Riflessioni Pedagogiche
di Giovanna Simonetti - indice articoli
Descolarizzare o educare a scolarizzare?
Aprile 2010
“Il mero possesso di titoli di studio per accedere a qualcosa è una discriminazione e va abolita, la discriminazione dovrebbe avvenire soltanto in base alle capacità e non al pedigree scolastico“
Questa forse è una delle frasi più emblematiche del pensiero di Ivan Illich quando nel 1970 pubblica “Descolarizzare la società. Per una alternativa alla istituzione scolastica” (tradotto in Italiano nel 1972). Lo studioso dalmata sosteneva che la scuola fosse diventata una sorta di istituzione inattaccabile e universalizzata, una nuova religione che crea negli allievi una serie di miti che ne limitano la crescita personale:
La scuola indottrina i suoi allievi creando nelle loro coscienze i seguenti miti:
1) Il mito dei valori istituzionalizzati viene inculcato insegnando che un'istruzione valida è il risultato della frequenza; che il valore dell'apprendimento aumenta proporzionalmente all'input, alla quantità di nozioni immesse e, infine, che questo valore può essere misurato e documentato da voti e diplomi.
2) Il mito della misurazione dei valori emerge dai valori istituzionalizzati che la scuola inculca sono valori quantificati. La scuola inizia gli studenti a un mondo dove tutto è misurabile, compresa la loro immaginazione e anzi l'uomo stesso.
3) Il mito dei valori confezionati si riscontra nel fatto che il sistema scolastico vende un corso di studi preconfezionato e indiscutibile.
4) Il mito del progresso autoperpetuantesi rivela che le spese per indurre lo studente a rimanere nella scuola aumentano vertiginosamente man mano che egli avanza nel suo percorso di studi e gli insegna il valore dell'escalation, del modo americano di fare le cose.
Quello che Illich propone è di liberare l’allievo dall’obbligo della frequenza e di restituirgli l’iniziativa dell’apprendimento, in questo modo viene liberalizzato l’acceso agli oggetti didattici ed evitate le restrizioni dell’insegnamento. Attraverso i “liberi centri di preparazione tecnica aperti a tutti”, secondo Illich, la società evita quelle forme di assistenzialismo nei confronti dei cittadini e li libera dalla necessità di adattarsi ai servizi offerti dai professionisti, che secondo il mio parere si concretizzano in servizi preconfezionati non in grado di rispondere alle vere esigenze del soggetto in crescita. Secondo alcuni autori le idee descolarizzatrici ed in particolare il pensiero di Illich vanno fatte rientrare nelle correnti personaliste anzi vengono viste come una difesa radicalizzata della Persona. Si legge nel libro di Giorgio Chiosso “Novecento Padagogico” nel capitolo dedicato alla Pedagogia e alle Scienze dell’educazione nella cultura contemporanea “la scuola, in altre parole, tenderebbe a spogliare l’individuo della sua personalità e delle sue capacità e a trasformarlo in un assistito preso in carico per i suoi bisogni da servizi sociali che, mentre pretendono e credono di soddisfare una richiesta, creano in realtà una domanda sempre maggiore ed accentuano lo stato di dipendenza dell’individuo”.
Un po’ come una mamma che sostituendosi costantemente al figlio e prevenendo le sue richieste lo rende dipendente da se e incapace di provvedere da solo a soddisfare i suoi bisogni. Letta in questo modo la teoria di Illich in effetti esalta pienamente la libertà della persona in merito alla sua istruzione. A distanza di quarant’anni dalla diffusione di questo pensiero io personalmente ritengo che la scuola continua ad avere la sua ragion d’essere e non debba essere demolita. Sarebbe come dire che per evitare di dare un’educazione troppo rigida ai figli non li si educa affatto e li si lascia liberi di auto-educarsi scegliendo da soli quali modelli seguire. Di Illich però faccio mio il pensiero secondo cui un individuo non può essere valutato o giudicato sulla base del numero di corsi seguiti. Ogni persona nel suo percorso di crescita fa una serie di esperienze che affiancandosi alle nozioni apprese a scuola ne fanno un individuo completo in grado di pensare ed agire. Pertanto reputo tutt’oggi importante ciò che llich proponeva già all’epoca ovvero di rilasciare ad ogni cittadino, fin dalla nascita, una carta di credito educativo. La scuola a mio parere dovrebbe avere un ruolo di base e di orientamento, andando a lavorare non tanto su competenze specifiche ma su quelle appunto definite competenze di base e competenze trasversali ovvero su quelle competenze che il soggetto una volta uscito dalla scuola può spendersi per entrare efficacemente nel mondo del lavoro. Pertanto non una scuola che indottrina ma una scuola che forma. Ma come si realizza tutto ciò? E soprattutto noi educatori siamo pronti ad accogliere questa sfida? Io ritengo di no. Seguire un programma ministeriale e fare in modo che esso venga portato a termine è molto più semplice che lavorare con gli studenti…Io mi chiedo da un bel po’ di tempo se non sarebbe meglio ridurre le ore di storia ad esempio e dare più spazio all’educazione civica…. Se si immagina una scuola che dà solo degli input e chiede ai suoi allievi di approfondire ciò che a loro interessa di più si potrebbe immaginare anche una scuola nella quale ci sia più tempo per riflettere e ragionare. Anziché limitarsi a trasmettere nozioni che poi passano nell’oblio si potrebbe fare una riflessione più attenta sulla cultura contemporanea partendo dai fatti di cronaca e dalla politica. Certo non sto dicendo che gli insegnanti debbano fare campagna elettorale per uno schieramento politico o un altro ma almeno inculcare nei giovani la voglia di conoscere le idee politiche, i valori che sono alla base di un movimento anziché dell’altro. Non perché tutti debbano diventare dei politici ma solo perché tutti sono chiamati attraverso il voto a decidere delle sorti del proprio paese ed è giusto farlo con coerenza ma soprattutto con consapevolezza. Se si vuole restituire libertà alla Persona occorre a mio parere fare una cosa sola: insegnarle a pensare. Ma per fare ciò bisogna imparare a mettersi in gioco. Formare delle persone in grado di ragionare in modo autonomo e libero significa sapersi confrontare anche con allievi preparati che magari la pensano in modo completamente diverso da noi e confrontarsi senza nascondersi dietro l’autorità del proprio ruolo. Forse in questo il mio pensiero si avvicina anche se in maniera molto sottile ad Illich quando dice che dovrebbero continuare ad esistere figure educative di riferimento ma che non siano insegnanti, io ritengo che queste figure debbano essere “non solo insegnanti intesi come coloro che trasmettono un sapere ma che siano educatori ovvero coloro che oltre ad indottrinare possano tirar fuori da ognuno il proprio essere”. Quindi la scolarizzazione intesa come l’insegnare a scrivere, leggere e far di conti va bene a mio parere se è finalizzato non a creare dei contenitori in cui immettere un numero ben preciso di nozioni a seconda di quanto previsto dai programmi ministeriali ma una scolarizzazione che diventi anche educazione. Per fare ciò occorre partire dalla formazione in primis di chi insegna. Educare ad educare. Formare i formatori. È questa la vera sfida.
Giovanna Simonetti
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