Riflessioni sui Nativi Americani
di Alessandro Martire - indice articoli
Ruolo femminile delle Native Americane nella spiritualità
Febbraio 2011
Di Anna Maria Secci
Pagina 3/6 - pagina precedente - pagina successiva
Tutti i compiti delle donne erano considerati onorevoli e dignitosi. Nessun lavoro era ritenuto servile. Esse si dedicavano:
-
al lavoro dei campi,
-
la raccolta di bacchi e frutti selvatici,
-
il trattamento per la conservazione dei cibi, scuoiavano animali, affumicavano la carne,
-
confezionavano tutti gli indumenti, anche i mocassini, erano espertissime conciatrici di pelli: riuscivano a renderla morbida come un tessuto (una donna riusciva a conciare 4 pelli di montone all’anno per ottenere la materia prima per gli abiti o coperte od ornamenti,
-
montare o smontare i Tepee,
-
l'organizzazione domestica e l'educazione dei figli.
Le donne indiane avevano molta cura dei loro piccoli e non si limitavano ad assicurare loro la sopravvivenza: facevano di tutto per rendere la vita bella e piacevole.
Per quanto riguarda i piccoli del il popolo delle Pianure, probabilmente nessuna infanzia è stata più felice: non c’erano bambini più coccolati, viziati, protetti e liberi.
Senza scuola, senza orari, senza disciplina convenzionale, i bambini attraverso il gioco apprendevano le arti, la tecnica, le tradizioni, la cultura collettiva.
Ed erano tutte le donne della tribù a prendersi cura del bambino, fino alla sua adolescenza. Le donne erano anche quelle che massaggiavano i bambini più volte al giorno soprattutto nei gelidi inverni delle pianure, erano quelle che per riparare i piccoli dal gelo, usavano il grasso di bisonte, e che pensavano a raccogliere il muschio fresco e assorbente che fungeva da pannolino per i più piccoli.
Erano ancora le donne a realizzare (di solito durante la gravidanza) e a servirsi poi, caricandoli poi sulle spalle, bellissimi porta-enfant di morbida pelle di cerbiatto arricchita di piccolissime perline multicolori.
Tra le puerpere c’era molta solidarietà: se una non aveva abbastanza latte per nutrire il proprio bambino, ce n’era sempre un’ altra che ne aveva in eccesso e che fungeva da balia.
La sera, per far addormentare i piccoli cantavano lunghe nenie.
Per i problemi meno importanti, come coliche o dolori per la dentizione, erano sempre le donne a fungere da pediatre e curare il bambino con erbe medicinali, (gli analgesici più usati erano la salvia e le foglie di salice).
Il cibo era sempre pronto e abbondante, conservato cotto in modo da poter essere servito in qualsiasi momento. Infatti non era destinato soltanto al consumo della famiglia, ma di chiunque arrivasse, forestieri o parenti.
L’ospitalità era sacra. Nella vita sociale degli indiani il saper preparare e servire il cibo era molto importante. Attraverso l’offerta e la condivisione del cibo, si rinsaldavano i vincoli tra l’uomo di famiglia sia con i capi del gruppo, che con i parenti della moglie.
Le donne erano oggetto di premure e di attenzioni: a cominciare dal mattino quando il marito spazzolava i capelli alla moglie (con una coda di porcospino attaccata ad un impugnatura decorata), utilizzando del grasso animale per proteggerli e lucidarli, le faceva le trecce e le dipingeva il viso (se dopo divenne una questione di moda, all’inizio questo cominciò per il fatto che molte donne lakota avevano una carnagione bellissima e molto delicata che mal sopportava il vento caldo e il sole bruciante delle pianure).
La pulizia personale era importantissima. Non curanti delle stagioni, i nativi erano soliti lavarsi in un corso d’acqua sia la mattina che la sera.
Il matrimonio era tenuto in grande considerazione presso i Sioux.
La celebrazione (se così si può chiamare) consisteva nel fatto che il fidanzato andava a prendere la ragazza nel tepee dove alloggiava con la sua famiglia e la portava nella loro tenda (preparata precedentemente dalle donne imparentate con la sposa).
Lei dava subito dimostrazione di essere a casa sua: accendeva il fuoco al centro della tenda, sedendosi al posto della moglie a destra del focolare, di fronte si sedeva il marito, nel posto proprio del capofamiglia.
Senza altre formalità erano marito e moglie.
Se la cerimonia del matrimonio era piuttosto semplice e diretta, il corteggiamento era invece un rito lungo e complicato: un metodo molto diffuso era quello di mettersi sulla via dell’acqua e aspettare che le donne passassero per attingere l’acqua o per lavare i panni, afferrare il lembo della sottana o colpirla a distanza con dei sassolini.
Se lei rallentava il passo significava che il corteggiatore aveva il permesso di affiancarsi e parlarle, se non era interessata lo avrebbe ignorato.
Altro tipo di corteggiamento era quello della coperta: i corteggiatori si presentavano dopo il tramonto davanti al tepee della famiglia di lei e chiedevano di sedersi accanto alla ragazza, avvolgendola nella coperta.
Se lei gradiva, la conversazione si prolungava, e non era raro che ci fosse qualche “approfondimento” reciproco della conoscenza del corpo dell’altro.
