Riflessioni Pedagogiche
di Giovanna Simonetti - indice articoli
Frustrazione? Si grazie... se è sana
Febbraio 2010
Sono da poco passate le feste natalizie e come ogni Buon Natale che si rispetti i più piccoli sono stati al centro dell’attenzione di nonni, nonne, zii e parenti vari ma soprattutto sono stati al centro dell’attenzione dei produttori di giocattoli che in nome del magnanimo Babbo Natale si sono inventati di tutto per rendere “felici” i nostri bambini. E così dal sacco del simpatico vecchietto sono spuntati giochi elettronici, giochi educativi, macchinine…. (esistono ancora?) bambole e bambolotti che fanno di tutto… mangiano, bevono piangono, dormono e sorridono proprio come dei veri bambini. Poi c’è anche chi avrà ricevuto a sei anni la prima agenda elettronica o la play station e magari non sapendo ancora leggere non riuscirà nemmeno a giocarci e invidierà magari la lavagnetta con i gessetti del fratello o della cuginetta più piccola. Una cosa è certa anche i regali per i più piccoli dimostrano l’epoca difficile in cui viviamo e la difficoltà ad avere la giusta “misura” nell’essere genitori. E’ inutile negarlo ai bambini di oggi si da tanto, quasi a voler compensare con un giocattolo il tempo che non si riesce a trascorrere con loro. O forse è solo la voglia legittima di ogni genitore di vedere felici i propri figli. Ma un bambino è davvero felice se riceve tutto ciò che chiede? Magari potrebbe anche esserlo nell’immediato ma questo atteggiamento dei genitori porta il bambino a non saper affrontare le frustrazioni che inevitabilmente incontrerà nella vita. Si definisce frustrazione la condizione in cui viene a trovarsi l'organismo quando è ostacolato, in modo permanente o temporaneo, nella soddisfazione dei propri bisogni. Incontrare ostacoli nella soddisfazione dei propri bisogni è da considerarsi una condizione normale dell'esistenza dell'individuo. Pertanto compito dei genitori non è quello di evitare le frustrazioni ma di far in modo che possano viverle in ambienti protetti… Anche evitare per troppa ansia che un bambino faccia determinate esperienze può portare ad una frustrazione infatti ad essere frustrato in questo caso sarà proprio il suo senso di libertà. La frustrazione può derivare da condizioni fisiche, sociali, personali o familiari. Cause di frequenti frustrazioni nell'ambiente familiare possono essere: un clima rigido, severo, proibitivo, autoritario, così come un comportamento iperprotettivo ansioso; l'indifferenza, la trascuratezza; l'incoerenza educativa, ecc. Un clima eccessivamente proibitivo porta il bambino a sentirsi rifiutato e a sentire negati i suoi legittimi bisogni: evitare che il bambino possa fare determinate esperienze con i coetanei, negargli delle ricompense, non dimostrargli affetto potrebbe fare di lui una persona sfiduciata, insicuro incapace di relazionarsi. Ma essere troppo “buoni” può portare il bambino a permanere nel suo egocentrismo infantile.
“il bambino deve imparare ad avere gradualmente a non avere una immediata gratificazione dei suoi desideri. Inoltre non bisogna sentirsi in colpa se a volte si deve far attendere il proprio bambino, magari perché si sta parlando al telefono o in presenza di altre persone: l'attesa aiuta a rafforzare la crescita psicologica del bambino.
Per aiutarlo a sopportare la frustrazione in alcune situazioni può essere utile abituarlo a variare l'oggetto desiderato o il momento in cui ottenerlo, per esempio non può mangiare la torta prima di pranzo ma dopo, non può mangiare la torta ma un frutto.”
Tratto da "La grande enciclopedia del bambino", Dott. Venturelli, Dott. Caso, Dott. Marengoni (a cura di), Sfera Editore.
Indipendentemente dal clima generale della famiglia, però, vi sono alcuni momenti o fasi obbligate dello sviluppo dell'individuo, in coincidenza con le quali la frustrazione è particolarmente frequente (nascita di un fratellino). Infatti il primogenito avverte un senso di privazione dovuto al fatto che le attenzioni dapprima concentrate solo su di lui ora vengono rivolte ad un altro “essere” ancor più bisognoso di cure. Il rapporto con i fratelli rappresenta pertanto, come dicono molti studiosi “una palestra di vita” in quanto il bambino impara a dividere l’amore dei genitori, impara a competere, a conquistarsi e a delimitare i suoi spazi. Sul piano educativo, l’arrivo di un fratellino o di una sorellina è preferibile alla condizione di figlio unico. C’è un libro molto illuminante rispetto a ciò: “FIGLI UNICI psicologia dei vantaggi e dei limiti”. La cosa più importante che emerge è che non c’è una sindrome del figlio unico ma che il rapporto genitori-figlio è fondamentale per una crescita sana di tutti i bambini ma lo è in modo particolare per il figlio unico. All’interno delle famiglie con un solo figlio si viene a creare spesso una situazione paragonabile al cosiddetto “triangolo perverso”: qualsiasi comunicazione che il bambino metterà in atto avrà sempre come interlocutore un adulto. Questo lo porterà sia ad assumere da piccolo ruoli da adulto ma anche a sentirsi solo: se un bambino subisce un'ingiustizia o uno sfogo nervoso da un genitore, può sempre trovare conforto da un fratello o distrarsi con lui, il figlio unico avendo solo i genitori quindi non avendo nessuno della sua età con cui confrontarsi e creare delle alleanze potrebbe avvertire appunto un senso di solitudine maggiore.
