioni giuste per capire questa dimensione e sopratutto sapere che le conseguenze di un’ emarginazione portano proprio alla costrizione da parte dei soggetti ad una vita border-line e la causa, spessissimo, è la società stessa.
Personalmente trovo i transessuali, in generale, irresistibili quanto il 90% delle donne e il 100% delle donne intelligenti.
Chi cerca un trans non cerca né un uomo né una donna. Se chi va con un trans cerca una donna rimane molto deluso, egualmente se cerca un uomo.
Nel post che ho inserito in questo capitolo, lascio dei commentini in rosso lungo i vari interventi.
È una discussione talmente pregna di argomenti che ho ritenuto necessario inserirli man mano piuttosto che farne una relazione finale.
Se durante la lettura o alla fine di essa penserete che molte di queste persone non meritano ascolto tanto che non vale nemmeno la pena per voi di leggere e per me non è valsa per studiarli e commentarli, è bene specificare che questo post rappresenta un microcosmo.
Indipendentemente dal pensiero per cui sentite il bisogno di schierarvi, ricordate che queste persone sono la gente che incontrate tutti i giorni per strada, sono il vostro vicino di casa, è vostro cognato, è l’insegnate dei vostri figli o il genitore dei loro compagni di scuola; può essere vostro fratello o vostro marito.
L’ignoranza è ovunque e il pregiudizio la segue perché è la sua ombra.
L’ignoranza influenza la società intera, divide, separa, crea un terreno fertile sul quale prospera il potere che ci rende schiavi e contribuisce a creare la guerra.
Qui vi offro l’occasione di conoscere un pensiero che potrebbe, se non lo è già, essere molto distante da un senso di giustizia al fine da poter avere argomenti per contribuire all’avanzare di un pensiero aperto e positivo.
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Davide Ragozzini
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