Ma sempre da seduti. Era vietato sdraiarsi sotto la coperta. Se lei non gradiva, il corteggiatore veniva congedato in fretta.
Il matrimonio doveva essere consenziente, poteva esserci un accordo tra la famiglia di lei e quella dello sposo oppure si poteva fuggire mettendo entrambe le famiglie di fronte al fatto compiuto o ancora, in casi estremi, la donna veniva rapita direttamente, senza perdere tempo.
Anche se spesso si creavano chiacchiere e “inciuci”, non appena la sposa rimaneva incinta, tutto si metteva a tacere.
Una madre conquistava automaticamente il massimo del rispetto collettivo.
La professione di madre era tenuta in grande considerazione e rispetto al punto che nel momento in cui la donna si rendeva conto di essere incinta, troncava i rapporti sessuali con il marito (cosa che non creava tensioni né contrasti: le premure dello sposo rimanevano immutate).
Una volta avuto il bambino, i genitori si preoccupavano di non metterne in cantiere un altro almeno fino a quando il precedente non avesse raggiunto l’età di 5-6 anni in modo che potesse avere tutte le attenzioni possibili e che la donna non si stancasse troppo.
La moglie non prendeva il nome del marito né del suo clan.
I bambini appartenevano al clan della madre.
I nativi potevano, nel corso della loro vita, cambiare nome. Alla nascita veniva assegnato al piccolo un nome che indicava un avvenimento successo al momento della nascita, ad esempio "sole calante". Ma se qualche avvenimento particolare segnava successivamente la sua vita, ne assumeva il nome. Toro seduto fu così chiamato solo molti anni dopo, forse in ricordo dell'uccisione del suo primo bisonte a soli 10 anni!
In alcune tribù come gli Apache e gli Irochesi la famiglia era matriarcale.
La parola “matriarcato” è stata utilizzata nel XIX secolo per significare “governo delle donne nella famiglia e nella società agli albori della società umana”.
Approfondire la società irochese e la posizione sociale ricoperta dalle donne presso gli Irochesi, per presentarla come un caso esemplare di società "matriarcale", significa:
-
per alcuni antropologi rappresentare la massima espressione di un sistema politico, religioso, sociale, economico e sessuale assolutamente patriarcale; dove vigeva un sistema di discendenza matrilineare.
-
per altri rappresentare la massima espressione di un sistema politico, religioso, sociale, economico e sessuale, con la possibile eccezione dei pueblo e dei mandan, dove nessun altra donna indiana ha avuto un riconoscimento così ampio di un ruolo influente simile nella sua società.
Gli Irochesi erano una potente confederazione costituita da cinque gruppi: Mohawk, Onondaga, Cayuga, Oneida e Seneca, conosciuta anche come le Cinque Nazioni. Tra il 1715 e il 1722 venne ammesso anche il gruppo dei Tuscarora, prendendo così il nome di Lega delle sei Nazioni. Della famiglia linguistica irochese (alla quale diedero il nome) e dell'area culturale delle foreste orientali, abitarono l'attuale stato di New York.
Nel 700’ gli uomini irochesi erano impegnati in sanguinose guerre legate al dominio tribale sul commercio delle pellicce di castoro e alla lotta tra Inglesi e Francesi per il controllo del Nordamerica settentrionale, per cui le donne irochesi, rimanendo da sole nei villaggi, avevano nelle loro mani gran parte della gestione familiare ed economica, gran parte del loro potere veniva proprio dal fatto che:
-
erano padrone dei mezzi di produzione e della distribuzione dei beni di sussistenza, in quanto avevano la proprietà in usufrutto dei campi nei quali lavoravano;
-
gestivano i prodotti della caccia del marito;
-
distribuivano i beni materiali secondo il loro sistema di discendenza ed eredità matrilineare;
-
organizzavano la gestione della casa;
-
avevano ruoli culturali essenziali non solo economici, ma anche religiosi;
-
avevano una loro parte nel commercio e ponevano la loro firma nei trattati.
Bisogna osservare che non tutte le donne assumevano questo grande ruolo, solo le cosiddette "matrone" o anziane della casa erano all’altezza del compito. Inoltre le matrone svolgevano importanti ruoli sociali:
-
avevano il dovere di decidere dei matrimoni nel loro clan;
-
organizzavano e partecipavano nelle cerimonie religiose e nelle festività;
-
potevano decidere della sorte dei prigionieri o quanto meno influenzare il pensiero del consiglio ed infine potevano – secondo alcuni esprimersi politicamente solo all’interno di un controllo maschile delle cariche e potevano parlare in consiglio solo tramite un portavoce maschile, secondo altri pur essendo gli uomini in prima persona i partecipanti nei consigli, tuttavia essi erano dei semplici rappresentanti o delegati ufficiali delle donne – decidere quale capo eleggere per il consiglio ed eventualmente deporlo se considerato inadeguato al compito.
Presso gli Irochesi gli uomini e le donne occupavano e gestivano differenti spazi vitali, i primi l’esterno e la foresta, le seconde l’interno e la radura del villaggio, che non erano separati secondo relazioni economiche o politiche, ma prettamente sessuali e di parentela.
Il matrimonio irochese non implicava diritti di proprietà, ma obblighi reciproci, che si estendevano secondo linee di parentela reale o fittizia di clan attraverso i villaggi.
Pagina 3/6
pagina precedente - pagina successiva
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
|