Riflessioni sulla Mente
di Luciano Peccarisi - indice articoli
Le origini della mente
Ottobre 2020
“Come mai esiste la mente? E com'è possibile che la mente ponga questa domanda e trovi la risposta?”
(Daniel C. Dennett)
Io sono sensibile, la sensibilità è una parola composta dal verbo “sentio” (sentire) e dal sostantivo “habilitas” (disposizione, attitudine). La sensibilità è la capacità di sentire. Io provengo da molto lontano, dagli abissi del tempo, dagli atomi, molecole, organi, apparati, organismi, dai primi essere animati (1). Sono un cervello raffinato, con un sottoinsieme di circuiti di alto livello che aggiungono alla percezione il valore di un’azione perché costruisco “rappresentazioni mentali” originali e non sono fruitore passivo dell’ambiente. Possiedo una rappresentazione della realtà diretta e una che si interpone tra percezione e comportamento, potremmo chiamarla fantasia. Le rappresentazioni mentali sono simulazioni della realtà esterna. Una lucertola afferra il moscerino posato vicino, non sbaglia tra le tante pietruzze accanto. Le mie rappresentazioni, forgiate dal linguaggio, non sono solo immagini del mondo esterno, sono anche idee, ragionamenti, emozioni. Sono pensieri, che possono essere usati o immagazzinati nella memoria. La sensibilità si trasforma in uno stato soggettivo di esperienza o consapevolezza. Con la manipolazione mentale nascono nuove intenzioni, credenze, desideri, speranze. Posso osservare ciò che entra e staziona i me, mettere in fila le date, i fatti, le situazioni, gli eventi, le emozioni, i sentimenti. Posso tenerli uniti, incollati tra loro, a formare un coerente “Io”, una coscienza, un punto di vista personale, una prospettiva individuale. Una autonomia che può addirittura spingersi oltre l’istinto della specie. Il leone maschio non può rifiutarsi di obbedire a uccidere i cuccioli del leone rivale, la sua consapevolezza è maggiore di quella di un albero, ma è privo di un “Io” personale. La consapevolezza animale rispetto all’automaticità del girasole è più ricca di sensazioni, percezioni e comportamenti, ma solo la coscienza umana arriva a comprendere la propria esistenza. Di essere uno tra gli altri, decidere e scegliere, sentirsi libero. Maneggiare il proprio corpo, lo può truccare, allenare, pettinare, radere, abbellire, vestire, mistificare, fingere. Tutte pratiche che gli animali non possono fare, perché non hanno un corpo ma sono un corpo. Privi di “Io” individuale, posseggono quello generico della specie. Perciò si somigliano tutti. Io, racchiuso nella scatola ossea all’apice del corpo, non ho accesso diretto al mondo, nessuna esperienza e contatto con ciò che sta all’esterno, e non potrò mai averla. Non posso uscire, sono carcerato a vita nella camera cranica. Guardo fuori dalle finestre, con i miei organi di senso, però sono convinto di vivere libero nella realtà. Ma è un mondo costruito nel buio, dove sono io non c’è luce, colori, suoni, odori, solo flussi di informazioni costituiti da segnali elettrochimici. L’universo è costruito da me, perfino lo spazio e il tempo sono mie idee. Non esisterebbero le forme e i colori se non avessi gli occhi, il suono se non lo captassi con le orecchie. E anche gli odori non esisterebbero al di fuori di me. Tutto sarebbe privo di luce, silenzioso e vuoto. Potrei affermare che nulla esiterebbe senza di me, tutto appare con me, quando entro sulla scena della vita. Nascono allora luci, colori, suoni, odori, perché sono capace di trasformare e interpretare le onde elettromagnetiche che di per sé non generano nulla. Come disse Emily Dickinson: “Il cervello, un piccolo nodo nella trama del mondo, è la sola fonte del mondo intero”.