Ritengo che siano importanti tutti i luoghi di socializzazione del bambino con i suoi coetanei. Anche a scuola le insegnanti dovrebbero, a mio parere, avere dei piccoli accorgimenti nei confronti dell’alunno-figlio unico. Anche se dovesse essere “il primo della classe” secondo me bisognerebbe evitare di porlo come esempio assoluto da seguire “innalzandolo” al di sopra dei compagni, dovrebbero aiutarlo invece ad inserirsi ed integrarsi. Il figlio unico non deve sentirsi anche a scuola come un piccolo adulto e investirlo di responsabilità e aspettative maggiori. Il bambino deve potersi sentire uguale agli altri, disubbidire e ricevere “rimproveri” come tutti gli altri ma senza frasi colpevolizzanti “da te non me l’aspettavo…”. Probabilmente di sensi di colpa il figlio unico ne vive già in casa soprattutto se i genitori gli fanno pesare che lui è la loro unica fonte di gioia e realizzazione. I genitori dovrebbero essere realizzati loro come PERSONE e riconoscere il figlio come PERSONA e non come prolungamento di se stessi…. non come l’unica e ulteriore via per realizzare i loro progetti. Credo che i soggiorni estivi con associazioni, gruppi scout possano essere molto stimolanti per un figlio unico in quanto lo allontanano momentaneamente da casa favorendo la sua autonomia e possano essere utili anche ai genitori per abituarli all’idea che prima o poi il figlio uscirà di casa e sarà in grado di badare a se stesso da solo. D’altro canto il bambino capirà che pur allontanandosi da casa e lasciando i genitori soli non perderà il loro amore ma soprattutto a loro non succederà niente di brutto o di triste e quindi riuscirà a vivere in maniera meno colpevolizzante e con meno ansia la separazione dai genitori. Spesso il figlio unico si sente lui responsabile dei propri genitore, a volte è come se si capovolgessero i ruoli, è un po’ il modo del bambino (e in seguito dell’adulto /figlio-unico) di ripagare i genitori di dedicare o di aver dedicato a lui tutta la loro vita. Tornando al concetto di frustrazione il figlio unico non attraverserà quelle fasi naturali che pian piano lo porteranno al distacco e ad una maggiore autonomia, così come pure non avrà affrontato competizioni che possano in qualche modo averlo preparato alla vita sociale, pertanto per lui è doppiamente importante non assecondarlo sempre, dargli delle regole da rispettare. Regole però non imposte ma concordate ricordando sempre che il figlio unico non ha “un complice” con cui coalizzarsi. Quindi è importante uno stile democratico pur mantenendo fermo il ruolo di genitori. Abituarlo alla frustrazione ma che sia una frustrazione sana. Non ritengo personalmente adatta una frustrazione del tipo “non ti mandiamo in gita perché mamma e papà poi restano soli e sono tristi”, sarebbe più opportuno che in questo caso ad essere frustato sia l’eccessivo attaccamento dei genitori al figlio.
Pertanto da un punto di vista educativo, il bambino che vive la condizione di figlio unico dovrebbe poter essere preparato alla vita attraverso un costante rapporto con i suoi coetanei. Mi preme sottolineare ciò che viene ribadito nel libro sopra citato, cioè che non esiste una Sindrome del figlio unico ma al limite una condizione di figlio unico e che le caratteristiche che in genere gli vengono attribuite non devono etichettarlo. Il rapporto del figlio unico con la madre, il modo di rapportarsi dello stesso con i coetanei, l'egocentrismo a cui spesso si fa riferimento parlando di figli unici possono essere considerate delle variabili prese in esame durante l'analisi di famiglie con un solo figlio.
Ovviamente tutte queste considerazioni non annullano il concetto di individualità della Persona e pertanto nessun figlio unico è uguale ad un altro. Inoltre queste considerazione sottolineano ancora una volta la stretta connessione tra le discipline che hanno come oggetto di studio l’uomo. In questo caso abbiamo riflettuto sull’importanza delle frustrazione nell’educazione del bambino (quindi sull’interpretazione e organizzazione di alcuni fatti) partendo da basi psicologiche dando delle piccole “prescrizioni” (quindi con atteggiamento prognostico) senza nessuna pretesa di fornire ricette magiche.
Giovanna Simonetti
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