Folgorazione
Sono un cervello colpito da una folgorazione (2), sono un cervello che parla e perciò posso raccontare la mia storia. In principio, quando ancora non c’era la vita, nulla si muoveva senza ragione, tutto si spostava solo se era 'spinto'. Scivolavano le frane, rotolava la neve, cadeva la pioggia, la polvere volava nel vento, il vulcano sputava la lava e il mare batteva gli scogli. Ma le pietre, l'acqua, la polvere, la lava e il mare non si muovevano se non vi era qualcosa a fornire energia. Poi qualcosa sul nostro pianeta cominciò a muoversi da solo. Una struttura si dispose come uno stampino, fenomeno rarissimo ma non impossibile, come una lunga serie di numeri giocati a caso può uscire se provati per miliardi di anni. Forse diede luogo a un impilaggio, è così che si formano i cristalli. Le due catene possono separarsi e formarsi due forme identiche. Poi, copie su copie, fece il suo ingresso l’instabilità della vita. Dopo milioni di anni di evoluzione apparvero gli organismi e alcuni formarono al loro interno i cervelli. Io sono uno di quelli con la peculiare caratteristica di poter raccontare la mia storia perché possiedo una mente capace di farlo, un fenomeno più unico che raro, avvenuto poco tempo fa (3). Milioni di anni fa ero un animale come gli altri che grugniva, fischiava e urlava. Cercavo la compagnia perché mi dava sicurezza, le istruzioni genetiche guidavano le interazioni con il mondo dal tunnel del mio io animale (4) con le strutture percettive in dotazione. Avanzavo come gli altri, un passo dietro, orientato dagli istinti di sopravvivenza, aggressività e sesso, senza vedere e senza sapere. Non sceglievo cosa provare, accompagnavo il fare con le sensazioni del momento. L’attenzione era costantemente rivolta all’esterno, la mia interiorità non esisteva. Non potevo certo perdere tempo con l’introspezione, ammesso che ne fossi capace, il pericolo era ovunque. Ogni tanto nel fiume mi pulivo dal fango e lavavo le ferite, salivo spesso sulla cima degli alberi da cui osservavo la verde distesa immensa della natura. Ogni tanto altalenavo sui rami pendenti, forse per questo mi piace ancora dondolarmi. Quando scesi a terra nella savana, mi drizzai in piedi per vedere meglio tra l’erba alta. In equilibrio sulle gambe, liberai le mani che aiutarono i denti ad afferrare, tirare, scuotere, piegare, stringere. Un giorno, senza accorgermene, non abbandonai come facevo di solito un grosso ramo secco, l’ho tenni con me. Così con quel bastone diventai il capobranco. Come capo potevo avere molte femmine, poi uno con un bastone più grosso mi spodestò. Molte generazioni dopo mi accorsi che era meglio cooperare che combattere. Un giorno in gruppo rubammo una femmina e la trascinammo via. Poi vicino al fiume eravamo pronti all’inesauribile voglia, uno per volta c’era posto tra le sue calde natiche. Il secondo strappò via il primo e si avventò, quando smontò il terzo, toccava a me. Io tentennavo e lei scappò tra l’erba alta, e la notte la inghiottì. La ritrovammo accoccolata all’alba, infreddolita dietro un cespuglio sul ciglio del dirupo sul fiume. Ci avvicinammo, aveva gli occhi spaventati e lucidi. Fu allora che io, l’unico a non averla posseduta, in un accesso di rabbia balzai sui miei compagni e li scaraventai giù. Poi la guardai e lei abbozzò un sorriso, mi offrì le natiche ma poi si voltò e mi trovai faccia a faccia, il mio petto contro il suo. C’ero io e lei che con i suoi occhi mi guardava, presi atto per la prima volta di un’altra presenza oltre la mia. Forse fu allora che il mio pensiero cominciò una nuova storia. Molti secoli dopo i greci definirono con ‘prosopos’ la persona, che significa ‘chi mi sta di fronte’.
Luciano Peccarisi
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NOTE
(1) La vita si evolve da circa quattro miliardi e gli unici esseri viventi erano entità unicellulari relativamente semplici, i batteri o i loro cugini, gli archei: i procarioti. Due procarioti si scontrarono, presumibilmente innumerevoli volte e, almeno in una occasione una inghiottì l’altra ma la lasciò vivere. Questo fu forse il primo esempio, rarissimo, riuscito in cui insiemi di competenze si unirono in qualcosa di più grande migliore. L’evoluzione è un processo che dipende dall’ “amplificazione di eventi che non accadono quasi mai”, Dennett D.C. (2018) Dai batteri a Bach. Come evolve la mente, Raffaello Cortina, Milano, p. 7.
(2) L’ha chiamata “folgorazione”, il grande etologo Konrad Lorenz in L’altra faccia dello specchio, questa svolta della parola. Lorenz K. (1991), gli Adelphi, p. 64.
(3) La nostra e quella delle scimmie è una storia recente, paragonata a quella della vita, di quasi quattro miliardi di anni. Forse siamo tutti discendenti di Lucy il cui scheletro si trova presso il Museo Nazionale dell’Etiopia ad Addis Abeba, quello visibile è una copia. Lucy era alta poco più di un metro e pesava circa ventinove chilogrammi. Visse in Africa intorno a 3,2 milioni di anni fa. Dal ginocchio sinistro valgo si dedusse che questo ominide camminava mantenendo una posizione eretta. Lucy era giovane nel momento in cui morì: l’età media era circa venticinque anni.
(4) Metzinger T. (2009) Il tunnel dell'io. Scienza della mente e mito del soggetto, Raffaello Cortina, Milano.
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